da: L'Espresso 17 Aprile 2008
Giorgio Bocca: Rimpianto dei Prodi

Nel giorno in cui gli italiani ricevono la prima buona notizia di
questo annus horribilis, cioè l'assegnazione a Milano
dell'Expo 2015; nel giorno in cui il sindaco di
Milano, la signora
Moratti, riconosce
pubblicamente a
Romano Prodi di aver operato con
pazienza, dedizione e competenza internazionale per ottenere la
maggioranza dei voti stranieri, il Cavalier Silvio Berlusconi ha
continuato e rincarato attacchi, insulti e derisioni a Prodi.
Confermando l'idea che prima Giolitti e poi Mussolini ebbero della
politica in questo paese: "Governare l'Italia, più che impossibile
è inutile".
Come è noto Prodi ha rinunciato a candidarsi a capo del governo e a
deputato in Parlamento. E uno dei suoi ministri,
Vincenzo
Visco, non è neppure stato presentato alle elezioni dal
Partito democratico. Il ceto dirigente e la pubblica opinione non
hanno espresso né stupore né rincrescimento per questo ritiro dalla
vita pubblica di due persone cui va riconosciuto il merito
eccezionale, e forse per questo ignorato e biasimato, di avere, per
primi nel paese dei privilegi personali e delle pubbliche
negligenze, rimesso ordine nei conti dello Stato e fatto pagare le
tasse agli evasori. Associati nell'odio e nel disprezzo dei
benpensanti, dei 'moderati', al ministro Di Pietro, che il
Cavaliere di Arcore definisce nei suoi comizi "un uomo che mi fa
orrore", e si capisce perché, perché ha osato mandare a giudizio i
più noti ladroni della Repubblica.
Nella letteratura mondiale, dal tempo remoto dei classici, esistono
satire, saggi, racconti sul mondo alla rovescia, dove gli onesti
finiscono in prigione e i furfanti trionfano. Ma qui si esagera, ed
è proprio questa esagerazione, questa mancanza di limiti, di
rispetti, di misure, che ci fa capire a fondo la crisi della nostra
società.
Romano Prodi e la sua famiglia appartengono a quella media
borghesia che ogni società civile considera il suo sostegno:
professori, scienziati, amministratori, economisti, storici, di
buoni studi, uomini per bene con mogli e figli per bene, pronti
come Prodi a pagare le ambizioni politiche con le fatiche e i
sacrifici propri del 'servitore dello Stato'.
Il sindaco di Milano
Letizia Moratti lo ha
riconosciuto pubblicamente: il Professore emiliano pacioso e bon
vivant ha perso molte notti per tenere i contatti coi delegati
stranieri da cui dipendeva la scelta di Milano, e lo ha fatto anche
a vantaggio di un sindaco e di una città che politicamente non
stanno dalla sua parte. Ma al
Cavaliere di Arcore
è bastato individuare in lui il più forte ostacolo alla sua
rivincita per insultarlo e deriderlo da mesi, per ordinare alla sua
stampa 'gialla' una diffamazione sistematica quanto incivile,
arrivata ad accusarlo di aver nascosto i regali avuti come capo del
governo, come a dire di aver rubato i 'gioielli della
corona'.
Ciò che in
Prodi è insopportabile per i suoi
avversari è la normalità, la sua vita privata è quella di una
persona normale, civile. Non è un tycoon, non è un miliardario, non
è un seduttore, un macho, e neppure un tiranno, è uno che essendo
fra le persone più influenti nell'establishment dell'Iri, cioè
nella concentrazione più alta della finanza e del potere pubblico,
non ha rubato. C'è da far uscire pazzi di rabbia quelli che di ogni
incarico pubblico fanno un affare privato.
Conosciamo i vizi e le assurdità del nostro Paese, e le ragioni
serie dell'antipolitica, ma non al punto di rinunciare alle poche
persone oneste e capaci, non al punto di rassegnarsi alla sconfitta
e alla disperazione.
(17 aprile 2008)