Da un articolo che parla di calcio estraggo la parte iniziale che in modo grezzo da numeri e una analisi della situazione economica.
Mino Fuccillo (editorialista gruppo L’Espresso)
Al 30 giugno 2008 il debito di famiglie, imprese, banche e pubbliche amministrazioni americane era di 51mila miliardi di dollari. Il Pil degli Usa, la ricchezza prodotta in un anno da tutto il paese, è di 14mila miliardi di dollari. Dunque il debito è il 358 per cento della ricchezza, una percentuale doppia di quanto fosse nel 1960. Di questo debito il settore delle attività finanziarie era responsabile per il 21 per cento del Pil nel 1980, quota salita al 116 per cento nel 2007. Dunque erano le attività finanziarie che si stavano mangiando da dentro l’economia statunitense. Ma la finanza era anche quella che l’aveva nutrita e ingrassata: nel 1950 solo il 9,5 per cento degli utili venivano da attività finanziarie, nel 2002 erano già il 45 per cento.
E in undici anni 4200 miliardi di dollari agli azionisti erano stati distribuiti dalla 50 maggiori imprese, una montagna di denaro più alta degli utili di esercizio. Per questo modello di economia, e di vita, era stato coniato un termine, una definizione: “shortermismo”. Vale a dire la regola e la religione della “creazione di valore” a breve. Imprese, bilanci, manager venivano valutati a tre mesi, misura temporale massima dell’arricchimento obbligatoriamente veloce, oltre i tre mesi non si aspettava, e qualunque cosa andava inventata e fatta in termini finanziari per realizzare l’arricchimento prescritto come dogma e precetto.
Ora negli Usa e in Europa, e in forme diverse in tutto il mondo, i più ottimisti calcolano che per i prossimi 24/36 mesi non ci sarà arricchimento. Quella che ha lavorato nelle ultime settimane nelle Borse di tutte il pianeta non era già più la paura. Quella, la paura di perdere i risparmi, se la possono permettere quelli che hanno pochi soldi in banca e poca speranza di farne più di tanti con il lavoro. Ma questi in Borsa da tempo non ci sono più. In Borsa ci sono rimasti quelli che hanno consapevolezza e non timore: per i prossimi 24/36 mesi chi ha capitali investirà di meno, quindi avrà meno profitto, quindi assumerà di meno, quindi licenzierà di più, quindi si consumerà di meno.
Si chiama depressione economica, arriva.
La fuga dalla Borsa è stata il preludio dalla fuga dall’impresa. I conti correnti in banca sono al sicuro, quel che è incerto è il profitto, il salario, il posto di lavoro, la pensione. E, dopo e durante la depressione, la macchina che produce la ricchezza mondiale ripartirà solo se le verrà cambiato il carburante, anche quello che sta nella testa della gente comune. Bisognerà cominciare a declinare il “non si può”. Non si può arricchire in molti, tutti insieme, in fretta e senza sosta. Da venti anni ci eravamo invece abituati che era proprio così e che, se qualcosa ci tagliava fuori dall’arricchimento, era la sfiga personale o l’ostilità altrui. Non si può vivere a debito. Non si può espellere dalla vita degli individui e dei paesi come fosse una suocera petulante il criterio della compatibilità. Non si può pensare che il mondo finisca sulla soglia di casa propria. “Non si può”: bisognerà cominciare ad applicarlo ad un sacco di cose, alla finanza, all’economia, all’impresa, al consumo, alla cultura di vita di ciascuno. Siamo dentro, contemporanei, a qualcosa che cambierà il modo di vivere che conosciamo e pratichiamo da decenni.
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(tralascio la parte che si immerge nel Calcio)
ciao
Gab