(dal Corriere
della Sera del 13 febbraio 2005)
Voto a rischio? Tutto a monte. Per le «primarie» di
Viterbo, a sinistra, si erano mobilitati in tantissimi: un ventisettesimo
dell'intera popolazione provinciale. Come se a livello nazionale
fossero andati a chiedere di votare due milioni di persone.
Un trionfo.
Che avrebbe dovuto celebrare oggi, domenica 13 febbraio, la rinascita
di una provincia storicamente «rossa» conquistata anni
fa dalla destra. Macché: tutto saltato. Come in certe partite
all'oratorio dove il padrone del pallone, se buttava male, si metteva
la sfera sottobraccio: «Non gioco più». Fine
della partita.
E perché? Fifa blu, dicono i maliziosi. Fifa blu, dentro
la spaccatissima Unione, che si ripetesse il ribaltone pugliese
dove Nichi Vendola aveva fatto secco il candidato ufficiale dell'Ulivo.
Con un' aggravante tutta interna ai Democratici di sinistra: a Viterbo
il candidato della gauche alternativa non era un bertinottiano ma
un diessino della minoranza del Correntone. Un rivale intestino.
Ma è meglio partire dall' inizio. E cioè da quando,
sulle colline della Tuscia, versante di sinistra, cominciò
a soffiare quel vento fresco e impetuoso invocato da Romano Prodi:
primarie, primarie, primarie! Una cotta. E tutti a dirsi, dandosi
di gomito: cosa c'è di più bello che affrontarsi all'americana
tra amici e alleati che si vogliono bene e dar vita a una bella
battaglia ideale sui contenuti e poi affrontare insieme, chiunque
la spunti, il vero nemico e cioè la destra?
Vinca il migliore! Detto fatto, dovendo decidere il nome del candidato
alla
presidenza della Provincia alle elezioni del prossimo 3 aprile,
i
volonterosi primaristi viterbesi hanno stilato un bel regolamento
approvato
all'unanimità da tutti i partiti della Gad e dai movimenti
in base al quale
per presentarsi alla disfida occorreva raccogliere 600 firme in
almeno 10
comuni della Provincia. Firme che dovevano essere apposte da elettori
disposti a sottoscrivere il programma e il progetto politico della
Grande
Alleanza. Data stabilita per il ballottaggio tra i vari aspiranti:
il 13
febbraio, giorno in cui avrebbero dovuto essere pronti gli appositi
seggi.
Il giorno fissato per la presentazione delle
candidature, 27 gennaio, è arrivata la sorpresa. Non solo
i candidati che
avevano preso sul serio la gara erano tre, cioè il diessino
fassiniano
Enrico Panunzi, il diessino «correntonista» Antonio
Filippi, ex segretario
provinciale della Cgil, e il prodiano Antonio Zezza, che non accettando
di
dover scegliere tra le due anime della Quercia si era dato da fare
raccogliendo in proprio, a dispetto della Margherita cui è
iscritto, circa
1.500 firme. Ma nonostante l'appoggio della maggioranza del suo
partito, di
larga parte di quello di Rutelli, dei socialisti dello Sdi, dell'Udeur,
dei
cossuttiani e di tutte le minutaglie della coalizione, il cavallo
ufficiale
ulivista aveva raccolto 4.500 firme. Mentre quello «mussiano»,
sostenuto
dalla minoranza diessina, da Rifondazione, dai Verdi, da un pezzo
della
Margherita legata alle associazioni del volontariato e dai movimenti
raggruppati nel comitato «Un'altra provincia di può!»,
di firme ne aveva
4.700. Indice che la partita era tutta aperta. Peggio: grazie alla
maggiore
capacità di mobilitazione della sinistra più radicale
era possibile il
replay di quanto era accaduto in Puglia.
Tema: cosa fare? La discussione, condotta un po' in
pubblico e un po' nelle segrete stanze, è andata avanti per
pochi giorni.
Finché il 31 gennaio Enrico Panunzi, l'ormai azzoppato purosangue
ulivista,
non ha rotto gli indugi. E ha rinunciato alla candidatura. «Motivi
personali». Cioè? «Motivi personali». Ma
di che tipo? «Motivi personali». A
quel punto, dicono, gli inviti a Zezza perché lasciasse perdere,
hanno
cominciato a essere un assedio. Finché il margheritino dissidente
ha deciso
anche lui di mollare: stando così le cose... Da allora, se
gli chiedi cosa
sia successo risponde:
«Stendiamo un velo pietoso, non ne voglio più
parlare». Rimasto in ballo da solo, Antonio Filippi ha tenuto
duro qualche
giorno. Poi, l'altro ieri, ha fatto buon viso a cattivo gioco: «Non
potevo
mica correre da solo... Ormai le primarie le avevano annullate».
Alessandro
Mazzoli, il segretario ds, gli ha mandato una pubblica lettera di
imbarazzato plauso, che si richiama un po' alle epistole con cui
venivano
ringraziati i funzionari scomodi eliminati ai tempi di Togliatti
e Secchia:
«Il tuo è un gesto nobile degno di un dirigente politico
al servizio degli
interessi generali. Ora, tutti insieme, possiamo voltare pagina....
Oddio:
delle altre primarie? Per carità, spiega il responsabile
diessino:
«Decideremo serenamente, tutti insieme. Ma basta primarie:
troppe rotture».
E così, mentre la destra viterbese si spacca e pare andare
al voto con tre liste (quella ufficiale guidata dal forzista Enrico
Battistoni più una dell' azzurro ribelle Ugo Gigli e una
del senatore Michele Bonatesta che ha sbattuto la porta ad An mentre
Storace tuonava: Chiedetegli scusa!»), a sinistra sospirano:
e pensar che sarebbe l'occasione buona... Il candidato comune, giurano,
lo troveranno in pochi giorni.
Mah... Per risolvere l'ultimo conclave, da queste parti, ci misero
tre anni e i viterbesi dovettero murare i cardinali nel palazzo
e poiché non bastava ancora smontarono il tetto per lasciarli
esposti a pane e acqua, al freddo e alla pioggia.
Auguri.
Gian Antonio Stella