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Tobin tax, ascesa e caduta di una tassa figlia della crisi

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Tobin tax, ascesa e caduta di una tassa figlia della crisi

Messaggioda franz il 08/11/2009, 11:44

Un esperimento condotto negli Anni Ottanta in Svezia , poi abbandonato, provocò un crollo dei volumi e la tassa venne aggirata dagli operatori

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — Ai politici che devono vincere le elezioni — prima o poi tutti — le proposte con un nemico nel mirino piacciono. Il primo ministro britannico Gordon Brown che si dice favorevole a una tassa internazionale sulle transazioni finanziarie può sorprendere: sarebbe un'imposta che colpisce la City, che ribalterebbe anni di politiche pro-mercato seguite da Downing Street e che nel Regno Unito è spesso stata considerata impraticabile. Brown ha però disperatamente bisogno di consenso, l'anno prossimo rischia di guidare il New Labour al disastro elettorale: l'idea può trovare il consenso di elettori inferociti con le banche dopo la crisi finanziaria. La stessa tassa, d'altra parte, l'ha sostenuta fino a settembre Peer Steinbrück, l'ex ministro socialdemocratico delle Finanze tedesco in quei giorni in altrettanto disperata campagna elettorale (senza successo). E' che questa imposta sui movimenti finanziari — non sui profitti ma semplicemente sulle operazioni effettuate —, spesso chiamata «Tobin Tax», con la crisi finanziaria è tornata prepotente nel dibattito. Oggi fa presa perché sembra una punizione per i banchieri e i finanzieri avidi che con le loro manovre hanno messo in guai seri l'economia mondiale.

L'ORIGINE - James Tobin, il Premio Nobel per l'Economia che per primo la propose nel 1972, in realtà la finalizzava alla necessità di proteggere i Paesi poveri dalle speculazioni sulle valute. Dopo che il presidente americano Richard Nixon dichiarò, il 15 agosto 1971, la non convertibilità del dollaro in oro, Tobin suggerì un nuovo sistema internazionale che comprendeva la tassa — prima pensò all'1%, poi la preferì tra lo 0,1 e lo 0,5% — con l'obiettivo di disincentivare la speculazione che entrava e usciva velocemente dalle valute dei Paesi deboli quando questi erano in crisi e li destabilizzava. Avanzata la proposta, non se ne fece praticamente nulla. Un esperimento condotto negli Anni Ottanta in Svezia — con imposte elevate su azioni, obbligazioni e derivati — fu abbandonato nel 1991 perché aveva provocato un crollo dei volumi trattati ed era stata aggirata dagli operatori.

NUOVO INTERESSE - Una nuova ondata di interesse sulla Tobin Tax arrivò però sul finire degli Anni Novanta, dopo le crisi finanziarie in Asia, Russia, Sudamerica. Nel 1997, il direttore di Le Monde Diplomatique, Ignacio Ramonet, lanciò l'idea di creare un movimento a favore della tassa che avrebbe dovuto «disarmare i mercati»: nacque il movimento «Attac». Il dibattito sui meriti e i demeriti della proposta si accese ma nel 2001, Tobin, un anno prima di morire, in un'intervista al settimanale tedesco Der Spiegel si dissociò da questo movimento che ha «sequestrato il mio nome», disse. Anche in quel caso l'idea non si sollevò da terra. Questa volta, in teoria, la misura potrebbe essere adottata. Ma non sarà facile. Come ha detto Brown, la Gran Bretagna non ne farà nulla se non assieme ai partner principali: il fatto è che l'Unione europea forse potrebbe essere convinta, ma dagli Stati Uniti espressioni politiche favorevoli non si sono ancora registrate, anzi. E, se non ci fosse un consenso globale, la tassa avrebbe solo l'effetto di spostare le transazioni da una piazza costosa a una meno costosa. Inoltre, molti economisti la ritengono più dannosa che altro in quanto diminuirebbe la liquidità dei mercati, li renderebbe più volatili, favorirebbe le grandi banche, rafforzerebbe l'idea che le transazioni low-cost sono negative. Soprattutto non farebbe nulla per contrastare il troppo debito in circolazione, l'incapacità di valutare i rischi e le dimensioni eccessive delle banche: cioè non toccherebbe le ragioni di base della crisi. A molti sembra solo un modo di cercare l'applauso.

Danilo Taino
08 novembre 2009
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