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Un'analisi sul debito pubblico italiano

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Re: Un'analisi sul debito pubblico italiano

Messaggioda franz il 12/01/2013, 17:30

flaviomob ha scritto:E' semplice: austerity come tagli alla spesa sociale, ticket crescenti per il servizio sanitario, "scaloni" per le pensioni quando l'INPS è in attivo e in ogni caso l'aspettativa di vita non è certo uguale per un operaio che ha iniziato a lavorare a 14 anni o per un docente della Bocconi...

Ok, quello è un tipo di austerity alla berlusconi, che non taglia il personale e le vere fonti di spesa. Ed infatti la spesa è cresciuta, malgrado quei tagli. Il risultato netto non è austerity. Parlando di evasione, si stimano per l'Italia da 7 a 11 milioni di addetti. La forbice è ampia ma non credo che siano tutti docenti alla bocconi. Nemmeno penso che siano tutti operai (ci sono anche tanti commercianti e professionisti) ma per esempio nell'agricultura e nell'edilizia in vaste zone d'Italia il 90% è in nero. E nell'edilizia ci lavorano gli operai, anche partendo da 14 anni.
Venendo all'INPS, se ho entrate per 200 ed uscite per 290 e riesco grazie a 91 che arrivano dallo stato ad avere 1 di attivo, non è detto che sia veramente in attivo. Se per esempio ho accumulato debiti passati per 400, quell'1 guadagnato oggi mi porta il debito a 399. E non avendo 399 anni davanti per ripianare debiti credo che sia doveroso fare in modo che INPS abbia maggiori attivi senza ricorrere a fondi statali (e basterebbe fare lo splitting fino in fondo per separare previdenza da assistenza). I numeri li abbiamo già affrontati in tanti thread e non sto a ripeterli. Lo scalone valeva 10 miliardi, sprecati inutilmente perché chi lo ha tolto (l'Unione) poi ha comunque perso le elezioni nel 2008.
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Re: Un'analisi sul debito pubblico italiano

Messaggioda flaviomob il 12/01/2013, 18:51

Il baratro fiscale dell’Agenda Monti

di Luciano Gallino, da Repubblica, 8 Gennaio 2013

Non ci sono solo gli Stati Uniti. Anche l’Italia ha il suo baratro fiscale, come quello Usa di natura politica prima che economica. L’agenda Monti vi dedica ampio spazio, sebbene usi altri termini. In realtà il baratro l’ha aperto il Parlamento quando ha ratificato mesi fa – su proposta del governo Monti – il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento ecc. imposto da Consiglio europeo, Commissione e Bce. L’art. 4 prescrive: “Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore.. del 60%... tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno”. Il Trattato è già in vigore, ma in base a un precedente regolamento del Consiglio, l’inizio della riduzione del debito verso la meta del 60 per cento dovrebbe aver luogo solo dal 2015.

L’agenda Monti riprende quasi alla lettera tale prescrizione (punto 2, comma c). Si tratta a ben guardare del tema più importante sia della campagna elettorale che dell’azione del prossimo governo, quale esso sia. Il motivo dovrebbe esser chiaro. Ridurre davvero il nostro debito pubblico nella misura e nei tempi richiesti dal Trattato in questione è un’operazione che così come si presenta oggi ha soltanto due sbocchi: una generazione o due di miseria per l’intero Paese; aspri conflitti sociali; discesa definitiva della nostra economia in serie D. Oppure la constatazione che il debito ha raggiunto un livello tale da essere semplicemente impagabile, per la ragione che esso deriva sin dagli anni ‘60 non da un eccesso di spesa, bensì dalla accumulazione di interessi troppo alti. Quindi si dovrebbero trovare altre strade rispetto alle politiche attuate da Monti e riproposte dalla sua agenda.

Al fine di ripagare un debito a lunga scadenza in rate annuali è infatti essenziale una condizione: che il debitore, al netto di quanto spende per il proprio sostentamento, abbia ogni anno delle entrate, per tutta la durata prevista, che siano almeno pari in media a quella di ciascuna rata del debito. Nel caso del debito pubblico italiano tale condizione base non esiste. Il Pil supera i 1650 miliardi, per cui il 60 per cento di esso ne vale circa 1000. Mentre il debito accumulato ha superato i 2000. Al fine di farlo scendere al 60 per cento del Pil come prescrive il Trattato, si dovrebbe quindi ridurre il debito di 50 miliardi l’anno per un ventennio.

La cifra è di per sé paurosa, tale da immiserire tre quarti della popolazione. Ma il problema non è solo questo. È che l’interesse sul debito, al tasso medio del 4 per cento, comporta una spesa di 80 miliardi l’anno, la quale si somma ogni anno al debito pregresso. Ne segue che quest’ultimo non smette di crescere. Ora, se riduco il debito di 50 miliardi, avrò sì risparmiato 2 miliardi di interessi; però sui restanti 1950 miliardi dovrò pur sempre pagarne 78. Risultato: il debito è salito a 2028 miliardi (2000-50+78).

L’anno dopo taglio il debito di altri 50 miliardi e gli interessi di 2. Però devo pagarne 76, per cui il debito risulterà salito a 2054. Chi vuole può continuare. Magari inserendo nel calcoletto un dettaglio: l’art. 4 del Trattato prescinde del fatto che il debito di un paese potrebbe col tempo aumentare di molto, per cui l’entità del ventesimo di rientro andrebbe alle stelle. L’Italia, per dire, potrebbe ritrovarsi a fine 2015 con un Pil di poco superiore all’attuale, ma con un debito che a causa dell’accumulo degli interessi ha raggiunto i 2200 miliardi. Così i miliardi annui da tagliare passerebbero da 50 a 60.

Le obiezioni da opporre a quanto rilevato sopra le sappiamo. Il raggiungimento di un discreto avanzo primario ha già permesso di ridurre la spesa degli interessi di 5 miliardi: lo ricorda anche l’agenda Monti. La riduzione del differenziale di rendimento a confronto dei titoli tedeschi permetterà altri risparmi. Dalla dismissione di grosse quote del patrimonio pubblico arriveranno fior di miliardi. Le spese dello Stato possono venire ridotte di parecchi altri punti; qualcuno parla addirittura di 5 punti per più anni, alla luce di una profonda teoria politica che si compendia col dire “bisogna affamare la bestia” (cioè lo Stato, cioè quasi tutti noi). Per finire con l’immancabile “a fine 2013 arriverà la crescita e il Pil riprenderà a salire”.

Ciascuna delle suddette obiezioni o è fondata sull’acqua, come la previsione di ricavare alla svelta decine di miliardi dalla dismissione di beni pubblici – vedi la sorte delle cartolarizzazioni di Tremonti – oppure sull’accettazione per i prossimi venti o trent’anni di politiche lacrime e sangue, ancora peggiori di quelle che hanno afflitto gli ultimi anni all’insegna dell’austerità.

Naturalmente il problema non riguarda soltanto l’eventuale ritorno al governo di Monti con la sua agenda. Riguarda più ancora i partiti come Pd e Sel, che le elezioni potrebbero pure vincerle, ma che hanno dichiarato di voler rispettare nell’insieme l’agenda in parola. Sono essi per primi a dover scegliere la strada per uscire dalle strettoie attuali. Da un lato si profila una grave regressione sociale e politica, oltre che economica, indotta dalla ricerca coattiva del mezzo per ripagare un debito ormai impagabile. Dall’altro bisogna riconoscere questa sgradevole realtà, e aprire con decisione una trattativa su scala europea per trovare modi meno iniqui socialmente per uscire dall’impasse del debito pubblico, il che non riguarda ovviamente solo l’Italia.

Un riconoscimento al quale potrebbe seguire la ricerca dei modi per superare una contraddizione in verità non più tollerabile: una Bce che presta migliaia di miliardi alle banche (lo ha fatto, per citare un solo caso, tra novembre 2011 e febbraio 2012) all’1 per cento, ma non può fare altrettanto con gli stati. Per cui questi vendono obbligazioni alle banche, sulle quali esse percepiscono interessi tripli o quadrupli. È vero, l’art. 123 del Trattato Ue vieta alla Bce di prestare denaro direttamente agli Stati. Ma a parte il fatto che prima o poi tale articolo dovrà essere modificato, posto che esso fa della Bce l’unica banca centrale al mondo che non può svolgere le funzioni proprie di una banca centrale, si dovrebbe d’urgenza porre rimedio a tale inaudita contraddizione.

Con il baratro fiscale di mezzo, la riduzione del debito pubblico a meno della metà è inconcepibile. Ma se l’Italia, per dire, potesse prendere in prestito dalla Bce, in forma obbligazionaria o altra, 1000 miliardi al tasso dell’1 per cento, come han fatto le banche europee nel caso precitato, allora potrebbe diventarlo. Pensiamoci. E magari proviamo a spiegare ai cittadini come si pone realmente per il prossimo futuro la questione del debito pubblico.

(8 gennaio 2013)

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... nda-monti/


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Re: Un'analisi sul debito pubblico italiano

Messaggioda franz il 12/01/2013, 19:58

Quando un sociologo cerca di fare l'economista ..... :lol:
Voce del verbo Ofelee, fa el tò mestee

Vediamo perché:
per prima cosa Romano Prodi ha dimostrato tra il 1996 ed il 1998 che una politica di rigore sui conti puo' ridurre l'onere degli interessi, dimezzandoli, senza macelleria sociale. Lo stesso ha fatto la Svezia. Quindi non 78 da pagare ma la metà, se lo "spread" scende. E Prodi ha dimostrato che non è aria fritta, come argomento. Ed è certo che se alla UE sentono l'Italia piangere per avere 1000 miliardi all'1% (che corrisponde alla brillante idea di risolvere un problema di debito facendo altri debiti) la prima cosa che succede (dopo una pernacchia generale) è che lo spread quadruplica. Anche se avessimo 1000 miliardi all'1% avremmo l'8% sui 2000 attuali.

Ma il fattore che Gallino non prende in considerazione è che la riduzione per 20 anni di 50 miliardi all'anno del debito, ottenuta con una diminuzione della spesa pubblica accompagnata da una diminuzione (per forza inferiore) delle imposte, libera risorse per il paese, per la sua crescita. Diminuisce lo stato, cresce il privato. Ok, è un anatema per un socialista ma non posso farci niente. Se lo fanno in Svezia che si rassegni anche Gallino. Le economie che oggi crescono in europa sono proprio quelle come svezia e germania che hanno iniziato chi nel 1993, chi nel 2001, importanti riforme per ristrutturare la spesa pubblica. E non risulta affatto che Svezia e Germania abbiano vissuto "macelleria sociale". Da noi poi abbiamo importanti fasce di ricupero aggredendo la corruzione pubblica (stimata 60 miliardi) e tutti gli sprechi collegati alla casta. Abbiamo poi anche importanti aziende statale (o meglio quote azionarie del tesoro) ed altre cose da vendere, prima di mendicare prestiti in giro.
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Re: Un'analisi sul debito pubblico italiano

Messaggioda flaviomob il 12/01/2013, 23:59

Rimane il dato di fatto che, con gli attuali interessi sul debito, nemmeno Monti è riuscito a chiudere in pareggio e abbiamo un deficit 2013 vicino al 3% (nel 2011 era il 3,9%), disoccupazione record, Pil a -2,3%, produzione industriale a -6,5%, disoccupazione record.

Inoltre per il 2014 si prevede un debito/PIL del 131,4%

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... d=Abtqwo6G

http://www.investireoggi.it/economia/le ... fine-anno/

E' evidente in questo grafico come Italia e Grecia abbiano una componente di interessi sul debito molto maggiore degli altri paesi (e spesa sociale inferiore in % a Francia e Germania)

Immagine

http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statis ... tistics/it


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Re: Un'analisi sul debito pubblico italiano

Messaggioda franz il 13/01/2013, 9:43

flaviomob ha scritto:Rimane il dato di fatto che, con gli attuali interessi sul debito, nemmeno Monti è riuscito a chiudere in pareggio e abbiamo un deficit 2013 vicino al 3% (nel 2011 era il 3,9%), disoccupazione record, Pil a -2,3%, produzione industriale a -6,5%, disoccupazione record.

Chiaro. per invertire la rotta per me ci vorrà tempo. Anni. Una nazione ha un effetto inerziale superiore a quello di una petroliera, che da quando viri passa mezzora prima che la prua registri il cambiamento e che per fermarsi a genova inizia a rallentare a livorno. E poi non sono state fatte le riforme che sono necessarie. Solo alcune d'immagine e fatte pure meluccio, come quella sul mercato del lavoro. Quello che Monti ha fatto è ridare credibilità al paese (e qui se è vero che dopo berlusconi anche topolino sarebbe stato meglio, a livello internazionale monti è decisamente piu' autorevole e credibile di topolino) e dare uno stop ed un forte segnale ai mercati. Il vero lavoro inizia ora. Piu' o meno come con prodi nel 1996. Lui fece un ottimo lavoro proprio riducendo in 2 anni l'onere per interessi (credibilità)con la fase 1 del governo (stabilità finanziaria) e poi sarebbe dovuta iniziare la fase 2 (riforme) che non abbiamo visto, nemmeno col binocolo. Monti ha stabilizato una situazione che era assolutamente fuori controllo. Il prossimo govrno dovrà fare le riforme che servono al paese. Poi fra 5 anni vedremo come saremo messi. Intanto il patto di stabilità (ricuperare 1/20 all'anno del differenziale che ci separa dalla soglia del 60% del PIL) varrà per chiunque governerà.
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