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patrimoni e crescita

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

patrimoni e crescita

Messaggioda trilogy il 19/09/2011, 13:11

Bell'articolo :geek:

Grande patrimonio crescita zero come e perché in Italia ha vinto il partito della rendita
MARCO PANARA
da: http://www.repubblica.it/supplementi/af ... ecase.html

Gli italiani, ricchissimi e disperati. Ebbene sì, siamo ricchissimi, più dei francesi e dei tedeschi, più degli inglesi, degli americani e dei giapponesi. Lo dicono i numeri: la ricchezza lorda delle famiglie italiane alla fine del 2010 ammonta a 9 mila 732 miliardi di euro, i debiti (sempre delle famiglie) a circa mille miliardi, la ricchezza netta è quindi pari a 8 mila 700 miliardi. È una cifra enorme, quasi sei volte il pil, quattro volte e mezzo il debito pubblico, 7,8 volte il reddito disponibile, contro il 7,7 del Regno Unito, il 7,5 della Francia, il 7 del Giappone, il 6,3 della Germania e il 4,8 degli Stati Uniti.

Siamo più ricchi di loro ma stiamo peggio. Perché?

Per spiegarlo dobbiamo partire dall’inizio, ovvero da come abbiamo fatto ad accumulare tanto. I motivi principali sono che siamo un popolo di risparmiatori (virtù in erosione) e un popolo di evasori fiscali (difetto che non si erode affatto). Un elevato risparmio consente di accumulare e non pagando le tasse si risparmia e si accumula molto di più. Nel 2009 per esempio la ricchezza complessiva è cresciuta di 93 miliardi, 70 dei quali rappresentati dal risparmio e il resto dall’aumento del valore. Non è un’eccezione, tra il 1995 e il 2009 l’aumento della ricchezza è dovuto per il 60 per cento al risparmio e per il 40 all’aumento del valore.

Il passo successivo per avvicinarci a capire perché stiamo peggio è nella struttura economica dell’Italia, la cui sintetica fotografia è questa: debito pubblico enorme e debito privato relativamente contenuto, ricchezza privata immensa che però non produce crescita.
Il presidente del consiglio e il ministro dell’economia, oltre a dirci fino a giugno scorso che l’Italia stava benissimo, ci hanno venduto quel contenuto debito privato e la gigantesca ricchezza delle famiglie con elementi di forza, garanzie della tenuta del nostro debito pubblico. Alla prova dell’estate purtroppo non si sono rivelate tali, per la semplice ragione che più che elementi di forza sono segni di squilibrio. Per quello che comportano e per quello che rivelano.

Quello che comportano è sotto i nostri occhi: il debito pubblico elevato sbilancia l’intero paese e rende più costoso anche quello privato. Se la ripartizione fosse diversa, con un 2030 per cento in più di debito privato e altrettanto in meno di debito pubblico le agenzie di rating e i mercati ci guarderebbero con occhi assai diversi.
Quanto alla ricchezza privata, se è certo che è meglio averla che non averla, è però assai poco utile se non produce crescita. Vuol dire che è immobile e mal gestita. E’ come quelle famiglie aristocratiche che hanno immensi palazzi che non producono neanche il reddito necessario a mantenerli. Il loro destino è segnato, cominceranno a venderne dei pezzi fino a ritrovarsi nella casa del guardiano.

Se questo è quello che la struttura economica dell’Italia comporta, ancora più illuminante è quello che rivela. Debito pubblico e ricchezza privata sono due facce della stessa medaglia, uno stato senza credibilità e autorevolezza e un privato opportunista e spesso saccheggiatore.

A questo punto però, per capire perché questa immensa ricchezza privata non produce crescita, dobbiamo guardarci dentro. Quello che troviamo già dice quasi tutto. Di quei 9 mila 732 miliardi di patrimonio lordo il 57,8 per cento è rappresentato da immobili, il 4,9 per cento da beni di valore e da impianti, macchinari, scorte, attrezzature, brevetti, avviamenti (le cosiddette attività reali) e il 37,3 per cento da attività finanziarie.

Cominciamo da quei 5 mila e 600 miliardi di immobili. Solo il 6 per cento, 330 miliardi o giù di lì, sono negozi, uffici o capannoni; il 4,3 per cento (240 miliardi) sono terreni e il resto, ovvero 4 mila 900 miliardi, sono abitazioni. Di queste (in totale sono 29 milioni 642 mila) l’80 per cento sono abitazioni principali e il restante, 5,7 milioni, sono seconde case (poco utilizzate) o case sfitte. Quelle vuote, inutilizzate, sono ben 1 milione e 200 mila.
Passiamo ora alla seconda voce per importanza, le attività finanziarie. Non sono poca cosa, si tratta di oltre 3 mila e 600 miliardi, metà dei quali sono detenuti in contanti, depositi bancari e postali, titoli pubblici e obbligazioni, altri mille miliardi in azioni e fondi comuni e circa 630 sono riserve tecniche delle assicurazioni. Nel complesso la quota rappresentata dal capitale di rischio è più vicina a un quarto che a un terzo del totale.

Infine la cenerentola di questo elenco, le attività reali, 476 miliardi di euro investiti per un quarto circa in beni di valore (quadri, gioielli, mobili di antiquariato) e solo 380 miliardi in beni produttivi. Pochissimo, per un paese che si dice manifatturiero, per un popolo che si ritiene abbia l’imprenditoria nel sangue. Guardandosi intorno, osservando le decine di migliaia di imprese che affollano tutto il Nord, una parte del centro e qualche pezzetto fortunato del sud, e anche escludendo le società quotate, le cui azioni vanno nel capitolo della ricchezza finanziaria, sembrerebbe che il valore dei macchinari, degli avviamenti e delle scorte di tutte quelle imprese sia ben superiore a quei sparuti 380 miliardi. La spiegazione c’è. Se calcoliamo che secondo il Rapporto Coraporate EFIGE 2011, la percentuale dell’attivo di bilancio delle imprese italiane finanziata con il capitale proprio è pari al 12 per cento (in Francia il 30 e in Germania il 34) e l’88 per cento è coperto dal debito, i conti tornano. Il valore complessivo di tutte quelle attività è vicino a 4 mila miliardi, il problema è che i proprietari di tasca loro ci mettono poco, pochissimo, e infatti uno dei vincoli alla crescita di quelle imprese è che sono poco capitalizzate e molto indebitate. I loro proprietari preferiscono mettere i soldi in appartamenti e nella finanza piuttosto che nelle aziende, e infatti loro sono ricchi e le aziende povere.

A questo punto possiamo tornare alla domanda iniziale: perché con un patrimonio così ricco la crescita del nostro paese è così bassa? La risposta, che è già nel modo in cui quel patrimonio è investito, la dà Giacomo Neri, partner di PricewaterhouseCoopers e curatore insieme a Gino Gandolfi dell’Università di Parma di un osservatorio sul risparmio degli italiani (Orfeo): «La struttura di questo patrimonio è difensiva e la sua gestione non è ottimale». Questo patrimonio non serve a costruire il futuro ma a difendersi, per una serie di ragioni di ieri e di oggi, che poi sono le stesse che stanno dietro i capitali all’estero. Alla base c’è la sfiducia nello stato, nel suo arbitrio, nelle sue incertezze e instabilità, in passato c’era anche l’inflazione, che aggiungeva sfiducia nella moneta (e quindi gli immobili). A questa si aggiunge la sfiducia nei mercati finanziari, quelli del parco buoi, quelli nei quali le azioni si pesano e non si contano, nei quali gli azionisti di controllo anche se con un pugno di titoli in mano usano l’impresa come casa propria.

C’è anche, dice Roberto Nicastro, direttore Generale di Unicredit «una ragione culturale: l’immobile piace e rassicura, conserva il valore o lo accresce nel tempo. E l’imprenditore che rischia con la sua attività con il suo risparmio preferisce non rischiare».

Ma la ragione chiave è il fisco. Le tasse servono a pagare i servizi comuni, le strade, l’illuminazione, la giustizia, la difesa, per coprire investimenti comuni come l’istruzione e per difenderci da rischi che abbiamo deciso di mettere in comune, come la salute e la vecchiaia. Ma il modo come le si raccoglie non è indifferente, disegna il modo di essere di un paese e della sua economia. Il fisco italiano da decenni ha deciso di caricare tutto il suo peso sull’impresa e sul lavoro, ovvero su quello che crea la ricchezza, e di privilegiare gli immobili e le rendite finanziarie (il cui prelievo solo con l’ultima manovra è passato dal 12,5 al 20 per cento). C’è una tabella di Banca d’Italia chiara e terribile: nel 2010 le imposte dirette sono state pari al 14,6 per cento del pil, quelle indirette al 14 per cento e quelle in conto capitale, ovvero sul patrimonio, pari ad un misero 0,2 per cento. Il denaro fugge dove viene meno colpito, e in Italia è meno colpito se si ferma, si immobilizza, esce dalla famigerata denuncia dei redditi.

«Lo stock di ricchezza è un vantaggio competitivo nazionale <\-> dice Neri <\-> ma bisogna valorizzarlo, gestirlo bene, renderlo produttivo e dinamico. Ci vuole una politica orientata a questo, in un paese con tanto risparmio a valorizzare il risparmio gestito favorendo la nascita di grandi imprese del settore, in un paese con un ricco patrimonio immobiliare favorendo la crescita di gestori più grandi e più professionali. In un paese ricco ma fermo riorientando il prelievo fiscale tassando i patrimoni e i beni improduttivi e alleggerendo il carico su lavoro e impresa». Ci stiamo occupando molto, e giustamente, della produttività del lavoro, forse dovremmo cominciare a occuparci anche della produttività del capitale.
Roberto Nicastro aggiunge un segnale di allarme: «Negli ultimi mesi si sta inaridendo il flusso di fondi esteri disponibili a investire in Italia, e se non si recupera rapidamente credibilità e fiducia potrebbe diventare un problema. Questo pone una sfida al risparmio italiano: se continuiamo a mettere i soldi negli immobili come faremo a finanziare la crescita?» Nicastro dà anche la risposta, che riguarda anch’essa le tasse: «Bisogna pensare a un nuovo equilibrio nel trattamento fiscale relativo tra le varie forme di risparmio».

La conclusione è che dobbiamo decidere che paese vogliamo, se puntiamo sull’impresa e sul lavoro oppure sulla rendita. Ma dobbiamo sapere che la rendita non sarà eterna: se le cose non cambiano quel patrimonio cominceremo presto a mangiarcelo.
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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda franz il 19/09/2011, 13:37

Lungo articolo che tutto sommato ci racconta questo:
Da noi non investono gli italiani, perché dovrebbero farlo gli stranieri?
E perché dovrebebro farlo? Con le tasse che ci sono qui, non conviene. La Cina è meglio.
L'equo canone ha spappolato il mercato immobiliare italiano, obbligando l'80% degli italiani a comprarsi casa.
Questo ha immobilizzato migliaia di miliardi nel mattone, sostituendolo agli investimenti produttivi.
Due volte. La prima mentre si pagava il mutuo, perché ogni soldo risparmiato e non speso nell'economia reale andava nel mattone. La seconda oggi, perché sono investimenti in gran parte improduttivi, che non generano valore aggiunto.
Ora la politica, respnsabile di tutto questo, vorrebbe rimediare prendendo i soldi ancora dalle tasce degli italiani?
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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda flaviomob il 19/09/2011, 14:38

L'articolo racconta il contrario: gli italiani investono, ma immobilizzando i propri capitali.

Gli stranieri? Nella selva di leggi e di burocratese, scappano terrorizzati :lol:

E nel mattone, o meglio nell'edilizia, la criminalità organizzata ha sempre avuto enormi interessi. E il sistema politico ottime prebende (bustarelle)... esentasse! :lol:


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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda trilogy il 19/09/2011, 16:17

il 24% di chi cerca un mutuo prima casa ha meno di 30 anni

La crisi economica mondiale pesa su tutti, ma stando all’analisi diffusa oggi da Mutui.it, comparatore web di mutui che ha analizzato le richieste di finanziamento per acquisto prima casa compilate negli ultimi mesi, i giovani sembrano soffrine più degli altri. Secondo i dati dell’indagine anche se un preventivo su 4 è richiesto da under 30, la difficoltà arriva al momento di ottenere il finanziamento: nemmeno il 5% delle loro richieste verrà accolto.

«Il 24% delle domande di mutuo prima casa arrivate al sito è compilato da persone sotto i 30 anni – spiega Alberto Genovese AD di Mutui.it – Questo testimonia da un lato, l’interesse dei giovani per l’acquisto della casa (da sempre prova della raggiunta indipendenza economica) e, dall’altro, della loro familiarità con gli strumenti che internet offre per risparmiare e investire al meglio.»

Nel dettaglio, la richiesta media è di 150.000€, pari al 77% del valore dell’immobile che si vorrebbe acquistare; nel 52% dei casi viene preferito il tasso fisso, solo nel 25% quello variabile. Gli under 30, che hanno mediamente 27 anni al momento della compilazione del preventivo, vorrebbero infine che il loro mutuo durasse circa 26 anni.

Non emergono grosse differenze a livello regionale. Se l’età del richiedente e la durata media del mutuo sono pressoché le stesse in tutta Italia, a cambiare sono gli importi che si vorrebbero ricevere; le regioni da cui provengono le domande più ingenti sono Trentino Alto Adige (176.000 euro), Emilia Romagna (173.000 euro), Lazio e Veneto (168.000 euro). Tutte regioni in cui i costi degli immobili sono piuttosto elevati.

Emilia Romagna e Veneto sono anche le regioni in cui si vorrebbe finanziare la percentuale maggiore del valore dell’immobile, entrambe con un Loan To Value superiore all’80%.
Fino a qui il desiderio, che spesso, purtroppo, si infrange sulla realtà: nemmeno il 5% delle domande si concretizzerà in un mutuo concesso.

La mancanza di contratti di lavoro stabili, la difficoltà di trovare un garante o un cointestatario del mutuo e l’indisponibilità di un profilo creditizio affidabile rappresentano le motivazioni principali di questo freno alla concessione del finanziamento.

«In questa situazione tanto complessa per i giovani italiani è bene agire con cautela – afferma Genovese – e confrontare attentamente le diverse offerte delle banche aiuta anche i più giovani a far fronte a un impegno così importante. Lo stereotipo del bamboccione è, appunto, solo un cliché. I giovani avrebbero tantissima voglia di crescere e acquisire indipendenza; l’interesse degli under 30 per i mutui è elevato e tangibile, ma non sempre può, purtroppo, trasformarsi in un’azione concreta.»

http://www.mutui.it/ufficio-stampa/comu ... -anni.html
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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda trilogy il 19/09/2011, 16:22

Giovani senza lavoro e senza casa:
il settore immobiliare va in crisi
Il direttore del Censis: «Urgente prospettare abitazioni di proprietà che incontrino le esigenze dei giovani»

MILANO - Generazione senza lavoro: uno su tre è senza un'occupazione. Generazione senza rappresentanza: la gran parte dei contratti del nuovo millennio sono ispirati alla flessibilità e a tipologie para-subordinate e a partita Iva, poco tutelate anche dal punto di vista sindacale. E soprattutto generazione senza casa: il 36,3% degli under 40 è costretto all'affitto, in un Paese in cui i canoni sono i più alti d'Europa.

L'INDAGINE – Se il noto centro studi Censis certifica l'esistente, dando una base statistica alla nota tendenza che parla di una fortissima domanda di contratti di locazione presente soprattutto nelle grandi città (e che alimenta spesso un meccanismo perverso secondo il quale i canoni d'affitto schizzano sempre più verso l'alto data la mole di studenti e lavoratori alla ricerca di una stanza in condivisione) sorprende che a pagare le conseguenze di questo trend sia soprattutto il settore immobiliare. Dice Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, che le difficoltà del comparto da congiunturali rischiano di diventare strutturali: «La domanda dei giovani e dei nuovi nuclei familiari alimenta sempre meno il mercato della casa. Ecco perché è urgente prospettare un'offerta di abitazioni di proprietà che incontrino le esigenze delle nuove generazioni».

LA VULNERABILITA' – In un settore che ha sempre fatto da volano al prodotto interno lordo il rischio che si staglia nell'immediato è l'esaurimento. In altre parole: non c'è più richiesta di nuove abitazioni residenziali, perché non si può sostenerne la spesa e le banche – deputate ad accendere mutui – mal digeriscono condizioni lavorative iper-precarie e preferiscono non accollarsi l'onere di un cliente a rischio insolvenza. D'altronde in un Paese in cui circa otto famiglie su dieci vivono in una casa di proprietà i margini di crescita del mercato residenziale si restringono al lumicino e il fattore che conta davvero per chi vuole acquistare casa è il welfare di tipo familiare, unico ammortizzatore sociale per i giovani alla ricerca di un'abitazione.

IL PARADOSSO – E il fattore casa finisce per configurare un paradosso, per una società che veleggia ormai versa il trionfo dei lavori nel settore dei servizi e richiede sempre manodopera nell'agricoltura e nell'industria. Quale? Accertato che il mercato del lavoro offre maggiori opportunità solo a chi vive nelle grandi città metropolitane, contenitori delle occupazioni del terziario, il settore immobiliare offre invece maggiori possibilità per chi vive in provincia e nelle regioni meridionali. Scrive il Censis che «nel nord-Est (patria delle piccole imprese a vocazione familiare) e nel Mezzogiorno si registra una maggiore incidenza di casi in cui le famiglie più giovani vivono in una casa che appartiene a un parente, di fatto appoggiandosi al patrimonio della famiglia allargata». E soprattutto nei comuni fino a 30mila abitanti l'accesso alla proprietà appare meno problematico per le famiglie più giovani, data una domanda minore e un prezzo per forza di cose più alla portata.

CONTROCORRENTE – E se da un punto di vista sociale più generale lo schema che si profila all'orizzonte è quello di cinture metropolitane sempre più allargate (con un pendolarismo sempre più diffuso) è chiaro che per intercettare questa tendenza bisognerà fare qualcosa visto che siamo uno dei pochi Paesi europei che disincentiva le nuove generazioni a uscire dall'alveo familiare: in Francia il 28,7% dei giovani è in una casa con contratto d'affitto calmierato. E se oltralpe spuntano sempre più modelli residenziali basati sul low-cost, da noi, a stento, i giovani riescono (sempre meno) ad accedere ai finanziamenti pubblici (a carattere regionale) per lenire le spese per l'affitto.

Fabio Savelli
17 settembre 2011
http://www.corriere.it/economia/11_sett ... 55c8.shtml
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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda franz il 19/09/2011, 16:47

flaviomob ha scritto:L'articolo racconta il contrario: gli italiani investono, ma immobilizzando i propri capitali.

Caso mai hanno investito, nel passato, e quindi avendo puntato nel mattone, ora è tutto immobilizzato.
Quindi non investono, come dicevo. Come potrebbero?
Giusta l'osservazione sulla criminalità organizzata ma essendo l'edilizia ancora oggi un'attività ad alta intensità di manodopera, costruire è l'interesse anche di sindacati e lavoratori. Piu' di 1 milione e seicentomila, mi pare.

In ogni caso, che siano case in proprietà o che siano in affitto, le case bisogna costruirle lo stesso (per non vivere sotto i ponti) e magari bisognerebbe anche utilizzare quella sfitte, magari ristrutturandole se sono inadeguate agli standard moderni.


L’Italia possiede il record europeo di case sfitte 17/12/2005

L'Italia ha il record delle case sfitte in Europa, il 24% sul totale degli appartamenti, contro una media europea dell'11,8%.
È quanto emerge dai dati di Cecodhas, l'organizzazione che riunisce 46 federazioni di associazioni no-profit impegnate nell'alloggiare i cittadini più poveri.
Il dato sugli appartamenti sfitti va visto però in chiave regionale; infatti nel nord è pari al 19% del totale, al centro al 20%, mentre a sud raggiunge il 34%.
Il numero medio di stanze in Europa è di 3,6 per appartamento, per una superficie media complessiva di 76,5 metri quadrati.
Gli irlandesi sono quelli che in Europa hanno più stanze, 5,2 per casa [e ci credo, con tutti figli che fanno! NDR], l'Italia invece ne ha in media 2-3.
Il 37,6% delle abitazioni europee è stato costruito tra il 1945 e il 1970. Il 69% degli europei vive in una casa di proprietà. Gli alloggi a equo canone sono invece il 10,1%.
Il paese con il più alto numero di affitti sociali è l'Olanda, dove rappresentano il 35% del totale nazionale.
La casa incide sul bilancio familiare per il 26% del reddito in Belgio, mentre a Malta pesa per l'8,4%. In Italia è al 24,7%.
Il canone medio europeo è di 200 euro al mese.
Quello degli affitti è un mercato che in Europa muove in media 3 miliardi e 600 milioni di euro all'anno e occupa quasi 300 mila persone.

Per ulteriori informazioni
http://www.cecodhas.org
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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda flaviomob il 29/09/2011, 17:40

Ma allora..?

http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=17364

Pensioni: CGIL, basta con il tormentone. Il Fondo INPS dei lavoratori dipendenti è in attivo

In merito ad un eventuale nuovo intervento sulle Pensioni da parte del Governo, la Confederazione afferma che "sulle pensioni i lavoratori italiani hanno già dato e continuano ampiamente a dare" visto che "il Fondo INPS per i lavoratori dipendenti non solo è in equilibrio, ma anzi è in attivo".

“E' ora di smetterla con questo tormentone. Sulle pensioni i lavoratori italiani hanno già dato e continuano ampiamente a dare visto che il Fondo INPS per i lavoratori dipendenti non solo è in equilibrio, ma anzi è in attivo”. Lo afferma Vera Lamonica, Segretario Confederale della CGIL con delega alle politiche previdenziali in risposta alle sollecitazioni che arrivano da più parti su un eventuale nuovo intervento sulle pensioni.

“Forse si fa finta di non capire – dice Vera Lamonica – ma il Fondo lavoratori dipendenti INPS non dà nessun problema alle finanze e ai conti pubblici”. Caso mai, secondo la dirigente sindacale, il problema è un altro: “quel bilancio dell'INPS – sottolinea Lamonica - presenta infatti al suo interno evidenti e inaccettabili distorsioni come la forzata solidarietà che deriva dal travaso dei contributi dei lavoratori dipendenti e parasubordinati verso tutto il mondo del lavoro autonomo e dei dirigenti d'azienda industriali, categorie che peraltro - prosegue - continuano a beneficiare di un tasso di sostituzione decisamente molto più favorevole rispetto alla contribuzione versata”.

E a proposito di contributi, spiega ancora la dirigente della CGIL, è evidente che una bassa aliquota al 20% come quella versata dai commercianti e dagli artigiani è un problema oggi per i bilanci dell'INPS, ma sarà un problema domani proprio per tutti quei commercianti e artigiani che avendo versato poco avranno pensioni molto basse. “Ma è ora di smetterla – avverte Lamonica - con le lezioncine ai lavoratori dipendenti”. Ed è ora di fare un po' di chiarezza anche a livello mediatico perché, aggiunge “mentre si continuano ad attaccare le pensioni dei lavoratori, si parla raramente delle passività di altri Fondi, come per esempio proprio quello dei Dirigenti d'azienda”. “Quello che non si dice – conclude Lamonica – è che è già in atto da anni una forma di solidarietà al contrario: dai lavoratori dipendenti ad altri Fondi”.


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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda flaviomob il 29/09/2011, 17:40

Ma allora..?

http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=17364

Pensioni: CGIL, basta con il tormentone. Il Fondo INPS dei lavoratori dipendenti è in attivo

In merito ad un eventuale nuovo intervento sulle Pensioni da parte del Governo, la Confederazione afferma che "sulle pensioni i lavoratori italiani hanno già dato e continuano ampiamente a dare" visto che "il Fondo INPS per i lavoratori dipendenti non solo è in equilibrio, ma anzi è in attivo".

“E' ora di smetterla con questo tormentone. Sulle pensioni i lavoratori italiani hanno già dato e continuano ampiamente a dare visto che il Fondo INPS per i lavoratori dipendenti non solo è in equilibrio, ma anzi è in attivo”. Lo afferma Vera Lamonica, Segretario Confederale della CGIL con delega alle politiche previdenziali in risposta alle sollecitazioni che arrivano da più parti su un eventuale nuovo intervento sulle pensioni.

“Forse si fa finta di non capire – dice Vera Lamonica – ma il Fondo lavoratori dipendenti INPS non dà nessun problema alle finanze e ai conti pubblici”. Caso mai, secondo la dirigente sindacale, il problema è un altro: “quel bilancio dell'INPS – sottolinea Lamonica - presenta infatti al suo interno evidenti e inaccettabili distorsioni come la forzata solidarietà che deriva dal travaso dei contributi dei lavoratori dipendenti e parasubordinati verso tutto il mondo del lavoro autonomo e dei dirigenti d'azienda industriali, categorie che peraltro - prosegue - continuano a beneficiare di un tasso di sostituzione decisamente molto più favorevole rispetto alla contribuzione versata”.

E a proposito di contributi, spiega ancora la dirigente della CGIL, è evidente che una bassa aliquota al 20% come quella versata dai commercianti e dagli artigiani è un problema oggi per i bilanci dell'INPS, ma sarà un problema domani proprio per tutti quei commercianti e artigiani che avendo versato poco avranno pensioni molto basse. “Ma è ora di smetterla – avverte Lamonica - con le lezioncine ai lavoratori dipendenti”. Ed è ora di fare un po' di chiarezza anche a livello mediatico perché, aggiunge “mentre si continuano ad attaccare le pensioni dei lavoratori, si parla raramente delle passività di altri Fondi, come per esempio proprio quello dei Dirigenti d'azienda”. “Quello che non si dice – conclude Lamonica – è che è già in atto da anni una forma di solidarietà al contrario: dai lavoratori dipendenti ad altri Fondi”.


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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda Robyn il 29/09/2011, 21:12

Ma,il problema non sono le finanze,ma i contributi che sono alti perche l'età di pensionamento era troppo anticipata.Si può scegliere anche un sistema flessibile.Si può andare in pensione un pò prima ma con un assegno più basso.Il problema è capire se questa maggioranza con la lega presente riesce a fare questa riforma,altrimenti bisogna fare la scelta di sciogliere le camere e farla noi questa riforma perchè il paese non può rimanere bloccato.Da parte nostra non ci sarebbero problemi per patrimoniale e dismissioni,bisogna capire se il nostro elettorato accetta questa riforma delle pensioni.Sta di fatto che questa maggioranza non riesce a fare ne patrimoniale e ne riforma delle pensioni ciao robyn
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Re: patrimoni e crescita

Messaggioda franz il 29/09/2011, 21:22

flaviomob ha scritto:Ma allora..?

http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=17364

Pensioni: CGIL, basta con il tormentone. Il Fondo INPS dei lavoratori dipendenti è in attivo

Ho letto il bilancio ufficiale INPS (l'ultimo) alcune settimane fa e non è vero.
Le uscite superano di parecchio le entrate.
Si trova in rete. Provate a leggerlo anche voi.
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