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il modello tedesco

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il modello tedesco

Messaggioda trilogy il 19/09/2013, 20:51

Una formula vincente per l’Europa
La metamorfosi del modello tedesco
Angelo Bolaffi
26/06/2013

All’inizio di questo millennio, la Germania era “il malato d’Europa”: un paese in crisi che non sembrava in grado di riprendersi dallo shock della riunificazione. Basso tasso di crescita, alto tasso di disoccupazione e un debito pubblico fuori controllo a fronte di un preoccupante calo degli investimenti privati. Oggi a poco più di un decennio di distanza la Germania è una nazione ammirata e invidiata - forse anche temuta - in tutta Europa.

Miracolo tedesco
Secondo Fareed Zakaria, giornalista di Newsweek, il sistema tedesco potrebbe “rivelarsi il più efficiente e il più adatto a un mondo globalizzato”. Per Claudio Magris “in questo momento la Germania è, in Europa, il paese leader”. Ma quali le cause di questa straordinaria e vincente metamorfosi? Sono di duplice natura: storico-strutturali - hanno cioè a che fare con quello che viene definito Modell Deutschland - ma anche contingenti - dovute cioè all’azione degli attori politici e alle loro decisioni.

La principale spiegazione di questo ‘nuovo miracolo tedesco’ ha un nome preciso: Agenda 2010, la più radicale riforma dello Stato sociale nella storia del dopoguerra tedesco che ha permesso una riconversione strutturale del sistema economico-produttivo. A realizzarla fu il governo di Gerhard Schröder per rispondere alla sfida della globalizzazione.

L’agenda non solo ruppe con una consolidata tradizione di relazioni industriali, ma ridisegnò il rapporto tra diritti dei cittadini e compiti dello Stato. Si trattò di una decisione molto difficile per un leader del partito socialdemocratico tedesco (Spd) che, dopo aver abbandonato il ‘mito’ della lotta di classe, aveva fatto della tutela ‘dalla culla alla bara’ dei diritti sociali acquisiti la propria ragion d’essere.

La radicale riforma alla quale Schröder ha sottoposto lo Stato sociale (Sozialstaat) ha dato i suoi frutti: oggi la Germania è il paese leader - come lo era stata la Repubblica di Bonn a cavallo del decennio ’80-‘90 del secolo scorso - dell’export mondiale e vanta al tempo stesso il più basso tasso di disoccupazione giovanile in Europa.

Questo non significa però che in Germania non si sia prodotta in questi anni una drammatica divaricazione sociale a causa della polarizzazione della ricchezza e della crescita esponenziale delle differenze economiche a danno del ceto medio e delle classi più deboli. Questo è avvenuto però in una forma socialmente molto più tollerabile di quanto sia successo altrove grazie al buon funzionamento dei sistemi di sicurezza sociale e di regolazione del mercato del lavoro.

Ascensore sociale
Per quanto riformato, dunque, il ‘modello tedesco’ è riuscito a tenere assieme, anche in una situazione radicalmente trasformata dai processi di globalizzazione, gli imperativi sistemici del mercato e quelli etici della ragione sociale, coniugando sapientemente la necessaria flessibilità nell’uso della forza lavoro con la garanzia della difesa del posto di lavoro.

Per questo le riforme tedesche hanno puntato non sulla moltiplicazione del precariato ma sulla mobilità interna all’impresa. Una mobilità attraverso la quale i lavoratori con un ritmo costante, ma soprattutto nei periodi di crisi, approfondiscono le proprie conoscenze e apprendono mansioni diverse, generalmente di livello più elevato e che produce una formazione continua a tutti i livelli.

Secondo Romano Prodi, la mobilità è, in questa forma, “un ascensore sociale e professionale che viene soprattutto utilizzato all’interno dell’azienda e contribuisce (…) alla formidabile e sorprendente affermazione dell’industria tedesca nel mondo”.

Si crea quindi un partenariato sociale espressione di un ‘compromesso di classe’ che assicura un importante ruolo di controllo e di codecisione al sindacato senza che tale ‘alleanza dei produttori’ istituzionalizzata nella cogestione (Mitbestimmung) paralizzi i processi decisionali o ostacoli l’introduzione di innovazioni produttive nelle aziende.

Semmai il contrario. L’ontologica divaricazione tra i modelli di relazioni industriali - quello consensuale che caratterizza il Modell Deutschland e quello conflittuale dei paesi dell’area mediterranea (Francia, Italia, Spagna in primo luogo) - si riverbera nella pratica di differenti strategie seguite da sindacati e imprenditori ed è all’origine del crescente differenziale di produttività tra le aree economiche dello spazio dell’euro che è la ragione principale, assieme alla differenza del tasso di indebitamento degli Stati, dell’odierna crisi della moneta unica.

Capitalismo renano
“La forza che fa oggi della Germania un punto di riferimento della politica europea, nei grovigli di una sconvolgente e fantomatica crisi finanziaria” scrive Claudio Magris in un articolo di elogio del Modell Deutschlandha origini antiche, ha radici in quel capitalismo ‘renano’ che - rigorosamente capitalistico e alieno da qualsiasi tentazione di terze vie - si distingue decisamente da quello anglosassone e specialmente americano (..). Una tradizione capitalistica che valorizza il risparmio, che non abbandona la produzione - anzi la privilegia - per la speculazione (…). Una tradizione che ha visto i sindacati contribuire sotto vari aspetti alla gestione e ha elaborato un sistema di previdenze, pensioni, assistenza sanitaria che ha creato un mondo decente senza cedere troppo agli abusi assistenzialistici”.

Il modello di ‘capitalismo renano’ risulta in grado di rispondere alle sfide economiche del mercato globale molto meglio del modello anarchico-conflittuale dei paesi mediterranei - fatte salve le debite differenze tra quello inflazionistico all’italiana e quello neocolbertiano della Francia - e di quello liberal-manchesteriano dei paesi anglosassoni - anche qui fatte salve le dovute differenze tra Inghilterra e Stati Uniti - mantenendo al tempo stesso le conquiste e i diritti sociali.

Al Modell Deutschland dovrà necessariamente orientarsi qualsiasi politica che voglia salvaguardare le conquiste sociali, economiche e normative del modello europeo evitando al tempo stesso di imboccare la via senza ritorno del declino strutturale.

Angelo Bolaffi, filosofo della politica e germanista. Dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’istituto italiano di cultura di Berlino. In questi giorni è uscito il suo ultimo libro: Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea ( Roma, Donzelli).
da: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2354
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Re: il modello tedesco

Messaggioda flaviomob il 20/09/2013, 0:45

Se i socialdemocratici hanno fatto la migliore, la madre di tutte le riforme, perché dopo hanno continuato a perdere?


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Re: il modello tedesco

Messaggioda franz il 20/09/2013, 8:20

flaviomob ha scritto:Se i socialdemocratici hanno fatto la migliore, la madre di tutte le riforme, perché dopo hanno continuato a perdere?

Credo sia spiegato dalla lettura del testo che segue, ma prima dovo segnalare che su wiki esiste la pagina su agenda 2010 soli in poche lingue (ovviamente tedesco, inglese e franceso poi sorprendentemte il latino) e manca l'Italiano.
Consiglio quindi la scheda in inglese: http://en.wikipedia.org/wiki/Agenda_2010

Veniamo al testo: http://www.giornalettismo.com/archives/ ... enda-2010/

Vi risparmio il pistolotto, anche perché dice sostanzialmente le cose riportate sopra.
Segnalo solo questi brani.
RISULTATI CONTROVERSI - L’Agenda 2010 scatenò un’ondata di proteste nella base progressista della socialdemocrazia tedesca, con la ribellione guidata dai sindacati. Schröder crollò subito nei sondaggi, visto che il cancelliere aveva tradito una delle sue promesse elettorali più importanti, lo stimolo dell’economia senza interventi di riduzione sul welfare. L’opposizione conservatrice, guidata dalla Merkel, incalzò l’esecutivo rosso-verde sottolineando come le riforme previste fossero comunque troppo timide. Il primo impatto dell’Agenda 2010 fu in realtà fallimentare. I costi dei sussidi di disoccupazione Hartz IV schizzarono verso l’alto, visto che i nuovi calcoli delle persone da considerare in cerca di lavoro fecero aumentare a più di 5 milioni il numero dei disoccupati. Il primo anno Hartz IV costò 25 miliardi di euro, più di 11 rispetto al previsto. Il 2003 però si chiuse in recessione, e nel 2004 la ripresa fu timida come nel 2005, decisamente inferiore rispetto alla media europea. Il combinato di basso incremento del Pil e spese superiori al previsto fece schizzare verso l’alto il deficit tedesco. La Germania, insieme alla Francia, pensionarono così il Patto di Stabilità e di Crescita, che prevedeva sanzioni per gli stati membri dell’eurozona che non rispettavano i criteri di un deficit massimo del 3%. La riforma del Patto fu in realtà già annunciata da Gerhard Schröder quando parlò di obiettivi di bilancio che non sarebbero dovuti essere interpretati in modo statico. La Germania però si riprese, e da allora il mondo si è stupito del “nuovo miracolo del lavoro” tedesco. Nella Repubblica federale lavorano 42 milioni di persone, record assoluto, e dal 2005, quando l’intero pacchetto dell’Agenda 2010 è entrato in vigore, sono stati creati quasi 3 milioni di posti di lavoro. La Germania cresce stabilmente più dell’eurozona dal 2006, con la sola eccezione del 2008, quando la crisi finanziaria colpì in modo severo il sistema finanziario tedesco.
....
EUROPA E SINISTRA IN DIFFICOLTA’ - L’aspetto più contradditorio dell’Agenda 2010 è chi ne ha beneficiato, ovvero Angela Merkel. La cancelleria che avrebbe dovuto essere la Thatcher tedesca si trovò con il lavoro più duro già fatto dalla socialdemocrazia, entrata in crisi proprio per le sue riforme che hanno ripensato il welfare tedesco. Ancora oggi in ogni exit poll le maggiori lamentele degli elettori della Spd al loro partito riguardano l’introduzione di Hartz IV. Dal 2003 la socialdemocrazia è entrata in una crisi di consenso, che ha conosciuto momenti di notte profonda come quando nel 2004 più di centomila iscritti abbandonarono il partito più antico del mondo. L’Agenda 2010 ha messo inoltre in difficoltà l’Europa e i partner commerciali della Germania. Mentre negli anni del credito facile i prezzi crescevano stabilmente nei paesi come Spagna o Grecia, il sistema produttivo tedesco ha messo in atto una strategia di deflazione salariale che l’ha reso ancora più competitivo nei confronti dei partner europei. Gli enormi surplus della bilancia commerciale tedesca nei confronti della periferia dell’unione monetaria risentono anche delle scelte operate dieci anni fa dal governo di Gerhard Schröder. Ancora oggi la sua eredità è molto controversa: se la nemica di un tempo, Angela Merkel, ne lodò il coraggio ai tempi della Grande Coalizione, la sinistra ancora oggi non sa se rivendicare gli effetti di quelle riforme, oppure ripensarle con un maggior attenzione al suo messaggio tradizionale di giustizia sociale.


Altra cosa non detta è che agenda2010 segno di fatto una rottura tra socialdemcrazia e sinistra (linke) e questo comporto' poi la necessità per i socialdemocratici tedeschi di allersi con la CDU (grande coalizione del 2005) per portare avanti quelle riforme.

Venendo il punto posto da flavio, perché malgrado le coraggiose riforme la socialdmocrazia tedesca perde?
Penso che se da un lato dovremmo considerare che un partito pensa al bene comune, non è detto che questo debba coindidere con l'interesse elettorale suo. A volte si, a volte no.

In realtà perde la socialdemocrazia un po' ovunque. Svezia e Norvegia, tanto per citare la culla della socialdemocrazia scandinava.
Ma recentemente anche germania ed inghilterra (malgrado anche qui le coraggiose innovazioni di Blair) vedono vittoriosi i conservatori. Solo la Francia è in contro tendenza mentre per l'Italia siamo cosi' in bilico che si è dovuti ricorrere ad un governo di larghe intese, pur difficile da digerire.

Sul perché il modello socialdemocratico sia in difficoltà credo debba essere fatta una riflessione apposita.
Trionfano conservatori e populisti. Questa è una caratteristica comune da nord a sud.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
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