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Analisi del programma economico di Renzi

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Analisi del programma economico di Renzi

Messaggioda franz il 06/07/2013, 12:12

Cosa manca alla Matteonomics per far ripartire l’Italia
Filippo Taddei

Gutgeld offre buone proposte, ma mancano idee condivisibili su riforma fiscale e mercato del lavoro

Il programma economico di Yoram Gutgeld, definito da Claudio Cerasa sul Foglio Matteonomics – sarebbe infatti il nucleo del programma economico di Matteo Renzi per la Segreteria PD/ Presidenza del Consiglio – parte da una buona intuizione, imposta una analisi condivisibile della crisi dell’economia italiana e conclude con tre categorie di proposte:

    una manutenzione del nostro settore terziario che lo renda più efficiente;

    una riorganizzazione della spesa della pubblica amministrazione e un riorientamento degli investimenti verso le piccole opere;

    una riduzione fiscale per i redditi medio-bassi accompagnati da una patrimonializzazione del nostro sistema produttivo di piccole e medie imprese.

Accanto ad alcune ottime proposte che si basano sull’esperienza manageriale del proponente e che discendono da una impostazione analitica fondamentalmente corretta, ci sono invece due aspetti cruciali e difficilmente convincenti: il primo è un’idea piuttosto discutibile di riforma fiscale che sottovaluta gli incentivi individuali e, in particolare, offre un’idea molto rischiosa del finanziamento della riduzione dell’imposta sul reddito; il secondo è l’assenza del desiderio di prendere di petto l’estrema dualità del nostro mercato del lavoro con un’idea di riforma che favorisca la stabilizzazione lavorativa.

Queste mancanze rendono la piattaforma di governo proposta interessante ma non ambiziosa. La scelta determinata non è di provare a cambiare la struttura profonda di questo paese, ma di offrire alcuni importanti miglioramenti. Il problema italiano è che questo paese ha smesso da molto tempo di cercare di essere il luogo ideale per chi vuole lavorare. Lo ha fatto sì con una pubblica amministrazione inefficiente, come nota Gutgeld, ma soprattutto con un sistema fiscale sconsiderato e un livello di corruttela purtroppo endemico. Se si vuole affrontare il problema italiano della crescita bisogna condividere questa considerazione.

L’intuizione della rappresentanza
Partiamo dall’intuizione iniziale della piattaforma di Gutgeld: la scelta di “rappresentare gli interessi della maggioranza silente” – differente da quella silenziosa - è ottima. É difficile dire che questo sia patrimonio della sinistra (anche una destra liberale la farebbe sua), ma certamente mette l’accento sul problema della politica italiana per eccellenza. Questa non riesce a rappresentare la parte produttiva del paese, trasversale ai diversi gruppi sociali, che comprende lavoratori e imprenditori, il pubblico e il privato, e fatica a trovare rappresentanza. É la nostra parte migliore, dispersa ma essenziale, incapace di coalizzarsi contro “il paese delle gilde e delle associazioni” perchè mai trova degni rappresentanti politici che sappiano ascoltarne i silenzi e offrire risposte. Solo da questa scelta di “proteggere gli interessi generali degli italiani, degli italiani onesti, degli italiani poveri” può arrivare un vero cambiamento di questo paese. L’obiettivo di cambiare il paradigma dominante italiano passando dai dibattiti vocali che si chiudono con riforme marginali e transitorie - modello “articolo 18” - a discussioni condivise ma ferme che portano a cambiamenti profondi, è il punto di svolta necessario.

L’impostazione analitica della crisi italiana
La mancanza di ascolto della parte produttiva di questo paese ha portato alla crisi economica che conosciamo. La crisi che preoccupa non è solo quella internazionale, ma soprattutto quella nazionale che ci fa stare peggio dei paesi al nostro livello di sviluppo. Basta osservare come il nostro tasso di crescita sia calato nel confronto con Francia e Germania dagli anni ‘70 ad oggi. Se poi si guardasse al tasso di crescita medio del reddito pro capite, il quadro sarebbe ancora peggiore. Questo crollo è il crollo della nostra competitività. Gutgeld fa bene a soffermare l'attenzione sull’evoluzione del costo del lavoro per unità produttiva (Clup) per misurare la perdità di competitività italiana. Il confronto con la Germania, che per il sistema produttivo del nord Italia rimane un riferimento essenziale, è semplicemente impressionante. Il costo per produrre in Italia è cresciuto del 26% in più in Italia che in Germania dal 2000 al 2011 mentre i salari netti sono rimasti identici.

Gutgeld analizza la composizione di questo differenziale e argomenta che solo una parte relativamente piccola – 6% su 26% – è dato da un reale differenziale di produttività. La parte principale del differenziale è data dagli scostamenti tra il cambiamento del cuneo fiscale e dalla inflazione italiana e tedesca. Qui sta la svolta analitica e la novità dell’analisi di Gutgeld, rispetto a quanto tipicamente proposto: “la bassa produttività dei servizi sia pubblici che di mercato, servizi che complessivamente rappresentano quasi tre quarti dell’economia italiana”. In un sistema produttivo in cui le imprese sono molto più indebitate delle media europea e in cui la pubblica amministrazione spende in maniera inefficiente (come Gutgeld sottolinea nel documento), è bastato poco alla crisi internazionale per rendere questa situazione insostenibile. Questa è la base analitica alle proposte delle piattaforma.

Le proposte di Gutgeld
Le proposte sono coerenti con l’analisi precedente e poggiano su tre pilastri: (1) una manutenzione del nostro settore terziario che lo renda più efficiente, (2) una riorganizzazione e riorientamento della pubblica amministrazione, (3) una riduzione fiscale per i redditi medio-bassi e un sostegno alla patrimonializzazione delle piccole e medie imprese. Analizziamole una alla volta.

1. Il punto di partenza per identificare la superiore inflazione nel settore dei servizi è, ancora una volta, il confronto tra Italia e Germania. Vi è poco dubbio che il nostro terziario sia ancora piuttosto ingessato e guidato da authority onerose ma non certo efficaci nel controllo. I numeri presentati mostrano questo caso con forza, anche se qualche attenzione in più è dovuta. Se pensiamo ai servizi ferroviari e finanziari, il miglioramento della qualità del servizio è stato gigantesco nel periodo 2000-2011 in Italia ed è probabile che una Germania più avanzata abbia fatto un salto qualitativo inferiore. Sono osservazioni comunque che non cambiano la natura dell’argomento. La proposta di Gutgeld è di operare una profonda riorganizzazione al fine dell’efficientamento. Questo è il punto politico e la forza dell’argomento si regge sugli esempi. Quanto proposto con l’esempio della RC auto per abbassare i costi delle polizze ai cittadini fa ben sperare.

2. La proposta riorganizzazione dei servizi non si dovrebbe fermare a quel settore ma dovrebbe andare ben in profondità, intervenendo nei gangli della pubblica amministrazione. La prima osservazione è che la spesa pubblica italiana, al netto degli interessi, è stata nel 2011 più alta di quella tedesca di quasi tre punti. Questo è certamente vero ma, ancora una volta, il dato va preso con maggiore attenzione. Se guardiamo al 2010, il differenziale tra la spesa pubblica italiana e tedesca, al netto degli interessi, è di pochi decimali di Pil: entrambe, stando ad Eurostat, si attestavano al 45%. Il differenziale di spesa pubblica del 2011 risente del fatto che mentre l’Italia è in recessione dal 2010, la Germania è cresciuta abbassando la percentuale tra spesa e Pil per motivi ovvi.

Malgrado questo, Gutgeld qui offre una bella analisi, probabilmente la parte migliore di questa piattaforma. La risposta offerta è la bassa produttività della spesa pubblica perchè mal gestita e indirizzata. Gutgeld osserva come una spesa pubblica incentrata su una struttura centralista, capillare ma inefficace e su grandi opere, non abbia speranza di funzionare. L’analisi spazia dalla riorganizzazione delle Prefetture, alla gestione del patrimonio immobiliare pubblico, alla spesa sociale, per finire sul riorientamento degli investimenti pubblici verso le piccole opere che, come mostra Gutgeld, mostrano una ben maggiore produttività. Si stima un impatto potenziale di queste riforme in termini di 2 punti di Pil. É difficile capire se questo sia un numero realistico, ma in questo ambito stiamo certamente parlando di riforme dall’impatto non marginale.

3. La parte finale delle proposte di Gutgeld ha a che fare col vituperato fisco italiano. L’osservazione iniziale è classica: un paese con una infedeltà fiscale stimata a 150 miliardi di gettito evaso, doppia rispetto a Francia e Germania, non può farcela. La proposta consiste quindi nel riorganizzare il sistema di lotta all’evasione, centralizzare le informazioni sui redditi e patrimoni dei cittadini italiani e limitare i pagamenti in contante. L’obiettivo è allineare i nostri livelli di evasione ai nostri paesi partner. A questa proposta si aggiunge uno sgravio fiscale di 90 euro al mese per 27 milioni di contribuenti italiani che dichiarano meno di 30.000 euro lordi all’anno. Dal momento che la lotta all’evasione richiede tempo, il finanziamento della riduzione fiscale per il 2013 avverrebbe in due modi: (a) attraverso le alienazioni del patrimonio pubblico e, in particolare, con la “messa in vendita immediata di tutte le case popolari agli inquilini a prezzo di favore stabilito nazionalmente”, da cui si stima un ricavo che “supera i 30 miliardi” e il cui 20-40% del ricavato rimarrebbe nelle casse comunali, utilizzando il resto per la riduzione deIl’Irpef sulle fasce di reddito medio basse; (b) “utilizzando la Cassa Depositi e Prestiti per pagare una quota della spesa in conto capitale, creando uno spazio di manovra di pari misura per una riduzione delle tasse”. Dal 2014 “il gettito fiscale atteso dalle azione di prevenzione dell’evasione” dovrebbe finanziare il finanziamento della riduzione fiscale.

La piattaforma di Gutgeld conclude con alcune considerazioni per favorire la patrimonializzazione delle imprese italiane, imprese che investono ancora poco e ricorrono al debito più delle loro concorrenti europee. Questa parte, per quanto riferita ad una questione importante, è difficile da valutare perchè la proposta non è definita in grande dettaglio.

Quel che manca per farne una piattaforma di governo del paese adatta al Pd
La piattaforma di Gutgeld è un piano ambizioso sotto il profilo manageriale perchè punta sulla riorganizzazione della spesa pubblica e del settore dei servizi. Propone una riduzione del fisco sul lavoro, ma l’impostazione generale tratta con leggerezza la forza degli incentivi individuali. Anche quando si dimostra attento alla sperequazione della distribuzione dei redditi italiani, sceglie di non analizzare come gli incentivi offerti alle persone in Italia ci abbiano portato in questa situazione. Se non interveniamo sulla struttura profonda della nostra società, che offre incentivi agli individui per comportarsi in un modo o nell’altro, è improbabile che saremo in grado di trasformare questo paese al di là di quello che una sapiente - anche la più sapiente - riorganizzazione della nostra struttura produttiva e pubblica possano fare. Per questo dobbiamo fare di più. La buona notizia è che possiamo farlo, se, appunto, riportiamo gli incentivi individuali al centro dell’analisi.

La proposta di riduzione di sgravare il carico fiscale su chi dichiara meno di 30 mila euro lordi all’anno va nella giusta direzione. Eppure non c’è persona all’interno del Partito Democratico che oggi non ne parli. Il grande merito di Matteo Renzi fu proprio di far affermare il tema nel dibattito delle primarie. La differenza tra tutte le posizioni la fa il finanziamento di questo sgravio. Tutti sanno che non è possibile fare tagli delle tasse a debito. La condizione politica europea al momento non lo permette. La scelta di finanziare una riduzione delle entrate ordinarie – un taglio alle tasse – con un’entrata straordinaria – la vendita delle case popolari e l’intervento della Cdp è però una scelta molto discutibile.

I motivi sono essenzialmente due. Il primo è che non è mai una buona idea finanziare spese o ridurre entrate ordinarie, liberandosi di pezzi del proprio patrimonio. Se vogliamo alienare parte del nostro patrimonio e ci sono ottime ragione per farlo anche con maggiore radicalità, allora utilizziamo i proventi per ridurre il debito pubblico. Con gli spread in aumento potremmo ricomprare una buona fetta di debito e sgravare le generazioni future. Il secondo motivo per cui questa scelta è discutibile ha a che fare con la politica italiana. Promettere tagli alla pressione fiscale finanziati da lotta all’evasione non ha alcuna credibilità in Italia, al di là di chi le proponga. Gli italiani lo sanno e non ci crederebbero. Inoltre, francamente, la pressione fiscale sul reddito in italia è spropositata. Lanciarsi nella lotta all’evasione senza prima abbassarla significa disconoscere questa ovvietà ed essere destinati ad una crisi di consenso a cui nessun governo prima è riuscito a fare fronte.

Il sostegno dei cittadini onesti, ha bisogno del riconoscimento degli incentivi individuali: prima riduciamo le imposte sul reddito e poi lanciamoci nella lotta all’evasione come non abbiamo mai fatto. Per finanziare la riduzione dobbiamo però intervenire sulla spesa pubblica ordinaria, non straordinaria. Se vogliamo aumentare il reddito disponibile tagliando l’Irpef, dobbiamo garantire agli italiani che non sarà la sorpresa di un anno finanziata dall’alienazione di immobili, ma il risultato di una permanente riduzione della spesa pubblica ordinaria. A questo riguardo, un buon punto di partenza è la spesa pubblica per Affari Generali dello Stato (categoria Cofog), dove l’Italia si colloca al di sopra del Regno Unito e della Germania per circa 1% di Pil come abbiamo avuto modo di evidenziare in passato.

La seconda mancanza sorprendente di questa piattaforma è legata al mercato del lavoro. Gutgeld osserva con esattezza che il dibattito sull’Articolo 18 è stato completamente fuorviante. Il tema non dovrebbe essere centrale al nostro dibattito. Eppure, riconoscere il fatto che il dibattito sia stato errato e manchevole non equivale a risolvere il problema sottostante. Il mercato del lavoro italiano non offre incentivi individuali alla formazione e all’impegno perchè gli stipendi sono fermi (qui vale quanto osservato sopra), ma soprattutto una fetta sempre maggiore della popolazione, specie tra i giovani, non trova un inquadramento professionale che possa favorire questo impegno.

Il problema italiano è un’anomalia europea, forse mondiale. Abbiamo una percentuale di lavoratori autonomi doppia rispetto alla Germania e una percentale di lavoratori a tempo determinato che, anche se è comparabile alla Germania e Francia tra i giovani, rimane molto più alta tra i lavoratori più anziani. Mentre da noi i lavoratori a tempo determinato danno origine al fenomeno del precariato prolungato, in quei paesi le percentuali di lavoratori temporanei si riducono drasticamente coll’anzianità del lavoratore. La sinistra intellettuale italiana ha prodotto due grandi progetti di riforma su questo tema: la Flexsecurity di Ichino e il Contratto Unico di Boeri e Garibaldi. Se si vuole abbandonare la proposta di Ichino, almeno non si dimentichi che esiste l’alternativa di Boeri e Garibaldi. Solo all’apparenza è meno ambiziosa e avrebbe un effetto immediato molto forte. Non sembra comprensibile rinunciare ad affrontare la dualità del mercato del lavoro se si vuole diventare la proposta politica del PD per il governo.

Il programma economico di Yoram Gutgeld (clicca per sfogliarlo)
http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... nistra.pdf

Il programma economico di Gutgeld pubblicato da Cerazade, il blog di Claudio Cerasa su Il Foglio

Twitter: @taddei76

*L'autore si trova al momento nella Repubblica Popolare Cinese ove non è possibile accedere a Facebook o Twitter per i motivi ben noti. Se volete contattarlo scrivete a filippo.taddei@gmail.com

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/matteonomics#ixzz2YG6ZxERS



Yoram Gutgeld: http://it.wikipedia.org/wiki/Yoram_Gutgeld
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Re: Analisi del programma economico di Renzi

Messaggioda Robyn il 06/07/2013, 18:58

Non vanno bene ne la proposta Ichino ne la proposta Boeri
In prima fila bisognerebbe riformare la flessibilità in ingresso
La prova dovrebbe essere limitata a due anni al'interno del quale poter inserire dei contratti a termine reiterabili una sola volta.Per permettere la valutazione del merito ed evitare gli abusi i contratti a termine dovrebbero costare come quelli stabili,ma si dovrebbe pagare X se il contratto non viene reiterato o 2X se non c'è l'assunzione a tempo indeterminato.Poi le tipologie contrattuali da inserire nel limite dei due anni sono il lavoro subordinato a tempo pieno e il part-time con clausole elastiche defiscalizzato per le donne dal momento che le altre formule contrattuali sono inutilizzate come il contratto ripartito facilmente sostituibile con il part-time e il lavoro intermittente che si può baipassare con la plurisettimanalità.Inoltre in Gran Bretagna e Usa il lavoro part-time è preferito a quello ripartito quello ripartito è inutilizzato.Diminuire il cuneo fiscale perchè la maggioranza del lavoro atipico era per risparmiare sul costo del lavoro.Poi esistono i contratti a termine per la temporaneità ben regolati e da utilizzare solo se necessario.Il contratto di somministrazione non esiste.Esiste la possibilità da parte delle aziende ricorrere alle agenzie interinali che rappresentano un'importante strumento per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.Infine molto importante è la formazione permanente,il ricollocamento,la flexsecurity rappresentata da ammortizzatori sociali e reddito minimo garantito.L'apprendistato anche è un fallimento c'è da chiedersi se non era meglio il CFL di due anni con sgravi e formazione,solo che le aziende non garantivano la formazione.Il problema è capire come garantirla per esempio affidandola a dipendenti delle singole aziende oppure fare formazione per due anni al
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Grazie per la critica, ma la Matteonomics funziona

Messaggioda franz il 07/07/2013, 10:03

Il programma economico di Matteo Renzi
“Grazie per la critica, ma la Matteonomics funziona”
Yoram Gutgeld

L'autore del manifesto, Gutgeld, risponde a Linkiesta su riduzione dell’Irpef e mercato del lavoro

Ringrazio Taddei per l’attenta lettura e per i commenti costruttivi. Rispondo senza indugi alle sue osservazioni.

Riforma fiscale
Taddei sembra essere a favore della proposta di ridurre l’Irpef sulle fasce di reddito medio-basse. Non è d’accordo con la mia proposta di finanziare questa riduzione inizialmente con la vendita del patrimonio pubblico, e siccome ritiene la promessa del recupero di risorse dall’evasione fiscale incerta, sostiene che questa riduzione vada finanziata con un taglio della spesa.

Sono d’accordo con Taddei che per ridurre stabilmente le tasse servono tagli alla spesa pubblica e recupero dell’evasione (sul quale peraltro sono forse più ottimista di Taddei), ma abbiamo un problema di tempi. Una riduzione della spesa basata su una vera riorganizzazione dello Stato e non su tagli lineari che massacrano il livello di servizio (e quindi non sostenibili) richiede almeno due anni per iniziare a dare risultati significativi.

Siccome io vorrei una riduzione significativa dell’Irpef immediata (8 miliardi nel 2013 e 16 miliardi nel 2014), ho proposto la vendita del patrimonio pubblico come una fonte tampone finché i risultati della lotta all’evasione e la riorganizzazione dei servizi dello Stato inizino a produrre veri risparmi.

Mercato del lavoro
Taddei lamenta la mancanza nel programma di una proposta per combattere il fenomeno del precariato prolungato che affligge soprattutto i nostri giovani. Lui vede come possibili soluzioni sia la proposta di Ichino, che quella di Boeri e Garibaldi.

Il commento di Taddei mi è utile per tre motivi. Mi permette di sottoscrivere quel che dice Taddei, sia per quanto riguarda il problema sia per la soluzione proposta, un contratto unico a protezione progressiva (di versioni specifiche ce ne sono diverse).

Il commento di Taddei mi consente anche di spiegare il motivo dell’omissione del capitolo sulle regole del lavoro dal documento. È stato il mio modo per sottolineare la posizione che di regole del lavoro se ne sia parlato troppo. Le regole non creano lavoro. Lo possono stabilizzare. Un obiettivo importante ma costoso (servirebbe qualche incentivazione in termini di riduzione dei contributi per farlo ripartire), e comunque meno prioritario rispetto alla vera creazione di nuovi posti di lavoro. In questo contesto aggiungerei alla proposta del contratto unico il rafforzamento del meccanismo dell’apprendistato, che invece servirebbe ad inserire, soprattutto i giovani, nel mercato di lavoro e quindi aumentare il numero dei posti.

Infine, il commento di Taddei mi convince che non posso sottrarmi dal parlare di lavoro. La versione 2.0 del documento ne conterà un capitolo. Ringrazio Taddei per l’opportuno sollecito.

Una conclusione di metodo invece. Ho messo queste idee on line proprio nella speranza di migliorarne sia i contenuti che la comunicazione. Sarei molto grato a chiunque, come Taddei, avesse la pazienza e l’interesse di leggerle e di commentarle.

gutgeld_i@camera.it

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/matteonomics-ri ... z2YLQnju4i
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Re: Analisi del programma economico di Renzi

Messaggioda ranvit il 07/07/2013, 11:18

Sono d’accordo con Taddei che per ridurre stabilmente le tasse servono tagli alla spesa pubblica e recupero dell’evasione (sul quale peraltro sono forse più ottimista di Taddei), ma abbiamo un problema di tempi. Una riduzione della spesa basata su una vera riorganizzazione dello Stato e non su tagli lineari che massacrano il livello di servizio (e quindi non sostenibili) richiede almeno due anni per iniziare a dare risultati significativi.


Minchia! E' quasi la stessa cosa che ho detto io un'ora fa in un 3d del forum "Che fare...etc" :D
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Analisi del programma economico di Renzi

Messaggioda Robyn il 08/07/2013, 9:17

La proposta Ichino non và bene perchè con una flessibilità accentuata sarebbe difficile apprendere una lavoro con ricadute negative sulla produttività.La proposta Boeri invece blocca la flessibilità in uscita e rende precaria la flessibilità in ingresso ed ha una prova di tre anni troppo lunga.Inoltre con la proposta Boeri in qualsiasi momento si può interrompere un rapporto di lavoro con un indennità proporzionata al numero di mesi lavorati con cifre insignificanti,quindi anche qui tempi troppo brevi per la formazione con ricadute negative sulla produttività.Invece nel contratto a termine l'interruzione è possibile solo alla scadenza del contratto e fatta nel bel mezzo comporterebbe per il datore di lavoro il pagamento di tutte le mensilità del contratto a termine,quindi è più favorevole al lavoratore.Inoltre la norma antiabusi con il quale si paga X o 2X con costo del lavoro a termine pari a quello stabile permetterebbe di verificare il merito ed avrebbe come fine di evitare gli abusi che non sono solo la reiterazione infinita dei contratti al quale si può porre rimedio con un limite di due anni e la ripetizione del contratto a termine una sola volta"4+4 8+8 12+12",si evita cioè una precarizzazione al contrario in cui un lavoro dura 4 mesi e poi finisce lì.In breve è una precondizione per andare verso un contratto a tempo indeterminato.Diciamo che la proposta Boeri ha più un sapore ottocentesco una gara fra giuslavoristi tra chi è più bravo a rendere il lavoro precario
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Re: Analisi del programma economico di Renzi

Messaggioda franz il 08/07/2013, 11:13

ranvit ha scritto:Sono d’accordo con Taddei che per ridurre stabilmente le tasse servono tagli alla spesa pubblica e recupero dell’evasione (sul quale peraltro sono forse più ottimista di Taddei), ma abbiamo un problema di tempi. Una riduzione della spesa basata su una vera riorganizzazione dello Stato e non su tagli lineari che massacrano il livello di servizio (e quindi non sostenibili) richiede almeno due anni per iniziare a dare risultati significativi.

Minchia! E' quasi la stessa cosa che ho detto io un'ora fa in un 3d del forum "Che fare...etc" :D

Sono d'accordo anche io che se parte la vera riduzione della spesa pubblica (ma solo se parte, non se si fa finta come ora) e sapendo che non tutti i vantaggi sono immediati (alcuni lo sono ma il grosso darà risultati nel tempo) si puo' fare una sostituzione intertemporale anticipando alcuni sconti fiscali. Ma su Contributi, IRAP e IRES, non IMU, IVA e/o IRPEF.
Ma appunto è un anticipo su introiti provenienti da tagli di spesa, non un impiego diverso di entrate straordinarie, che a mio avviso deve essere portato in gran parte a riduzione del debito, altrettanto straordinario, che abbiamo.
Il significato dell'abbattimento del debito non è tanto per i pochi (2) miliardi di interessi in meno ma il segnale ai mercati, che vedrebbero l'intenzione seria di intervenire sul debito. Questo fa scendere il costo del debito stesso visto che si percepisce un rischio minore. C'è poi un altro aspetto che tu (ed anche Yoram Gutgeld) sembrate non considerare. Se ci sono ogni anno, per 5 anni, entrate straordinarie di 40 miliardi e questi miliardi vengono portati a riduzione del debito, lo stato ha 40 miliardi in meno da rifinanziare e quindi ha 40 miliardi di buoni del tesoro in meno da emettere. Siccome questi soldi da qualche parte devono venire (chi compra i BOT dà in cambio soldi freschi) va da sé che se lo stato non emette 40 miliardi di BOT avremo anche che l'economia privata (banche e famiglie) non potrà comprarli e se ha soldi da investire lo farà altrove. L'economia privata ha 40 miliardi in piu' da investire nel privato e questo vale tantissimo, visto che dall'estero per i motivi che sappiamo nulla si muove. Una cosa infatti che aiuta a strozzare l'economia è questo continuo dragare soldi dall'economia privata verso il settore pubblico. Cosa che non si vede solo con le tasse (un flusso) ma achhe sul risparmio (lo stock di anni di risparmio). Lo stato draga sia con tasse sia il risparmio.

Ora 40 miliardi di soldi in piu' ai privati per investire potrebbe essere diversi da 40 miliardidi soldi in piu' come riduzione di tasse. Sempre 40 miliardi sono ma a noi mancano sia gli invenstimenti sia la liquidità minima per arrivare a fine mese. Poi ci sono anche spese sociali insufficenti in vari settori (ammortizzatori, disablità, assistenza agli indgenti) e quindi ecco perché sono contrarrio all'impiego dei proventi straordinari tutti su sconti fisali. Preferirei un impiego misto: 50-60% a riduzione del debito, 25-30% a riduzione fiscale, 15-2% per spese sociali da potenziare (solo per sostengno al reddito degliindigenti, non nuove spese per personale).

Comuque segnalero' questo thread a Yoram Gutgeld, cosi' vediamo se puo' dire la sua anche qui e non solo all'inKiesta.
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Re: Analisi del programma economico di Renzi

Messaggioda cardif il 09/07/2013, 18:44

Filippo Taddei
" un contribuente che dichiara un reddito mensile di 10,000 euro lordi paga in Italia e in Germania più o meno le stesse tasse. Ma siccome in Italia abbiamo molto meno contribuenti che dichiarano un reddito di almeno 10,000 euro mensili, una coppia che guadagna 2000 euro lordi al mese paga da noi il doppio delle tasse che in Germania."
Non è utile ridurre la sola pressione fiscale, ma è necessario, con la leva fiscale, ridurre il divario, la perequazione tra i troppo ricchi e i troppo poveri per rilanciare la domanda interna. L'aumento della domanda interna avviene per l'aumento dei consumi se si consente una maggiore disponibilità di spesa a chi ha un reddito basso. Chi ha un reddito alto aumenterà solo i suoi risparmi, spostando capitali dall'economia reale a quella finanziaria.

E' da tempo che dicevo che col solo codice fiscale si poteva sapere tutto di una persona; ora ho scoperto che c'è Serpico (SERvizi Per Il COntribuente: solo il nome è sbagliato; è un SERvizio Per Il COntrollo sulla fedeltà fiscale).
La via della deducibilità della spesa per armare il consumatore contro il fornitore e fargli avere interesse a chiedere lo scontrino (o fattura) è di tipo burocratico: a fine anno ogni contribuente farà la dichiarazione allegando migliaia di scontrini (secondo quelli che vorrebbero far detrarre anche la spesa per un caffè); oltretutto quanto aumenterebbe il costo al caf o al commercialista per la dichiarazione? E la vecchina di Giovanardi, quella che non poteva certo usare la carta di credito, deve andare dal commercialista per la dichiarazione dei redditi con scontrini e fatture. Meglio di no.
Serpico, invece, consente di verificare la compatibilità tra gli incassi dichiarati e le spese sostenute. E' necessario spingere verso l'uso delle carte di credito e limitare l'uso delle banconote; dopo di ché Serpico può confrontare il dichiarato con las spesa.
Se il meccanico non mi rilascia la fattura, che m'importa se ha una multa di 500 €; io devo sapere che non può comprare una macchina da 40.000 € ogni anno se non ne dichiara almeno 100.000 (è un semplice esempio). E questo lo dice Sepico, se solo lo si vuol far parlare. La lotta all'evasione passa per questa via: non il controllo a caso sul rilascio degli scontrini per recuperare pochi spiccioli, ma il controllo di un numero molto inferiore di contribuenti che, all'atto di una spessa significativa in relazione al reddito dichiarato, viene sottoposto a verifica. Se non dimostra che la spesa deriva da somme giustificate (risparmi, vincite al gioco o eredità) lo Stato preleva il 30% con ipoteca sul bene (casa, automobile, yacht che sia). Spingere chi deve a dichiarare a farlo, non spingere gli altri a far da braccio armato del Fisco.

Sulla copertura della minori entrate fiscali con i proventi della vendita del patrimonio pubblico:
Yoram Gutgeld: " Una riduzione della spesa basata su una vera riorganizzazione dello Stato ... richiede almeno due anni per iniziare a dare risultati significativi...fonte tampone finché i risultati della lotta all’evasione e la riorganizzazione dei servizi dello Stato inizino a produrre veri risparmi."
Ma anche una vendita richiede tempi lunghi tra accertamenti, visure catastali, valutazioni erariali, gare ecc.
Vendere la parte di patrimonio che non dà utilità alle casse, d'accordo. Ma non finire con lo svendere per la fretta di fare cassa, come ha fatto Tremonti.
E comunque ritengo anch'io preferibile che le entrate da vendita di patrimonio 'pubblico' vadano destinate alla riduzione del debito 'pubblico' (l'assonanza ha un senso).

Del debito pubblico di oltre 2.000 mld, circa 1.285 mld sono risparmi degli italiani (circa 285 mld è direttamente in mano a privati; altri più di 1.000 in mano a banche, assicurazioni e fondi di investimento italiani; ma sempre risparmi degli italiani sono; il resto è in mano a investitori stranieri.
Naturalmente quelli che risparmiano sono cittadini che, a fine mese, hanno messo un po' di soldi da parte; quelli a reddito più alto.
Se lo Stato riducesse del 2% la possibilità di risparmio degli italiani, sarebbero circa 25 mld all'anno di titoli in meno che potrebbe vendere, riducendo il debito pubblico.
L'aliquota marginale in Italia è del 43%, in Germania del 45%. vive la différence.
http://www-3.unipv.it/websiep/wp/558

Yoram Gutgeld
: " Le regole non creano lavoro. Lo possono stabilizzare. "
Giusto. Lo Stato e gli Enti territoriali devono fare la loro parte (snellimenti di procedure, diritti certi e tempi rapidi di risoluzione delle controversie, riduzione degli oneri contributivi). Un'altra parte la devono fare gli imprenditori (investire in ricerca, non distrarre capitali dall'azienda,...). Se una azienda fallisce perché l'imprenditore non non fa questo, l'intervento dello Stato non basta.
Ma mo' mi so' capito bene?
cardif
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Iscritto il: 13/04/2009, 18:29


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