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Messaggioda pierodm il 12/09/2011, 14:02

Vedo che si è aperta una discussione sulla liceità dei termini “infantile e velleitario”, che è in realtà una riflessione sul tema dei “termini offensivi”.
Intervengo con qualche mese di ritardo, ma spero di essere scusato dal fatto che ne sono stato impedito da ragioni di ordine superiore.

Leviamoci subito il pensiero, e diciamo che “infantile e velleitario” non sono termini, in se stessi, offensivi.
Ovviamente. Non c’è bisogno di andare a consultare dizionari.
Leviamoci, a questo punto, anche un altro pensiero: stabilire pregiudizialmente quali parole siano offensive è stupido, e presupporre che l’offesa si nasconda nelle parole è da burocrati pedanti.
E poi, è così importante, così determinante “l’offesa”, ammesso che ci sia?

L’offesa è infatti una questione complessa, fondata sulla sensibilità personali, sul contesto e sul merito, più che sulle regole: offendere è semmai una colpa, e solo un burocrate sente la necessità di farne un reato.
Comunque – colpa o reato che sia – non si tratta solo di parole, ma di atteggiamenti, discorsi, modi di essere e di comunicare, di partecipare.
Gli atteggiamenti, i discorsi, i modi di essere sono vissuti e possono essere giudicati con una quantità e varietà praticamente infinita di attributi: piacevole, fastidioso, insinuante, altezzoso, dubitativo, aggressivo, ingenuo, pretenzioso, acuto, astioso, contradditorio, confuso, istruttivo, pesante, leggero, riflessivo, ripetitivo, originale, banale, sorprendente, sciatto, ingiustificato …
Solo nelle beghe da cortile, da parte di comari particolarmente stupide e litigiose, l’unica discriminante può essere quella della “offesa”.
Si può essere irritati, senza essere necessariamente offesi. Si può notare che una presenza o un discorso è fastidioso e inopportuno per il contesto in cui si verifica, senza che sia offensivo specificamente per qualcuno.
Si può essere, insomma, annoiati, meravigliati, irritati, incazzati, delusi, addolorati, pensierosi, … di fronte ad un discorso o ad un modo di essere, invece che ottusamente, invariabilmente “offesi”.
E – nota per la Moderazione – una mentalità censoria e interventista potrebbe riscontrare gli estremi per un giudizio di inopportunità, o d’indecenza, per una serie di ragioni che comportano una turbativa della vita comunitaria, o una degenerazione del livello dei discorsi, o una forte irritazione degli interlocutori, etc.

Dunque la domanda di cui all’inizio andrebbe modificata: i termini “infantile e velleitario” possono generare conseguenze e reazioni negative in un contesto di discussione?
Come per qualunque altro termine, possono generare reazioni negative a determinate condizioni.
Qualunque parola può diventare negativa, irritante, così come qualunque oggetto – anche il più innocente – può diventare un’arma.
Per esempio, anche il termine “cara” – in sé tipicamente gentile – può irritare una donna, quando viene usato con allusiva insistenza. Peggio poi “cara signorina”, che serve a sottolineare ingiustificatamente una differenza di genere, senza alcun rapporto con l’argomento.
“Infantile e velleitario”, quindi, diventano termini inopportuni, irritanti, quando sono usati a commento di discorsi diversi tra loro, in modo indiscriminato e sistematico, senza che appaia evidente o, peggio, che sia spiegata la loro attinenza.
Nel nostro caso, qualcuno ha per così dire esordito e continuato a partecipare alla discussione attribuendo a certe idee, esposte da determinati interlocutori, l’appartenenza a una tradizione di sinistra tipicamente “infantile e velleitaria”: non c’è mai stata una spiegazione che indicasse che quella idea, o quella affermazione fosse “infantile”, o quell’altra idea “velleitaria”, e nemmeno quale fosse il legame, la prova dell’appartenenza di quell’interlocutore alla tradizione di una sinistra siffatta.
“Infantile e velleitario” insomma usato come slogan, un mantra spicciativo, un tormentone.
Assunto una volta o due, un simile atteggiamento genera qualche domanda, qualche richiesta di spiegazione, magari leggermente meravigliata e irritata. Se viene ripetuto nel tempo, qualifica il suo autore come un interlocutore obiettivamente sgradevole. Specialmente, poi, se gl’interventi di questo genere diventano a mano a mano invasivi, e non più limitati a qualche sporadico blitz che può passare come la bizzarria di un personaggio stravagante.



Tuttavia, se un certo atteggiamento o discorso è fastidioso, aggressivo, sordo ad ogni critica, insopportabilmente stupido tanto da sembrare provocatorio, etc, come comportarsi? Come si colloca in un contesto di discussione? Quali conseguenze può avere? Si tratta di un problema di stile o di contenuti? Può la libertà di opinione giustificare qualunque atteggiamento?
Stiamo parlando, insomma, della qualità e della funzionalità stessa di uno spazio di discussione.
A questo problema - alle domande di cui sopra - ognuno può dare la propria risposta.

Io ho la mia, piuttosto semplice, perché deve valere in casi molto vari.
Bisogna capire in che modo s’intende un luogo di discussione: una vetrina di opinioni, o un confronto di idee.
C’è chi la vede come una specie di esposizione di opinioni, una bacheca sulla quale appuntare proclami e repliche apodittiche, slogan e aforismi più o meno “poliedrici”.
C’è chi la vede come confronto di idee, ossia come confronto delle ragioni che sostengono le opinioni, o la manifestazione delle proprie riflessioni: quello che giustifica qualunque aggettivo, qualunque giudizio è la spiegazione, che non è un optional ma la ragione stessa per cui si partecipa.

Non sono quindi le singole, specifiche parole che sono messe in discussione, ma l’atteggiamento aggressivo e per così dire “rumoroso”, di chi suppone di avere opinioni così importanti da proclamare che può permettersi di trascurare ogni riguardo.
Un atteggiamento, insomma, che è riduttivo vedere sotto l’aspetto della “offesa”, ma che fa incazzare anche i più pazienti – forse proprio i più pazienti.
L’esperienza ha dimostrato che la moderazione pedantesca e formalista è impotente (o talvolta complice…) di fronte a questo tipo personaggi aggressivi ed arroganti, mentre è perfettamente calibrata per censurare l’incazzatura.
Io sono l’incazzatura. Qualcuno doveva prendersi la responsabilità di incazzarsi. Considero una colpa il fatto di averlo fatto troppo poco, e con eccessiva educazione.
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