GLOCALISMO (x area vasta Pisa-Livorno)

Glocalismo: ne vogliamo parlare?
In molti chiedono una valutazione dell’attività delle amministrazioni locali giunti oramai alla conclusione della legislatura, vuoi per processare o promuovere gli amministratori e candidati, vuoi per provvedere a valutare programmi e progetti sia vecchi che nuovi.
Per affermare un punto di vista di Area Vasta in questi bilanci che corrono il rischio di essere condizionati a vincoli localistici, occorre fare un salto di qualità. Occorre cioè inserirvi elementi di valutazione che fuoriescono dalla pur necessaria dimensione della valutazione dei servizi e dell’esercizio delle competenze burocratiche degli enti locali, come il livello di internazionalizzazione dell’economia, e i livelli di occupazione e occupabilità che ne conseguono nei diversi e specifici contesti, che pur gli enti locali possono influenzare se non addirittura contribuire a determinare, ma che sicuramente sono elementi determinanti nella qualità della vita della cittadinanza, anche se questa spesso è poco attenta agli stessi.
Ricordo che per l’assetto delle attribuzioni e delle deleghe istituzionali da parte dello Stato e in ragione delle scelte della Regione Toscana relativamente al decentramento di funzioni, compiti e risorse, gli Enti Locali sono potenzialmente relativamente ben attrezzati su questi terreni. Il problema è semmai se si punta alla “nuova frontiera” o alle “vecchie retrovie”, oppure se si riesce a fare sinergia o semplice manifestazione di localismo blindati dietro confini istituzionali che sempre meno hanno a vedere con la geografia e le reti della economia e delle infrastrutture e con le dinamiche della popolazione.
Questione che per altro la Regione sta assumendo con sempre più forza, via via che emerge il gap regionale davanti alla globalizzazione e i gap socio-economici e culturali che si prevedono nel futuro del territorio regionale (le novità e i vincoli sui nuovi fondi comunitari sembrano andare in questo senso, limitandone l’erogazione a pioggia e rafforzando la regia regionale e le efficienze e sinergie locali).
I parametri della produzione di ricchezza in derivazione dall’indice di “acquisizione-tenuta-perdita” di risorse (sia economiche che umane e politico-decisionali) nel processo di internazionalizzazione, e il conseguente indice di occupabilità che un determinato territorio puo’ vedersi garantito dallo sviluppo di cui riesce ad essere protagonista, non sempre sono razionalmente presenti nel nostro dibattito politico (più preso dai drammi delle crisi irrisolte e dagli entusiasmi delle azioni in atto ).
E poi dobbiamo intenderci se vogliamo parlare di queste cose a livello di Impresa o Settore Economico, o di Circoscrizione, Comune, Provincia o Regione.In realtà la dimensione forse più corretta è quella dei distretti economici significativi (fatti di manifattura, servizi, cultura, infrastrutture, finanza in sinergia significative tra di loro rispetto ai mercati di riferimento e alle competizioni in atto) e dei bacini di incontro tra domanda e offerta di lavoro (evidentemente non sempre coincidenti con i distretti sopra richiamati specialmente nel caso di asimmetrie tra la sfera della riproduzione economica e quella degli insediamenti umani).
In proposito proponiamo una scaletta “aggiuntiva” proprio da porre in attenzione nei bilanci di fine mandato amministrativo e che fa parte anche del dibattito che la Associazione Liberta Eguale Pisa-Livorno ha lanciato sul tema delle due città, tenendo di conto che qui non conta sapere solo cosa non va e come mai (se non addirittura additare chi non va!), ma bensi’ conta imparare a superare i gap , e come ristrutturare e governare le profonde trasformazioni necessarie, e anche come garantire la necessaria concentrazione e disponibilità di risorse finanziarie, tecniche e politiche per realizzare proprie le innovazioni e le trasformazioni.
Insomma bisogna introdurre in questi bilanci anche valutazioni su:
- competitività territoriale e settoriale a livello di economie materiali, infrastrutture, tecnologia e ricerca, forza lavoro, organizzazione dei fattori;
- attrattività e localizzazioni di investimenti, di finanza, strumenti produttivi e abitativi, e popolazione e capacità;
- internazionalizzazione dell’economia locale e sua dipendenza da fattori internazionali;
- efficienza e inefficienza del settore pubblico e del sistema delle competenze istituzionali rispetto alle sfide della globalizzazione;
- ricadute nell’equilibrio import-export sulle scale di medio e grande raggio, di risorse, beni, servizi, lavoro, sul bacino occupazionale locale che va a definirsi in termini qualitativi e quantitativi;
- capacità culturali e di coesione sociale e politica da poter mettere e tenere in campo (e non solo a livello istituzionale) assumendo la partecipazione e le decisioni delle popolazioni locali come vincolo stesso della sfida in atto.
Sono in effetti cose un po’ complicate, ma purtroppo troppo spesso ci troviamo a ragionarne solo quando le mura vacillano se non addirittura sulle macerie o di aree industriali o di servizi o infrastrutture oramai in caduta libera o in dismissione, o sulle macerie di sacche di disagio sociale o di protezione sociale a scadenza per i più fortunati, cioè quando è oramai troppo tardi per rimediare o per governare il cambiamento necessario.
Anche una valutazione pur veloce e schematica dei dati relativi ai tassi di sviluppo disponibili nella nostra area vasta (letti complessivamente, ma anche con la pazienza di osservare la salute e il posizionamento dei diversi segmenti che vanno a comporre lo stesso sviluppo), e la valutazione sempre schematica dei diversi dati provinciali e locali (quando disponibili) dei tassi di occupazione, disoccupazione e del tasso di popolazione attiva che ne deriva (anche qui poi con la pazienza di segmentare dati e dinamiche perché le tendenze non sono assolutamente univoche sia dal lato della domanda che dell’offerta di lavoro tanto da cumulare tendenze opposte negli stessi contesti), segnala l’urgenza di introdurre nel dibattito politico con maggiore forza i temi della scaletta richiamata, e con lo spirito giusto, cioè non semplicemente per parlarne ma per “mettere mano”.
Ultima questione, ma prima.
Se nell’area vasta con capofila le città di Pisa e Livorno decliniamo queste cose in termini localistici (o di aree metropolitane o di più ristretti e angusti ambiti comunali) otteniamo una logica di azione e una dimensione delle cose da fare. Se ci poniamo nella logica della stessa area vasta possiamo già ottenere tutt’altra dimensione, in particolare per segmenti e settori dove è possibile individuare sinergie e opportunità di scala espansivi o tesi alla razionalizzazione, o in ragione di segmenti e settori che consumano nell’antagonismo localistico le loro energie senza riuscire ad ingranare la marcia giusta per far fronte alle criticità che li attraversano.
In ogni caso dobbiamo interrogarci sul futuro che attende le nostre comunità e la complessa rete di realtà, interessi, bisogni che le compongono, e la piattaforma dimensionale su cui collocarsi dovrebbe addirittura vedere collocata la stessa area vasta nel contesto regionale.
Non si possono accettare le sfide della globalizzazione partendo dai soli campanili o da più o meno piccoli interessi sociali o economici, semplicemente perché Pechino è già più grosso della Toscana e perché i gruppi economici o “nazionali” che avanzano, e la logica che li spinge, spesso fanno sesso più massa critica del peso di qualsiasi settore nazionale, regionale o locale che si intende sostenere o si deve tutelare, per non parlare delle sole nostre semplici intenzioni. Questi gruppi e queste logiche mettono in campo a favore delle loro strategia energie, risorse, politiche e conoscenze spesso difficilmente immaginabili e lontane dalla logica tutta italiana di parlare di moltissime cose, cercare di realizzarne più del possibile, riuscire a portare in fondo poche cose e per giunta quasi sempre fuori dai tempi necessari, magari continuando a blandire l’opinione pubblica.
Proprio per questo è compito degli auspicati bilanci di fine mandato individuare quello che conta e quello che non conta davanti alle sfide che occorre vincere, e sapersi scrollare di dosso abitudini e vecchia e vecchie politiche sempre più perdenti e impotenti nel nuovo secolo che avanza.
paolo borghi livorno 27-09-2008 x www.libertaeguale.eu.
In molti chiedono una valutazione dell’attività delle amministrazioni locali giunti oramai alla conclusione della legislatura, vuoi per processare o promuovere gli amministratori e candidati, vuoi per provvedere a valutare programmi e progetti sia vecchi che nuovi.
Per affermare un punto di vista di Area Vasta in questi bilanci che corrono il rischio di essere condizionati a vincoli localistici, occorre fare un salto di qualità. Occorre cioè inserirvi elementi di valutazione che fuoriescono dalla pur necessaria dimensione della valutazione dei servizi e dell’esercizio delle competenze burocratiche degli enti locali, come il livello di internazionalizzazione dell’economia, e i livelli di occupazione e occupabilità che ne conseguono nei diversi e specifici contesti, che pur gli enti locali possono influenzare se non addirittura contribuire a determinare, ma che sicuramente sono elementi determinanti nella qualità della vita della cittadinanza, anche se questa spesso è poco attenta agli stessi.
Ricordo che per l’assetto delle attribuzioni e delle deleghe istituzionali da parte dello Stato e in ragione delle scelte della Regione Toscana relativamente al decentramento di funzioni, compiti e risorse, gli Enti Locali sono potenzialmente relativamente ben attrezzati su questi terreni. Il problema è semmai se si punta alla “nuova frontiera” o alle “vecchie retrovie”, oppure se si riesce a fare sinergia o semplice manifestazione di localismo blindati dietro confini istituzionali che sempre meno hanno a vedere con la geografia e le reti della economia e delle infrastrutture e con le dinamiche della popolazione.
Questione che per altro la Regione sta assumendo con sempre più forza, via via che emerge il gap regionale davanti alla globalizzazione e i gap socio-economici e culturali che si prevedono nel futuro del territorio regionale (le novità e i vincoli sui nuovi fondi comunitari sembrano andare in questo senso, limitandone l’erogazione a pioggia e rafforzando la regia regionale e le efficienze e sinergie locali).
I parametri della produzione di ricchezza in derivazione dall’indice di “acquisizione-tenuta-perdita” di risorse (sia economiche che umane e politico-decisionali) nel processo di internazionalizzazione, e il conseguente indice di occupabilità che un determinato territorio puo’ vedersi garantito dallo sviluppo di cui riesce ad essere protagonista, non sempre sono razionalmente presenti nel nostro dibattito politico (più preso dai drammi delle crisi irrisolte e dagli entusiasmi delle azioni in atto ).
E poi dobbiamo intenderci se vogliamo parlare di queste cose a livello di Impresa o Settore Economico, o di Circoscrizione, Comune, Provincia o Regione.In realtà la dimensione forse più corretta è quella dei distretti economici significativi (fatti di manifattura, servizi, cultura, infrastrutture, finanza in sinergia significative tra di loro rispetto ai mercati di riferimento e alle competizioni in atto) e dei bacini di incontro tra domanda e offerta di lavoro (evidentemente non sempre coincidenti con i distretti sopra richiamati specialmente nel caso di asimmetrie tra la sfera della riproduzione economica e quella degli insediamenti umani).
In proposito proponiamo una scaletta “aggiuntiva” proprio da porre in attenzione nei bilanci di fine mandato amministrativo e che fa parte anche del dibattito che la Associazione Liberta Eguale Pisa-Livorno ha lanciato sul tema delle due città, tenendo di conto che qui non conta sapere solo cosa non va e come mai (se non addirittura additare chi non va!), ma bensi’ conta imparare a superare i gap , e come ristrutturare e governare le profonde trasformazioni necessarie, e anche come garantire la necessaria concentrazione e disponibilità di risorse finanziarie, tecniche e politiche per realizzare proprie le innovazioni e le trasformazioni.
Insomma bisogna introdurre in questi bilanci anche valutazioni su:
- competitività territoriale e settoriale a livello di economie materiali, infrastrutture, tecnologia e ricerca, forza lavoro, organizzazione dei fattori;
- attrattività e localizzazioni di investimenti, di finanza, strumenti produttivi e abitativi, e popolazione e capacità;
- internazionalizzazione dell’economia locale e sua dipendenza da fattori internazionali;
- efficienza e inefficienza del settore pubblico e del sistema delle competenze istituzionali rispetto alle sfide della globalizzazione;
- ricadute nell’equilibrio import-export sulle scale di medio e grande raggio, di risorse, beni, servizi, lavoro, sul bacino occupazionale locale che va a definirsi in termini qualitativi e quantitativi;
- capacità culturali e di coesione sociale e politica da poter mettere e tenere in campo (e non solo a livello istituzionale) assumendo la partecipazione e le decisioni delle popolazioni locali come vincolo stesso della sfida in atto.
Sono in effetti cose un po’ complicate, ma purtroppo troppo spesso ci troviamo a ragionarne solo quando le mura vacillano se non addirittura sulle macerie o di aree industriali o di servizi o infrastrutture oramai in caduta libera o in dismissione, o sulle macerie di sacche di disagio sociale o di protezione sociale a scadenza per i più fortunati, cioè quando è oramai troppo tardi per rimediare o per governare il cambiamento necessario.
Anche una valutazione pur veloce e schematica dei dati relativi ai tassi di sviluppo disponibili nella nostra area vasta (letti complessivamente, ma anche con la pazienza di osservare la salute e il posizionamento dei diversi segmenti che vanno a comporre lo stesso sviluppo), e la valutazione sempre schematica dei diversi dati provinciali e locali (quando disponibili) dei tassi di occupazione, disoccupazione e del tasso di popolazione attiva che ne deriva (anche qui poi con la pazienza di segmentare dati e dinamiche perché le tendenze non sono assolutamente univoche sia dal lato della domanda che dell’offerta di lavoro tanto da cumulare tendenze opposte negli stessi contesti), segnala l’urgenza di introdurre nel dibattito politico con maggiore forza i temi della scaletta richiamata, e con lo spirito giusto, cioè non semplicemente per parlarne ma per “mettere mano”.
Ultima questione, ma prima.
Se nell’area vasta con capofila le città di Pisa e Livorno decliniamo queste cose in termini localistici (o di aree metropolitane o di più ristretti e angusti ambiti comunali) otteniamo una logica di azione e una dimensione delle cose da fare. Se ci poniamo nella logica della stessa area vasta possiamo già ottenere tutt’altra dimensione, in particolare per segmenti e settori dove è possibile individuare sinergie e opportunità di scala espansivi o tesi alla razionalizzazione, o in ragione di segmenti e settori che consumano nell’antagonismo localistico le loro energie senza riuscire ad ingranare la marcia giusta per far fronte alle criticità che li attraversano.
In ogni caso dobbiamo interrogarci sul futuro che attende le nostre comunità e la complessa rete di realtà, interessi, bisogni che le compongono, e la piattaforma dimensionale su cui collocarsi dovrebbe addirittura vedere collocata la stessa area vasta nel contesto regionale.
Non si possono accettare le sfide della globalizzazione partendo dai soli campanili o da più o meno piccoli interessi sociali o economici, semplicemente perché Pechino è già più grosso della Toscana e perché i gruppi economici o “nazionali” che avanzano, e la logica che li spinge, spesso fanno sesso più massa critica del peso di qualsiasi settore nazionale, regionale o locale che si intende sostenere o si deve tutelare, per non parlare delle sole nostre semplici intenzioni. Questi gruppi e queste logiche mettono in campo a favore delle loro strategia energie, risorse, politiche e conoscenze spesso difficilmente immaginabili e lontane dalla logica tutta italiana di parlare di moltissime cose, cercare di realizzarne più del possibile, riuscire a portare in fondo poche cose e per giunta quasi sempre fuori dai tempi necessari, magari continuando a blandire l’opinione pubblica.
Proprio per questo è compito degli auspicati bilanci di fine mandato individuare quello che conta e quello che non conta davanti alle sfide che occorre vincere, e sapersi scrollare di dosso abitudini e vecchia e vecchie politiche sempre più perdenti e impotenti nel nuovo secolo che avanza.
paolo borghi livorno 27-09-2008 x www.libertaeguale.eu.