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Viareggio: strage in stazione

Re: Viareggio: strage in stazione

Messaggioda franz il 03/07/2009, 10:22

L'INCHIESTA-2/ Età media dei convogli: 22 anni. Ma il numero di incidenti gravi si è ridotto
Tagli su manutenzione e igiene. Il rischio è che la Tav attiri tutte le risorse

Italia, i treni più vecchi d'Europa
e ai controlli mancano gli ispettori

di ETTORE LIVINI

MILANO - Le statistiche (positive) da una parte. La cronaca (tragica) dall'altra. Lo stato di salute della sicurezza dei treni italiani è una foto in chiaroscuro.
Quattro deragliamenti da fine maggio a oggi e le immagini della tragedia di Viareggio sembrano dare ragione a Ezio Gallori. "Le Fs? Un colabrodo - dice tranchant il leader storico dei macchinisti tricolori - . Hanno tagliato personale, levato i verificatori, tolto i guardalinea, imposto il macchinista unico. Risultato: un bilancio in pareggio, forse. Ma anche otto guasti seri in quattro settimane". Di più: il parco di locomotive e carrozze made in Italy - penalizzato da un rinnovo che procede con il contagocce - è uno tra i più vecchi d'Europa, con un età media oltre i 20 anni. E, come possono testimoniare ogni mattina migliaia di pendolari, è afflitto da tutti gli acciacchi legati al dato anagrafico.

I numeri però - per la fortuna delle coronarie dei passeggeri tricolori - raccontano (almeno fino ad oggi) anche un'altra storia: i treni italiani sono tra i più sicuri d'Europa. Il numero di incidenti gravi sulle rotaie di casa nostra è sceso dai 202 del '93 ai 19 nel 2008. "Le Ferrovie negli ultimi anni hanno speso tanti soldi per la sicurezza", conferma Marco Ponti, professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano, mai tenerissimo con l'ex-monopolio della rotaia. E i risultati, in effetti, ci sono: il "tasso di incidentalità" dei binari del Belpaese è tra i più bassi d'Europa. Appena peggio della Gran Bretagna, sui livelli d'eccellenza di Francia e Germania.

I campanelli d'allarme, tuttavia, suonano lo stesso. La cronaca in questo caso - oltre a Viareggio ci sono i guasti degli Eurostar e la quotidiana via crucis di milioni di pendolari - è solo una faccia della medaglia. Il rischio vero è che la crisi economica, la liberalizzazione e i problemi di bilancio del socio di riferimento Fs (quello Stato che "ogni anno versa nelle casse del gruppo circa 7 miliardi", calcola Andrea Giuricin, economista dell'Istituto Bruno Leoni) costringano le Ferrovie ad abbassare la guardia. E che il massiccio dirottamento di mezzi e risorse verso il futuro dell'Alta velocità - mille chilometri di rete (sui 16mila in servizio) che inghiottiranno 85 miliardi di investimenti sui 189 previsti dal contratto di programma Fs-Tesoro - finisca per penalizzare la "rete di serie B" - quella degli interregionali - e gli stanziamenti per la sicurezza.

"La manutenzione per noi è sacra", assicura l'ad Mauro Moretti. Gli investimenti del gruppo però sono calati dagli 8,5 miliardi del 2005 ai 6,8 del 2007. E nell'ultimo bilancio di Trenitalia si giustificano i 209 milioni di tagli dei costi (-7,1%) "in particolare con una riduzione che ha riguardato i costi di manutenzione, che sono stati internalizzati, e quelli di pulizia". Il numero dei dipendenti tra dicembre 2006 e fine 2007 (ultimo dato disponibile) è stato ridotto da 98mila a poco più di 93mila. E la stessa Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, nata sotto l'ombrello del ministero dei Trasporti per vegliare sullo stato di salute del settore, soffre sotto il peso dell'austerity: doveva avere 300 super-ispettori indipendenti. In realtà arranca con 100, effettuando controlli documentali o a campione.

Le cifre - spiega Barbara Morgante, direttore Strategie e pianificazione Fs - vanno lette in controluce: il colpo di forbice agli investimenti, calati del 20% in due anni, si spiega con il completamento di tratte dell'alta velocità. O di progetti come il sistema di blocco automatico dei treni, innovazione che ha portato all'avanguardia continentale l'Italia su questo fronte: il 90% della rete è "monitorato" da un cervello informatico in teoria infallibile, in grado di bloccare i convogli in remoto in caso di anomalia.

"Va bene, siamo tra i migliori d'Europa - ammette Alessandro Rocchi, segretario della Filt trasporti Cgil - Ma è in corso una transizione verso il libero mercato che va governata con attenzione. Negli ultimi 7-8 anni Fs ha avuto la possibilità di spendere molto. Ma ha privilegiato le reti più redditizie economicamente". I "professori" - come li bolla con un po' di sarcasmo Gallori - hanno però cifre diverse: "La rete tradizionale fa ancora la parte del leone negli investimenti - rassicura Carlo Vaghi, docente Certet-Università Bocconi - . Gli ultimi adeguamenti informatici sono andati di pari passo sulle tratte superveloci e su quelle dei pendolari".

Tutto, in ogni caso, è foraggiato dai contribuenti. Certo, l'alta velocità potrebbe camminare con le sue gambe e chiudere i conti in utile già l'anno prossimo, dicono gli esperti. Ma il resto dei treni tricolori viaggia a spese dello Stato: le vendite di biglietti coprono appena il 40% dei costi complessivi (a Londra siamo al 70%). Anche perché malgrado gli aumenti degli ultimi anni - più 9% nel 2006, più 15% per Eurostar e Tav nel 2008 - le tariffe restano tra le più basse del continente.

A far le spese di questi limiti finanziari, più che la sicurezza, paiono essere stati fino ad oggi la qualità e la puntualità del servizio e il rinnovo del materiale rotabile. Fermi al palo e penalizzati (-52 milioni d'acquisto materiali e - 42 milioni per la manutenzione dei beni mobili) anche nell'ultimo bilancio Trenitalia. E i guasti dei mezzi in servizio sono un punto dolente (senza segnali di miglioramento) della quotidianità delle ferrovie tricolori dove molti convogli regionali hanno un'età media vicina ai trent'anni.
I servizi di pulizia, oggetto di una radicale riorganizzazione negli ultimi mesi ("per la quale abbiamo privilegiato la qualità delle offerte all'economicità", sottolinea Morgante), sono in testa alle lamentele dei passeggeri. "Preferisco non cambiare i sedili e non pulire i graffiti piuttosto che rinunciare alla sicurezza", si è giustificato Moretti. Avere treni puliti, puntuali e pure sicuri - malgrado i miliardi pagati ogni anno dal contribuente - è evidentemente per ora ancora un'utopia.

(2 luglio 2009)
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Re: Viareggio: strage in stazione

Messaggioda franz il 03/07/2009, 17:53

Scusate se insisto con la cronaca di questo avvenimento ma lo giudico un caso singolare per studiare la mala organizzazione che tocca pubblico e privato, i rimpalli, le responsabilità poco chiare....


Cambiati due carrelli al vagone
«Le verifiche sono state blande»

L’azienda di Mantova che ha fatto la revisione: così era stato chiesto

Da uno dei nostri inviati Gianni Santucci
VIAREGGIO — È stata una revisione «blanda». Non un ta­gliando approfondito. Quello, d’altra parte, era stato richie­sto dal proprietario del treno. Il vagone deragliato a Viareg­gio era entrato negli stabili­menti della Cima Riparazioni a Bozzolo (Mantova), alla fine di febbraio scorso. E in quei gior­ni i tecnici dell’azienda incari­cata della manutenzione aveva­no comunque scoperto che le ruote di due «carrelli» su quat­tro erano molto consumate, quindi pericolose. Verdetto: da sostituire. Così il proprietario del vagone, il colosso america­no Gatx, aveva recapitato diret­tamente alla Cima altri due car­relli. Non nuovi, ma a loro vol­ta già usati da altri treni, revi­sionati e rimessi in sesto da un’altra officina.

I tecnici di Bozzolo hanno so­stituito i pezzi e a quel punto il vagone era pronto per tornare sui binari. Il certificato è datato 2 marzo 2009. Con un particola­re chiave: durante quell’ultima revisione, le ruote e gli assi «non sono stati controllati con gli ultrasuoni — spiegano alla Cima — perché non era previ­sto ». Quella è l’unica analisi (una sorta di radiografia) che permette di scoprire le microle­sioni all’interno dell’acciaio, i danni impossibili da vedere a occhio nudo. Di certo però in quel momento, e già da mesi, una crepa si stava allargando al­l’interno della «boccola», il ci­lindro che tiene la ruota salda­ta all’asse. Alle 23 e 49 di due giorni fa quel pezzo si è spacca­to di netto, la ruota ha traballa­to sul binario per 450 metri e alla fine è saltata fuori, provo­cando il deragliamento.

È in questo ambito che si muoverà l’inchiesta della Pro­cura di Lucca. Obiettivo: indivi­duare le «omissioni all’origine dell’incidente» di cui ha parla­to il procuratore generale della Toscana, Beniamino Deidda. Un percorso con alcune certez­ze e molti punti oscuri. Il vago­ne- cisterna che si è ribaltato è stato costruito nel 2004 e omo­logato in Germania, poi con­cesso in affitto da Gatx a Fs lo­gistica. Ieri sono state mostra­te le foto del pezzo che si è tranciato di netto. Tecnici ed esperti sono sicuri nell’affer­mare che ci vuole più di un an­no (come minimo) perché si crei una fenditura così estesa. E però, secondo le regole, i ri­lievi con gli ultrasuoni andreb­bero fatti almeno ogni dodici mesi, o a intervalli ancora più ristretti. A questo punto è la lo­gica a indicare l’«omissione»: gli ultrasuoni non sono stati fatti per troppo tempo, o sono stati fatti male.

Il primo obiettivo delle inda­gini sarà chiarire se il carrello che si è spaccato era uno dei due sostituiti lo scorso marzo, o uno tra quelli rimasti al loro posto perché giudicati «idonei a circolare». Alla Cima Ripara­zioni, azienda con oltre cento dipendenti e un’esperienza più che ventennale, sono certi di aver seguito i protocolli alla lettera: «Il proprietario è il re­sponsabile del vagone — spie­ga il dirigente Tiziano Armani­ni — e ci ha chiesto quel tipo di controllo, tra l’altro adegua­to all’età del carro. L’abbiamo svolto secondo le regole euro­pee e abbiamo rilevato usura in due 'sale' (l’insieme di asse e due route, ndr) ».

A quel punto il colosso Ga­tx, che possiede e cede in affit­to 160 mila vagoni-cisterna nel mondo, 20 mila dei quali in Europa, ha mandato i nuovi componenti: «Sono arrivati già revisionati da altra officina — concludono alla Cima — che ovviamente avrebbe dovu­to fare le verifiche con ultra­suoni. Noi li abbiamo ricevuti certificati, ma per così dire 'a scatola chiusa'». Ieri pomerig­gio l’azienda ha ricevuto una prima visita da parte degli in­quirenti, si tratterebbe degli ispettori delegati dal ministe­ro. La Procura di Lucca dovrà acquisire i documenti che per­metteranno di risalire a chi ha avuto la responsabilità dell’ul­tima revisione sull’asse che ha ceduto. È il punto sottolineato alla Camera dal ministro dei Trasporti, Altero Matteoli: «So­no in corso approfondimenti per accertare la regolarità delle operazioni di manutenzione».

Gianni Santucci
02 luglio 2009
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Re: Viareggio: strage in stazione

Messaggioda mauri il 08/07/2009, 16:13

franz ha scritto:Scusate se insisto con la cronaca di questo avvenimento ma lo giudico un caso singolare per studiare la mala organizzazione che tocca pubblico e privato, i rimpalli, le responsabilità poco chiare....


ecco fatti i funerali gabbati i morti con una pietra sopra
un'altra tra le tante "storie" che sarà dimenticata passate le vacanze
bell'italiani di una bell'italia, mauri
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Re: Viareggio: strage in stazione

Messaggioda Gab il 09/07/2009, 17:37

Quei vagoni ora fanno paura da iltirreno.it

Le cisterne del gas sono ancora sui binari 18 e 19 dello scalo merci del Calambrone. E anche la scena è la stessa che abbiamo constatato lunedì: i convogli che trasportano il gas restano alla portata di tutti, alla mercè di intrusi e malintenzionati. Non ci saremmo aspettati un miracolo: del tipo, riparare nella notte le reti di recinzione.
...
...

Un altro dirimpettaio dello scalo del Calambrone è il Costiero Gas, l'azienda partecipata da Eni e Liquigas che movimenta il traffico di gpl nel porto di Livorno. «Io penso che non vi siano rischi particolari - dice il presidente del Costiero, l'ingegner Riccardo Dorrucci - Però.....» Però anche Dorrucci ha notato «la manutenzione, diciamo non impeccabile, dello scalo del Calambrone. Io non credo che una rete di recinzione possa scoraggiare un attentatore. Ma può scoraggiare l'intruso che può sempre combinare qualcosa attorno alle cisterne».

Dorrucci considera le cisterne del gas «quasi a prova di bomba. Intendo dire che per sabotarle bisogna volerlo ed essere anche abili tecnicamente». Ne è la riprova quello che è successo a Viareggio, dove quattro cisterne deragliate non hanno subito alcun danno, nè dall'urto nè dall'irraggiamento del calore. «Io non penso - prosegue Dorrucci - come certi esperti, che si debbano blindare le ferrovie dove stazionano o passano le cisterne. Ma una rete di recinzione, e magari un cancello, si possono sempre mettere: lo dico da padre di famiglia, da cittadino di buonsenso».

Se chiunque può entrare, diventa proibitivo anche l'encomiabile lavoro della Polfer, che con poco personale deve sorvegliare un'area vastissima.


La zona di cui si parla nell'articolo e' questa
http://maps.google.it/maps?f=q&source=s ... 3&t=h&z=13

Forse riuscite a vedere anche qualche deposito di carburante nei dintorni!
Diciamo una zona molto "esplosiva"!
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A proposito di manutenzione ferroviaria

Messaggioda franz il 27/07/2009, 8:00

L'INCHIESTA/2 L'ingegnere Arena, indagato a Napoli: fermai i monopoli della manutenzione
"Di rottamazioni io ne curai una sola: 1500 carri, e furono eliminati davvero"

Vagoni fantasma, l'uomo-chiave accusa
"Scaricato da Ferrovie, dicevo troppi no"

di CARLO BONINI

Vagoni fantasma, l'uomo-chiave accusa "Scaricato da Ferrovie, dicevo troppi no"
ROMA - "Della manutenzione dei treni so molte cose e so perché i vertici delle Ferrovie mi hanno scaricato". L'ingegnere Raffaele Arena è una delle figure chiave dell'inchiesta sulle false rottamazioni dei carri merci delle Fs. Già responsabile della manutenzione di carri merci e motrici e quindi dei vagoni passeggeri, licenziato dall'azienda in cui era rimasto per 18 anni nel febbraio del 2007, dopo un audit interno che accertò la violazione del codice etico della dirigenza (un suo cugino era titolare di una società di manutenzione), Arena, oggi, è indagato dalla Procura di Napoli per abuso di ufficio. La Finanza, un anno fa, ha perquisito la sua abitazione e gli uffici della srl con sede a Nola che ha fondato - la AMG - di cui è dirigente e con cui è rimasto nel business della manutenzione dei carri merci ("Lavoriamo solo con l'estero. La Svizzera, soprattutto"). Dice Arena: "In questa storia, ho fatto la fine di Don Chisciotte".

A leggere l'audit delle Ferrovie, si direbbe il contrario. A quanto pare, negli anni in cui lei è stato responsabile della manutenzione i carri destinati alla rottamazione tornavano sui binari con matricole abrase e nuovi proprietari. Secondo l'inchiesta della Procura di Napoli, parliamo di almeno 4 mila carri.
"Premesso che io posso giurare solo sul lavoro che ho fatto e dunque non metto la mano sul fuoco per il lavoro di altri, posso dire serenamente che quell'audit fu un pretesto per liberarsi di un uomo, il sottoscritto, che ormai dava fastidio e aveva detto qualche "no" di troppo. Vede, io di rottamazione, durante la mia dirigenza, ne curai una sola. Parliamo di circa 1.500 carri. E so per certo che quei carri vennero rottamati davvero, per altro da ditte diverse da quelle che si occupavano di manutenzione".

E' sicuro che quei 1500 carri furono rottamati?
"Ho conservato documenti che lo dimostrano. L'unica procedura particolare che autorizzai fu quella di concedere alle ditte incaricate della distruzione di segare le "sale montate" (il complesso costituito dall'assile e le ruote del carro ndr.) non al centro, ma in modo asimmetrico, così che parte delle "sale" potessero essere recuperate non per usi rotabili, ma industriali, vista la particolare qualità delle lega di cui sono composte".

Lei dice che l'audit fu un "pretesto". Ma è vero o no che la ditta di manutenzione "Mavis srl." era di suo cugino e che quella ditta partecipò a gare da lei bandite?
"Glielo confermo. La "Mavis" era di mio cugino Carmine D'Elia. Mentre è falso che esistessero legami tra i miei fratelli e altre società di manutenzione. In ogni caso, nelle gare cui ha partecipato "Mavis" io non ho avuto alcun ruolo. Esistevano dei presidenti di commissione aggiudicatrice che decidevano. E per altro, che la "Mavis" fosse di mio cugino non era certo un segreto. I miei vertici gerarchici in Ferrovie ne erano al corrente. Né il primo codice etico della dirigenza prevedeva quali cause di incompatibilità il conflitto di interesse".

Lei ha detto: "Davo fastidio". A chi? Perché?
"Con la mia dirigenza, cominciò l'esternalizzazione sistematica della manutenzione con il ricorso a personale di ditte private chiamato a lavorare negli impianti di Trenitalia. Ruppi il cartello delle grandi aziende che da decenni avevano il monopolio del mercato. Feci risparmiare alle Ferrovie oltre 50 milioni di euro. E, per quanto ne so, le aziende private di manutenzione che lavorarono con me hanno continuato a lavorare anche dopo il mio allontanamento. Evidentemente, ho rotto degli equilibri che non andavano toccati".

Messa così, converrà che è solo allusivo il suo riferimento a un "cartello".

"Detto che sfido chiunque in Ferrovie a dimostrare il contrario di quello che dico o a documentare che mi sono messo in tasca anche soltanto una lira con le rottamazioni, le chiedo: sono forse allusioni le minacce ai miei figli che ho ricevuto telefonicamente? E' un'allusione aver rischiato la pelle perché qualcuno pensò bene di squarciarmi le ruote della macchina?".

Qualcuno chi?
"Qualcuno di un mondo esterno".

Camorra?
"Un mondo esterno".

Che vuol dire "un mondo esterno"?
"Diciamola così. Quando sono arrivato nella manutenzione, mi sembrò di essere arrivato in un Paese dell'Est. Quello che si combinava nella manutenzione dei treni faceva paura".

Adesso non fa più paura?
"Continua a fare paura".

Ingegnere, lei non cita un solo fatto.
"La accontento subito. Lei sa che dai treni merci ero stato promosso alla divisione passeggeri, giusto? E lei sa che a promuovermi fu l'attuale amministratore delegato delle Ferrovie, l'ingegnere Mauro Moretti".

Moretti l'ha licenziata.
"Si, ma quando arrivò mi promosse. Perché alla manutenzione merci, evidentemente, non potevo più stare".

Per la storia dell'audit sulle false rottamazioni.
"Io penso che ci fu qualche altro problema. Tra il giugno e il settembre del 2006, fui oggetto di ripetute pressioni da parte della Direzione generale acquisti delle Ferrovie perché certificassi con una perizia sottocosto i valori di rimessa in pristino di alcuni locomotori che le Ferrovie intendevano vendere a una società privata di Trieste".

Può essere più preciso?
"Le Ferrovie avevano una ventina di locomotori che erano stati acquistati negli anni '80 per essere impiegati sulla linea a corrente alternata in Sardegna. Linea che non si realizzò mai. Quelle motrici erano rimaste inutilizzate e marcivano da anni nei nostri depositi. Ridotte a catorci. Finché non venne trovato un acquirente che le avrebbe pagate 300 mila euro al pezzo. Una bella cifra. Ovviamente, previa perizia che certificasse i costi contenuti della loro rimessa in pristino. Il dirigente della Direzione acquisti mi spiegò che la mia perizia doveva certificare una spesa non superiore ai 65 mila euro a locomotore. Una richiesta impossibile, visto che ce ne volevano almeno 200 mila a esemplare. Il tira e molla tra me e la Direzione Acquisti andò avanti tutta l'estate, finché di fronte al mio "no" mi venne fatto capire che ne avrei avuto dei guai".

Il dirigente cui lei si riferisce si chiama Vincenzo Armanna e non è più in Ferrovie. Rimosso bruscamente dall'incarico è da tempo all'Eni. Ma Armanna è anche tra coloro che condussero l'audit sulla sua gestione della manutenzione. E' legittimo pensare che lei, forse, fatica a essere obiettivo nei suoi ricordi. O no?
"Io non ce l'ho con nessuno. Di questa storia ho conservato tutte le comunicazioni via e-mail. Che, ovviamente, consegnerò ai magistrati napoletani appena riterranno di dovermi interrogare".

Moretti era al corrente di questa storia?
"Sarei portato a escluderlo. Ma ripeto: il problema era che io ormai davo fastidio. Avevo dato fastidio ai merci e avevo cominciato a dare fastidio anche alla divisione passeggeri".

Perché?
"Quando arrivai a fine 2006 alla divisione passeggeri, scoprii che Ferrovie pagava un contratto di 700 mila euro al mese - e sottolineo 700 mila euro al mese - per la manutenzione di primo livello, dunque la più modesta, per una ventina di carrozze ristorante e oltre 200 wagon-lit. Una follia. Dissi che quel contratto andava disdetto. Non feci in tempo. Qualcuno pensò che avrei fatto nella divisione passeggeri quello che avevo fatto con i merci. E mi cacciarono".

Chi la allontanò da Ferrovie dice che il problema furono gli esiti dell'audit e le finte rottamazioni.

"Io non vedo l'ora di essere davanti a un giudice per dimostrare chi dice la verità in questa storia".

(27 luglio 2009)
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Re: A proposito di manutenzione ferroviaria

Messaggioda franz il 27/07/2009, 8:05

L'INCHIESTA/ Le procure di Napoli e Civitavecchia indagano sul fenomeno
Dieci gli indagati, ottanta società neel mirino. Una truffa da decine di milioni

Il mercato nero dei treni merci
"Sui binari 4mila vagoni fantasma"

di CARLO BONINI

ROMA - Sono almeno quattromila i carri merci fantasma he circolano sulla nostra rete ferroviaria. Dei rugginosi zombie su ruote, riverniciati alla bene e meglio. Carrette esauste, a fine vita, già di proprietà delle Ferrovie dello Stato, destinate alla rottamazione di ogni loro componente meccanico e strutturale, ma mai rottamate. Piuttosto, riavviate sul mercato con numeri di telaio taroccati e oggi utilizzate da aziende private o per il trasporto generico delle merci, ovvero per la movimentazione di ghiaia, terra e materiale di risulta nei cantieri dove quelle stesse ditte spesso lavorano in appalto o subappalto con le Ferrovie.

All'indomani della strage di Viareggio, la domanda posta dall'inchiesta di "Repubblica" il 6 luglio scorso ("In Italia, quanta roba cannibalizzata e criccata circola?"), nel primo di una serie di articoli sul lato oscuro del traffico merci nel nostro Paese, sulla manutenzione dei carri e la loro "cannibalizzazione" e "rigenerazione", trova una prima risposta. Per altro, solida, se si sta alla fonte che documenta la stima. Perché quel numero di carrette - 4000 - e l'avverbio ("almeno") che ne autorizza una lettura per difetto, lasciando immaginare ordini di grandezza persino superiori, è ora documentato dal lavoro istruttorio che, da due anni, la Procura della Repubblica e il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Napoli stanno conducendo proprio sul mercato nero dei carri merci.

Pur avaro nei dettagli (il pubblico ministero napoletano Francesco Curcio spiega con cortesia che l'indagine è in una fase "troppo delicata anche soltanto per discuterne in termini generici"), il quadro investigativo campano - per quel che si è riuscito sin qui a ricostruire attraverso fonti qualificate che hanno avuto parte nell'indagine o ne sono oggetto - conta almeno una decina di indagati, un'ottantina di società e ditte sotto osservazione. Conferma lo schema che, già alla fine del 2006, era emerso dall'audit interno condotto dalle Ferrovie che aveva portato al licenziamento dell'ingegnere Raffaele Arena, già responsabile della manutenzione dei merci. Ma, soprattutto, documenta che il mercato nero dei carri merci non è stato fino ad oggi l'esito truffaldino e isolato della spregiudicatezza di qualche imprenditore del settore della rottamazione e manutenzione, o di qualche infedele funzionario delle Ferrovie. Ma un "sistema". Che mette in fila una robusta catena di reati - truffe, abusi di ufficio, false fatturazioni, falsi documentali, violazioni delle certificazioni sulla sicurezza e sullo smaltimento di rifiuti speciali quali le carcasse dei carri merci - e che una qualificata fonte investigativa descrive così: "Per consentire a un carro merci destinato alla rottamazione di tornare in circolo "ripulito" è stato necessario prima falsificarne l'identità a monte. Quindi, giustificarne i singoli passaggi di proprietà a valle".

Lo si può dire anche in altre parole: sono stati manomessi i registri Fs che documentavano la rottamazione dei carri e dunque ne certificavano formalmente la "sparizione amministrativa", quindi alterati fisicamente i loro numeri di telaio, e naturalmente messa insieme una consistente documentazione posticcia che consentisse al privato, acquirente finale, di giustificare in qualche modo come di quei carri era entrato in possesso. Passaggi che - per usare ancora le parole della fonte investigativa - provano, visti i numeri ("almeno 4 mila i carri riciclati"), "o complicità, ovvero disattenzioni macroscopiche e diffuse nelle Ferrovie di Stato". Su cui dunque si misurerà la differenza tra l'essere stati vittime ovvero complici di una truffa da diverse decine di milioni di euro che, cannibalizzando il materiale rotabile di Fs, di fatto ha attentato alla sicurezza complessiva del trasporto merci. E che proprio per questo, oggi, mettono le stesse Ferrovie nella complicata posizione di dover ammettere o una disastrosa negligenza nella sorveglianza del proprio parco merci, o, al contrario, una connivenza con il "sistema" di una parte almeno della sua più recente dirigenza.

Del resto, si scopre ora che a confermare per diversa e autonoma via l'esistenza di un "sistema", a smentirne la natura episodica o territoriale (la Campania), è il lavoro istruttorio che dall'inizio del 2007 hanno avviato un'altra Procura della Repubblica - Civitavecchia - e la Polizia Ferroviaria di Roma. Anche qui, come a Napoli, l'incipit è casuale. Se infatti la Guardia di Finanza, nel 2006, tira i suoi primi fili di indagine a partire da due carri merci taroccati ritrovati su un binario morto nelle campagne di Sessa Aurunca (Caserta), il lavoro della Polfer, tutt'ora in corso, comincia, nel 2007, inseguendo ladri di rotaie. Ne spariscono - come documenta una denuncia della stessa Rfi (la società di Fs che gestisce la Rete) - 450 tonnellate nello scalo di Tarquinia (a nord di Civitavecchia), in un via vai di camion senza insegne che caricano quella merce per depositarla in capannoni privati, in Umbria e Toscana, dove di rotaie di frodo ne verranno trovate 10 mila tonnellate. Normalmente destinate, per quel che accerterà l'indagine, alla costruzione di snodi adibiti al collegamento tra la Rete di Ferrovie e depositi di stoccaggio di proprietà di aziende private che lavorano nel trasporto merci.

Nel novembre scorso, finiscono così in manette in dieci, tra imprenditori e funzionari delle Ferrovie. Ma quel che più conta è che l'ascolto dei telefoni degli indagati, consente alla Polfer di scoprire che il mercato delle rotaie di risulta ha un suo perfetto calco e protagonisti comuni in quello dei carri merci.

L'indagine di Civitavecchia, di "zombie" taroccati ne individua 52, del tipo cosiddetto "tramoggia" (adibiti cioè al trasporto dei materiali necessari alla lavorazione nei cantieri ferroviari: dal pietrisco, alla sabbia, alla ghiaia, alla terra) cui è stata contraffatta la sigla del telaio. In alcuni casi, i carri spariscono direttamente dai depositi delle Ferrovie che custodiscono materiale rotabile in disuso. In molti altri, fanno parte - come si è già visto nell'inchiesta di Napoli - di lotti destinati a rottamazioni che si accerteranno fittizie. Per altro, alcune delle società destinatarie dei carri contraffatti - nel sud del Paese, come anche in Emilia e Toscana - coincidono con quelle già emerse dagli accertamenti della Guardia di Finanza. Insomma, uno stesso mercato nero, uno stesso "sistema", uno stesso canovaccio dai medesimi interpreti.

Interpellate da "Repubblica" sulla capacità di "controllo" del proprio parco merci destinato a rottamazione e mai rottamato, e dunque sul cuore delle questioni poste dalle inchieste di Napoli e Civitavecchia, le Ferrovie dello Stato scelgono il silenzio. Gilberto Galloni, amministratore delegato di "Fs logistica", la società del gruppo che ha competenza sul trasporto merci, fa sapere attraverso la sua segreteria di non poter rispondere "perché impegnato in una missione all'estero". Il portavoce di Fs, Federico Fabretti, dopo aver chiesto ventiquattro ore di tempo, dice: "Abbiamo scelto di non rilasciare alcun dato aziendale perché c'è un'inchiesta in corso".

(26 luglio 2009)
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