da: http://www.italianieuropei.it
Cosa sono le primarie americane?
di Sergio Fabbrini
L'America è come il calcio: tutti ne parlano,
ma pochi la conoscono. La democrazia americana (nel senso degli
Stati Uniti) sembra essere a portata di mano, tanto appare semplice
e decifrabile. Figuriamoci le primarie: semplicissime. Così
semplici da dividere i favorevoli e i contrari. Ma su che cosa?
Nessuno che spieghi che cosa siano. Qui, procederò diversamente.
Primo, spiegherò cosa sono le primarie americane. Secondo,
discuterò quando e perché sono nate. Terzo, descriverò
alcune delle implicazioni che esse hanno avuto sui partiti politici.
Quarto, cercherò di trarre alcuni insegnamenti utili per
chi è interessato alla democratizzazione della politica.
La mia conclusione è che le primarie americane non siano
esportabili, tanto sono specifiche al contesto che le ha generate.
Tuttavia, esse possono fornire alcune indicazioni utili al nostro
riformismo.
Le primarie sono un metodo di selezione dei candidati che dovranno
poi concorrere per acquisire cariche istituzionali monocratiche.
Selezione e non già elezione, in quanto la prima attività
è precedente alla seconda. Si chiamano primarie, infatti,
perché si tengono "prima" delle elezioni finalizzate
ad assegnare cariche di governo o seggi di rappresentanza.
Negli USA esistono in realtà una pluralità
di metodi per le primarie
Sono definite più propriamente come primarie
dirette, in quanto prevedono il coinvolgimento diretto degli elettori
nella scelta dei candidati che essi dovranno poi votare. Le primarie
dirette sono un genere a cui corrispondono diverse specie. Nel senso
che, per primarie dirette, occorre intendere una pluralità
di metodi di selezione, seppure ognuno di essi si basi su una partecipazione
diretta degli elettori nella selezione dei candidati. Le differenze
tra i vari tipi non sono di poco conto. Anzi, la loro diversa organizzazione
incide formidabilmente sull'esito della selezione. Il criterio distintivo
è quello della registrazione presso le liste di un partito,
da non confondere con l'iscrizione ad un partito. La registrazione
in un partito non ha (necessariamente) implicazioni finanziarie
o ideologiche. È un atto pubblico, non privato, nel senso
che è regolato dalle leggi statali e non dagli statuti partitici.
Insomma, in America ci si registra in un partito, mentre in Europa
ci si iscrive.
Naturalmente, la primaria diretta che attira la maggiore attenzione
è quella relativa alla selezione dei candidati per la presidenza.1
Nelle elezioni presidenziali del 2000, i partiti politici (e in
particolare i due maggiori) hanno fatto ricorso a cinque tipi diversi
di primaria diretta. Il primo tipo è la "primaria chiusa".
Ad essa possono partecipare solamente quegli elettori che si sono
anticipatamente registrati in un partito. Il registro è pubblico
nel senso che è depositato presso un'autorità pubblica
e da quest'ultima è scrutinato. Gli elettori ricevono una
scheda in cui sono elencati solamente i candidati del partito in
questione che corrono per una data carica politica. Questo tipo
di primaria diretta è stato adottato in quindici Stati (Connecticut,
Delaware, District of Columbia, Kentucky, Maine, Nebraska, North
Virginia, New Jersey, New Mexico, New York, Oklahoma, Oregon, Pennsylvania,
South Dakota,Wyoming). Anche all'interno di questa primaria ci sono
alcune differenze, da non sottovalutare, relativamente alla scadenza
utile per registrarsi o per cambiare affiliazione partitica. Ad
esempio, nello Stato di New York la registrazione deve essere effettuata
un anno prima della data prevista per la primaria diretta, nel Connecticut
tre mesi prima, in South Dakota quindici giorni prima.
Il secondo tipo è la "primaria chiusa ma aperta agli
indipendenti". Come nella precedente primaria, possono votare
quegli elettori che si sono registrati in un partito. Tuttavia,
contrariamente a quella precedente, possono votare anche quegli
elettori cosiddetti indipendenti che decidono però di partecipare
alla primaria diretta di un dato partito.
Generalmente, questi elettori vengono registrati in un partito il
giorno in cui si presentano al seggio della primaria diretta di
quel partito. Così è avvenuto in dodici Stati, e cioè
in Arizona, Colorado, Florida, Idaho, Kansas, Maryland, Massachusetts,
New Hampshire, North Carolina, Rhode Island, Utah, West Virginia.
Ma anche qui, vi sono alcune differenze da considerare. Ad esempio,
in Florida gli elettori indipendenti possono partecipare alla primaria
diretta di un partito se quest'ultimo è l'unico partito che
promuove la primaria. In Maryland o New Hampshire, l'elettore indipendente
può chiedere di essere tolto dal registro del partito subito
dopo che ha finito di votare nella sua primaria diretta. Oppure
in Utah, l'elettore indipendente viene automaticamente cancellato
dal registro del partito una volta che ha votato nella sua primaria
diretta. I democratici dell'Oregon hanno utilizzato questa primaria,
mentre quella chiusa è stata utilizzata dai repubblicani.
Il terzo tipo è la "primaria aperta con dichiarazione
pubblica".
Possono partecipare alla primaria diretta gli elettori che dichiarano
la loro scelta di partito il giorno della selezione e presso il
seggio in cui essa si tiene. Qui non c'è bisogno di alcuna
registrazione per partecipare alla primaria diretta. L'elettore
prende la scheda del partito nella cui primaria ha deciso di partecipare,
appone la propria preferenza e quindi la restituisce ai rappresentanti
di quest'ultimo nel seggio (in cui si tengono anche le primarie
di altri partiti). Questa primaria diretta è stata utilizzata
in undici Stati, e cioè in Alabama, Arkansas, Georgia, Illinois,
Indiana, Missouri, Ohio, South Carolina, Tennessee, Texas, Virginia.
Anche qui ci sono differenze, ma non rilevanti. Ad esempio, in Texas
la scelta di votare nella primaria di un partito viene considerata
al pari di una registrazione informale in quest'ultimo, registrazione
quindi valida per l'anno successivo (nel senso che l'elettore potrà
partecipare automaticamente ad altre primarie dirette di quel partito
per quel periodo di tempo). Negli altri Stati, invece, la scelta
non avrà alcun effetto. Così un elettore può
partecipare alle primarie dirette di un altro partito, ovviamente
per selezionare candidati per una differente carica pubblica.
Il quarto tipo è la "primaria aperta con scelta privata".
Possono partecipare alla primaria diretta tutti gli elettori che
si presentano al seggio in cui si tengono le primarie dei vari partiti.
Qui, gli elettori ricevono le schede dei vari partiti, con il nome
dei candidati che corrono nella primaria di ognuno di essi. L'elettore
potrà scegliere nella segretezza del seggio a quale primaria
partecipare, apponendo la propria preferenza nella scheda relativa
e restituendola insieme alle schede degli altri partiti.
Insomma, nessuna dichiarazione è necessaria. Questa primaria
diretta è stata utilizzata in nove Stati, e cioè in
Hawaii, Idaho, Michigan, Minnesota, Mississippi, Montana, North
Dakota, Vermont, Wisconsin. In Vermont questa primaria è
stata utilizzata per la selezione dei candidati alla presidenza,
mentre si è ricorsi alla primaria con dichiarazione pubblica
per la selezione dei candidati alle cariche statali. In Hawaii,
la primaria non viene utilizzata per la selezione dei candidati
alla presidenza, ma solamente per le altre cariche federali e statali.
Anche nel caso di questa primaria, non mancano le differenze di
regolazione. Ad esempio, in Idaho e in Michigan i democratici, contrariamente
ai repubblicani, non considerano come vincolante l'esito della selezione
conseguito con questa primaria.
Il quinto tipo, infine, è la cosiddetta blanket primary,
o "primaria coperta". Qui gli elettori ricevono un'unica
scheda con i nomi di tutti i candidati di tutti i partiti che partecipano
alla selezione per quella determinata carica. I due candidati più
votati, a prescindere dalla loro affiliazione partitica, si presenteranno
quindi alle elezioni successive per conquistare la carica in gioco.
Poiché le cariche in gioco sono diverse, gli elettori riceveranno
per ognuna di esse la scheda con i relativi candidati dei vari partiti.
L'elettore sceglie il candidato preferito senza alcun vincolo di
partito. Ovvero può scegliere candidati di partiti diversi
per le diverse cariche in gioco. Questa primaria è stata
adottata in quattro Stati, e cioè in Arkansas, California,
Louisiana e Washington. Anche se solamente in Arkansas per la selezione
dei candidati presidenziali, mentre negli altri tre Stati solamente
per la selezione dei candidati alle cariche statali. Tale primaria
diretta continua ad essere oggetto di un'infuocata discussione pubblica.
Tant'è che, proprio nel 2000, la Corte suprema, attivata
da un ricorso del partito democratico della California, ha emesso
una sentenza (California democratic party v. Jones) di incostituzionalità
di tale primaria. Il Partito democratico californiano, infatti,
aveva argomentato che tale primaria diretta (imposta per legge dallo
Stato) costituiva una negazione del suo diritto di preservare la
propria organizzazione, diritto garantito dal primo emendamento
(relativo alla libertà di associazione) della Costituzione.
Dunque, quando in Italia si parla di "primarie americane",2
a quale tipo di primaria diretta ci si riferisce?
Quando e perché?
Le primarie dirette costituiscono un aspetto peculiare
della politica americana. Sia ieri che oggi, nessun'altra democrazia
ha mai adottato un simile metodo per la selezione dei candidati
alle cariche pubbliche. La primaria diretta è un tipico esempio
di come si svolge il ciclo riformatore negli Stati Uniti. All'inizio
l'innovazione viene sperimentata in uno Stato, grazie ad alcune
condizioni che la rendono possibile o necessaria. Quindi viene imitata
dagli altri Stati, che tuttavia adattano l'innovazione alle specifiche
situazioni del loro sistema politico. Ovvero che la reinterpretano
sulla base della loro predominante cultura politica. Nel nostro
caso, il primo Stato ad imporre per legge ai partiti l'utilizzo
delle primarie dirette fu la South Carolina nel 1896, quindi seguito
dal Wisconsin nel 1903.
Adottata dagli Stati del Sud per ragioni sistemiche:
"bipartizzare " un sistema monopartitico
Come ha spiegato magistralmente V.O. Key Jr. più
di sessant'anni fa, inizialmente la primaria diretta fu adottata
dagli Stati del Sud per ragioni sistemiche. Poiché questi
Stati erano monopartitici (dopo la Guerra civile, come è
noto, il partito repubblicano non era "legittimato" a
presentarsi alle elezioni negli Stati della vecchia Confederazione),
occorreva trovare un qualche accorgimento per rendere più
competitiva la selezione dei candidati all'interno dell'unico partito
legittimo (quello democratico). Per di più, essendoci un
solo partito, quest'ultimo finiva per rappresentare una pluralità
di interessi sociali ed ideali che erano spesso in contrasto gli
uni con gli altri. Come scegliere tra di loro? Ovvero come scegliere
tra candidati (dello stesso partito democratico) che esprimevano
posizioni talora antagonistiche? La primaria diretta fu la risposta
empirica a questo problema. Essa consentiva di "bipartizzare"
un sistema monopartitico. Tuttavia le sue caratteristiche potevano
risultare utili anche a chi perseguiva un progetto diverso. Quello
di smantellare le tradizionali strutture partitiche (party machines)
che, a cavallo del XIX secolo, controllavano la politica municipale
e statale, adottando metodi da fare impallidire i partiti governativi
della nostra prima repubblica.
È sufficiente dare un'occhiata agli atti delle commissioni
congressuali che avevano investigato il fenomeno per capire di che
cosa si trattava: manipolazione clientelare degli immigrati, corruzione
politico-amministrativa diffusa, ricorso ad attività illegali
per finanziare l'attività partitica, alleanza con gruppi
criminali e mafiosi per risolvere i conflitti con gli avversari
politici, controllo spietato della stampa cittadina, uso della violenza
all'interno stesso dei partiti, inquinamento malavitoso delle corti
e controllo partitico delle cariche giudiziarie elettive. Naturalmente,
le situazioni di degenerazione democratica estrema tendono a produrre
reazioni democratiche estreme (che rischiano sempre di buttare via
il bambino con l'acqua sporca). La principale delle quali è
stata la mobilitazione contro i partiti, ritenuti (più a
ragione che a torto) vere e proprie associazioni a delinquere. Una
verità, quest'ultima, che i difensori nostrani dei vecchi
partiti americani, chissà perché, tendono sempre a
trascurare.
Comunque sia, gli Stati come il Wisconsin che erano alla testa del
movimento riformatore dei Progressives videro nella primaria diretta
una viene sperimentata in uno Stato, grazie ad alcune condizioni
che la rendono possibile o necessaria. Quindi viene imitata dagli
altri Stati, che tuttavia adattano l'innovazione alle specifiche
situazioni del loro sistema politico. Ovvero che la reinterpretano
sulla base della loro predominante cultura politica. Nel nostro
caso, il primo Stato ad imporre per legge ai partiti l'utilizzo
delle primarie dirette fu la South Carolina nel 1896, quindi seguito
dal Wisconsin nel 1903. Come ha spiegato magistralmente V.O. Key
Jr. più di sessant'anni fa, inizialmente la primaria diretta
fu adottata dagli Stati del Sud per ragioni sistemiche. Poiché
questi Stati erano monopartitici (dopo la Guerra civile, come è
noto, il partito repubblicano non era "legittimato" a
presentarsi alle elezioni negli Stati della vecchia Confederazione),
occorreva trovare un qualche accorgimento per rendere più
competitiva la selezione dei candidati all'interno dell'unico partito
legittimo (quello democratico). Per di più, essendoci un
solo partito, quest'ultimo finiva per rappresentare una pluralità
di interessi sociali ed ideali che erano spesso in contrasto gli
uni con gli altri. Come scegliere tra di loro? Ovvero come scegliere
tra candidati (dello stesso partito democratico) che esprimevano
posizioni talora antagonistiche?
La primaria diretta fu la risposta empirica a questo problema. Essa
consentiva di "bipartizzare" un sistema monopartitico.
Tuttavia le sue caratteristiche potevano risultare utili anche a
chi perseguiva un progetto diverso. Quello di smantellare le tradizionali
strutture partitiche (party machines) che, a cavallo del XIX secolo,
controllavano la politica municipale e statale, adottando metodi
da fare impallidire i partiti governativi della nostra prima repubblica.
È sufficiente dare un'occhiata agli atti delle commissioni
congressuali che avevano investigato il fenomeno per capire di che
cosa si trattava: manipolazione clientelare degli immigrati, corruzione
politicoamministrativa diffusa, ricorso ad attività illegali
per finanziare l'attività partitica, alleanza con gruppi
criminali e mafiosi per risolvere i conflitti con gli avversari
politici, controllo spietato della stampa cittadina, uso della violenza
all'interno stesso dei partiti, inquinamento malavitoso delle corti
e controllo partitico delle cariche giudiziarie elettive. Naturalmente,
le situazioni di degenerazione democratica estrema tendono a produrre
reazioni democratiche estreme (che rischiano sempre di buttare via
il bambino con l'acqua sporca). La principale delle quali è
stata la mobilitazione contro i partiti, ritenuti (più a
ragione che a torto) vere e proprie associazioni a delinquere. Una
verità, quest'ultima, che i difensori nostrani dei vecchi
partiti americani, chissà perché, tendono sempre a
trascurare.
Uno strumento in mano ai Progressives ,
per aggredire il potere dei boss
a capo delle macchine partitiche
Comunque sia, gli Stati come il Wisconsin che erano
alla testa del movimento riformatore dei Progressives videro nella
primaria diretta una modalità per aprire i partiti politici
e per neutralizzare i boss senza scrupoli che li controllavano.
Non solo, a partire da quello Stato, vengono introdotte norme che
riformano radicalmente il sistema elettorale, fino al punto di impedire
ai partiti di presentarsi come tali alle elezioni locali.
In particolare negli Stati orientali e delle pianure, venne approvata
una legislazione che imponeva di presentare liste non partisan nelle
elezioni municipali. Contemporaneamente radicali riforme amministrative
furono introdotte per smantellare lo spoil system, così da
incrementare il numero degli impieghi pubblici da assegnare sulla
base del merito e della competenza e non dell'appartenenza al partito
del vincitore. È inutile precisare che, in questo periodo,
il vento riformatore passò soprattutto negli Stati e nelle
città, proprio perché lì risiedeva il potere
politico.
Almeno fino agli anni Trenta del XX secolo, il centro
federale era abbastanza debole e, al suo interno, l'istituzione
più forte continuava ad essere quella rappresentativa degli
Stati e delle località, e cioè il Congresso (tant'è
che lo stesso Woodrow Wilson, in un suo studio del 1908, continuava
a definire l'America come un "governo congressuale").
Insomma, agli inizi del secolo scorso, la primaria diretta divenne
uno strumento in mano ai Progressives, utilizzato per aggredire
il potere dei famigerati boss a capo delle macchine partitiche.
Lo strumento ebbe un tale successo che, nel 1916, poco meno della
metà degli Stati (venti) lo avevano adottato per la selezione
dei candidati per la presidenza federale.
Ben presto, tuttavia, la crisi economica e le nuove minacce belliche
porteranno ad un declino del movimento riformatore. I partiti, seppure
ridimensionati, ripresero il controllo della selezione dei propri
candidati, ricorrendo al loro strumento preferito: il caucus (una
parola di origine pellerossa che più o meno significa "riunione
a gambe incrociate di fronte alla tenda"). Il caucus è
una riunione di partito che è largamente controllata dai
leader di contea e di Stato. Così, dal 1916 al 1972, gli
Stati che tengono le primarie dirette declinano inesorabilmente
(mediamente sono 1/3 del totale), mentre crescono quelli che ricorrono
alle riunioni o convenzioni di partito. Nondimeno, le primarie dirette
vengono tollerate dai capi di partito in quanto occasione per misurare
la popolarità dei candidati meno noti. Infatti, fu indubbiamente
il successo ottenuto nelle primarie democratiche che consentì
a J.F. Kennedy di vincere le resistenze dei leader democratici a
nominare un irlandese-cattolico come candidato del partito democratico
per l'elezione presidenziale del 1959. Ma occorrerà attendere
i grandi conflitti degli anni Sessanta per veder rinascere la primaria
diretta in quanto metodo per la democratizzazione dei partiti. La
selezione, da parte del partito democratico nel 1968 nella sua Convenzione
di Chicago, di un candidato (H. Humphrey) favorevole al proseguimento
dell'intervento in Vietnam porterà ad una tale critica del
metodo del caucus che, a partire dal 1972, la primaria diretta verrà
assunta come il metodo principale di selezione da parte di quel
partito.
Anche il Partito repubblicano seguirà quello democratico
su questa strada. Se non altro perché costretto dalla legislazione
di quegli Stati in cui i democratici erano la maggioranza. La primaria
diretta verrà quindi imposta, dalla legislazione della maggioranza
degli Stati, come il metodo principale di selezione delle candidature
politiche. Nel 2000 solamente in Iowa, Hawaii, Minnesota, Nevada,
Wyoming entrambi i maggiori partiti hanno fatto ricorso al caucus.
Naturalmente, il caucus è stato utilizzato anche in altri
Stati, ma non da entrambi i maggiori partiti. In particolare, i
repubblicani hanno utilizzato il caucus in Alaska e North Dakota
e i democratici in Delaware, Idaho, South Carolina, Washington e
Virginia. Con l'eclisse del movimento pacifista degli anni Sessanta,
la primaria diretta è diventata quindi uno strumento del
nuovo populismo che si era affermato inizialmente negli Stati dell'Ovest
e che condurrà ad una sequela di riforme sul piano locale
e statale. Anche in questo caso, dalla primaria diretta al referendum,
dall'iniziativa legislativa popolare al limite dei mandati, l'obiettivo
continuava ad essere quello di delimitare il potere delle organizzazioni
partitiche, in quanto si riteneva che potessero divenire facilmente
preda di qualche potente gruppo di interesse. Non c'è un
paese democratico in cui, come in America, il potere politico sia
visto con così diffuso sospetto. Basti pensare al recall
che diversi Stati hanno cercato di introdurre, in base al quale
un politico eletto può essere addirittura sostituito dai
suoi elettori durante il mandato, se ritenuto da essi non più
rappresentativo. E allora, se non si collocano le primarie dirette
in tale contesto storico-istituzionale, come si fa a capirle?
Le implicazioni
Si dice che le primarie dirette abbiano distrutto i partiti politici
americani. Una banalità.
Le primarie dirette sono un effetto
della debolezza dei partiti, e non già una causa
Le primarie dirette sono un effetto della debolezza
dei partiti, e non già una causa. Certamente, i partiti americani
si erano indeboliti per gli abusi di cui erano stati protagonisti.
Tuttavia, la loro debolezza ha ragioni strutturali, e non solo comportamentali.
Dopo gli anni Trenta del secolo scorso, con la crescita di influenza
della presidenza e il contemporaneo mantenimento della forza del
Congresso, il governo americano è divenuto un governo compiutamente
separato. Quando il potere decisionale è condiviso da più
istituzioni reciprocamente indipendenti, è difficile che
i partiti diventino organizzazioni coese e accentrate. Di necessità,
essi sono costretti ad adattarsi, sul piano organizzativo, alla
separazione dei poteri vigente sul piano governativo. Per questo
motivo, in America, si hanno tanti partiti quanto sono le arene
governative in cui essi debbono agire: la presidenza, la camera
dei rappresentanti, il senato e, quindi, le equivalenti istituzioni
statali. Si può dire che, per quanto riguarda il partito
nel governo, quelli americani sono una coalizione di partiti istituzionali.
Ogni partito deve rispondere ad un diverso elettorato (quello presidenziale
all'elettorato nazionale, quello della camera all'elettorato di
distretto, quello del senato all'elettorato di Stato), si mobilita
sulla base di diverse scadenze temporali (quello presidenziale ogni
quattro anni, quello della camera ogni due anni, quello del senato
ogni sei anni), deve tenere presente diversi interessi politici
(l'interesse presidenziale a ridurre la spesa militare potrebbe
non coincidere con l'interesse del congressman/woman del suo partito
a preservare la base militare collocata nel suo distretto o Stato
che garantisce il lavoro a molti suoi elettori).
Per di più, con la separazione dei poteri, il congresso e
il presidente sono istituzionalmente indipendenti: il primo non
deve sostenere il secondo, come nelle democrazie europee. Di conseguenza
non funziona neppure il richiamo alla disciplina parlamentare per
tenere uniti i vari partiti.
Insomma, nei sistemi a separazione multipla (orizzontale e verticale)
dei poteri, la vita dei partiti è necessariamente dura. Le
primarie dirette hanno dato la spinta ai partiti, ma essi erano
già arrivati da soli sull'orlo del burrone. Quella spinta,
nondimeno, ha avuto implicazioni importanti. Che vale la pena di
ricordare. Elenco le quattro più evidenti. In primo luogo,
la trasformazione di quei partiti in strutture di servizio, di formidabile
efficienza, dei vari candidati che si affermano attraverso le primarie.
Si dice che la politica americana sia diventata candidate-centered,
ed è vero. Nel senso che sono i candidati a connotare i partiti,
e non viceversa. I partiti sono delle guidelines, esprimono generici
indirizzi di politica pubblica, ma non si connotano autonomamente
come agenzie programmatiche.
Ai candidati che vincono le primarie dirette è affidato il
compito di definire il programma del partito presidenziale o dei
vari partiti locali e statali. Se è vero che una primaria
divide un partito al suo interno, è anche vero che i partiti
americani erano già abbastanza divisi al loro interno per
queste ragioni istituzionali.
Le primarie hanno fatto lievitare drammaticamente
i costi della campagna elettorale
In secondo luogo, le primarie dirette hanno portato
ad una crescita straordinaria dell'attività di fund-raising
da parte dei candidati. Poiché i partiti erano già
deboli, e poiché una rigida legislazione sia federale che
statale ha drasticamente ridimensionato le loro capacità
finanziare di contribuire alle campagne elettorali dei candidati,
questi ultimi si sono dunque trovati nella condizione di lavorare
aspramente per trovare fondi, sostegni, risorse. Le primarie dirette
hanno fatto lievitare drammaticamente i costi della campagna elettorale,
che già di per loro erano impressionanti: nelle elezioni
presidenziali e congressuali del 2000 sono stati spesi 3 miliardi
di dollari, con un incremento del 50% rispetto al 1996. Ad essi
andrebbero poi aggiunti i costi per le elezioni statali. In terzo
luogo, un simile contesto non ha fatto altro che accrescere il ruolo
di gruppi d'interesse potenti, oltre che di individui e imprese
particolarmente facoltose. In particolare le primarie dirette hanno
visto progressivamente crescere l'influenza dei gruppi organizzati
piuttosto che quella del comune elettore, come sostenevano nel passato
i Progressives e oggi i populisti.
Nel 1996, solamente il 7% dei delegati nella convenzione nazionale
democratica, o il 16% in quella repubblicana, non aveva alcuna affiliazione
di gruppo. Nel 2000 (sempre per quanto riguarda le convenzioni nazionali
che si riuniscono in estate per formalizzare la nomina del candidato
presidenziale che è emerso vincitore dal lungo percorso delle
primarie dirette - e dei caucuses in alcuni casi), 1/3 dei delegati
alla convenzione democratica erano membri del sindacato ovvero 1/5
dei delegati a quella repubblicana erano membri della National rifle
association (l'associazione che difende il diritto a portare ed
utilizzare privatamente le armi da fuoco - ovvero gli interessi
di chi le fabbrica). Ciò significa che queste due organizzazioni
hanno investito risorse e militanti nelle primarie dei singoli Stati,
così da promuovere una candidatura simpatetica con le loro
preferenze (ovvero con i loro interessi). Insomma, le primarie dirette
tendono a fare emergere candidati e proposte che si collocano più
a sinistra (nel partito democratico) o più a destra (in quello
repubblicano) rispetto alla maggioranza centrista degli elettori
del partito.
Con il risultato che gli elettori di centro o indipendenti tendono
poi a spostarsi sul candidato e la proposta meno estremi.
Una formidabile opportunità per incrementare
il ruolo politico dei media
In quarto luogo, infine, la primaria diretta si è
rivelata una formidabile opportunità per incrementare il
ruolo politico dei media (in particolare televisivi). Enfatizzando
le rivalità personali all'interno dei partiti, la primaria
diretta ha consentito ai media televisivi di personalizzare la campagna
elettorale, influenzandone prepotentemente gli esiti. Di qui la
legislazione statale e federale finalizzata a garantire o a promuovere
la competizione tra stazioni radiotelevisive, in coerenza con la
tradizione antimonopolistica del paese. Ma ciò non è
bastato. Tant'è che il ruolo delle televisioni private è
divenuto così rilevante, nello stabilire i vincitori delle
primarie dirette, che N.W. Polsby ha potuto definire i loro proprietari
(i media bosses) come gli equivalenti funzionali dei tradizionali
leader partitici (i party bosses). Se prima erano i secondi
a scegliere i candidati all'interno di "stanze piene di fumo",
ora sono i primi a farlo all'interno di "lindi schermi televisivi".
E allora, se non si colloca l'esperienza delle primarie diretta
nel contesto istituzionale del governo separato,3 come si fa a comprenderne
lo sviluppo e le implicazioni?
Gli insegnamenti
Se si è consapevoli della specificità
del sistema istituzionale, della peculiarità della cultura
politica e della particolarità della vicenda storica degli
Stati Uniti, allora tutto si può pensare (in Italia) ma non
certamente di poter adottare il "modello" delle primarie
dirette americane.
I riformisti non possono dividersi su un "modello organizzativo
"
che non è esportabile
Se i conservatori esaltano un'America che non conoscono,
i riformisti non possono dividersi su un "modello organizzativo"
che non è esportabile.
Piuttosto, essi potrebbero trarre alcuni insegnamenti più
generali dalla vicenda americana delle primarie dirette. In primo
luogo, il riformismo europeo ha qualcosa da imparare dalla cultura
antioligarchica del radicalismo democratico americano. I partiti
politici non debbono essere strutture autoreferenziali, prigionieri
dei gruppi organizzati al loro interno, insensibili agli interessi
dell'elettorato che sta al loro esterno.
Il riformismo deve perseguire il modello del partito "estroverso"
come alternativa al partito "introverso" della sua tradizione
proporzionalistica. democrazia tra i partiti" è sufficiente
per connotare come democratico un sistema di partito, i riformatori
debbono invece avanzare l'argomento che un sistema di partito è
democratico solamente quando garantisce (anche) "la democrazie
nei partiti".
Non devono esserci ambiti decisionali non regolati
dal criterio della partecipazione democratica
Per definizione, il riformismo non può accettare
che vi siano ambiti decisionali non regolati dal criterio della
partecipazione democratica. Naturalmente, vi sono, eccome, ambiti
decisionali che debbono essere sottratti alla partecipazione democratica:
ma tra di essi, di sicuro, non ci sono i partiti. Chi sostiene il
contrario ha l'onere della prova. In secondo luogo, il riformismo
europeo deve adattare la prospettiva della democratizzazione dei
partiti alle condizioni storiche e alle caratteristiche del sistema
istituzionale del contesto in cui esso agisce. L'Italia e l'Europa
dei governi parlamentari e semipresidenziali hanno bisogno di organizzazioni
politiche che siano in grado di assolvere al loro basilare compito:
dare vita a governi e opposizioni responsabili perché programmatiche.
I nostri sistemi istituzionali non possono funzionare con i partiti
dei candidati, pena il rischio di ritornare alla politica trasformistica
dei notabili del passato.(5) Tant'è che in Europa, in molti
paesi e in partiti diversi, sono state sperimentate con successo
primarie di partito, e non già primarie dirette, come ben
spiega nel suo intervento Massari. Cioè primarie aperte agli
iscritti e ai sostenitori del partito, cioè a coloro che
ne condividono il programma e che si fanno carico (anche finanziariamente)
di sostenere le attività per realizzarlo.
Nel caso italiano, c'è una complicazione in più. E
cioè il processo di democratizzazione dei partiti nella coalizione
riformatrice deve avvenire contemporaneamente alla costruzione del
partito coalizionale del riformismo. L'intervento di Barbera e Ceccanti
fornisce indicazioni dettagliate e convincenti su come utilizzare
le primarie di coalizione per costruire, oltre che per democratizzare,
il nostro partito coalizionale di centrosinistra.
In terzo luogo, la costruzione/democratizzazione del nostro partito
coalizionale (l'Ulivo) richiede l'utilizzo di strumenti plurimi
di regolazione della competizione all'interno della coalizione.
Se le cose che ho sopra detto sull'esperienza americana sono plausibili,
allora è bene tenere presente le implicazioni che le primarie
possono avere anche sul piano dei finanziamenti elettorali, del
rapporto con i gruppi organizzati e del ruolo dei media televisivi.
Un buon progetto di primarie di coalizione deve anticipatamente
regolare l'insieme degli attori e delle relazioni che viene attivato
dal processo di selezione. Con le buone intenzioni la democrazia
non avanza. L'apertura dei partiti alla società non costituisce
un avanzamento del processo democratico, se tale apertura finisce
per favorire i candidati ricchi, o con gli amici influenti o con
gli accessi privilegiati al sistema informativo.
Primarie di coalizione sì,
ma all 'interno di un contesto governato da regole
Dunque, primarie di coalizione sì, ma all'interno
di un contesto governato da regole che garantisca una basilare eguaglianza
delle opportunità e un esito selettivo rappresentativo.
Insomma, tra il partito del candidato americano e il partito d'apparato
europeo, il riformismo deve perseguire una strategia alternativa.
Quella del partito coalizionale, estroverso e maggioritario. Cioè
di un partito il cui funzionamento interno sia coerente con il funzionamento
del sistema politico in cui agisce. Se la logica della maggioranza,
mitigata dal rispetto dei diritti delle minoranze, deve connotare
quest'ultimo, la stessa cosa deve valere per il partito coalizionale.
La primaria di coalizione, se opportunamente regolata, è
un metodo appropriato di fare emergere una maggioranza politica,
in quanto fornisce a quest'ultima quella legittimazione dal basso
che le consente di farsi riconoscere come tale anche dalla minoranza;
liberando così il processo decisionale interno al partito
coalizionale dall'immobilismo imposto dai veti reciproci dei vari
gruppi che costituiscono la coalizione.
1 Cfr. S. Fabbrini, Il Principe democratico. La
leadership nelle democrazie contemporanee, Laterza, Roma - Bari
1999.
2 Qui ho fatto riferimento all'esperienza aggregata
dei cinquanta Stati più quella della capitale. Tuttavia,
sarebbe bene considerare che all'interno di alcuni Stati possono
essere utilizzati metodi diversi, come è nel caso della Virginia:
la North Virginia ha adottato la primaria "chiusa" mentre
la West Virginia quella "chiusa ma aperta agli indipendenti".
Ricordo infine che, nei protettorati americani, le primarie si sono
tenute solamente in Puerto Rico. Mentre gli altri, e cioè
American Samoa, Guam,Virgin Island hanno realizzato la selezione
attraverso il caucus.
3 Per un'analisi del sistema di governo separato
statunitense cfr. S. Fabbrini, Il presidenzialismo degli Stati Uniti,
Laterza, Roma - Bari 1993.
4 Sulle caratteristiche e la riforma dei partiti
cfr. S. Fabbrini, Le regole della democrazia. Guida alle riforme,
Laterza, Roma - Bari 1997.
5 Tutt'altro discorso riguarda l'Unione europea,
che invece ha caratteristiche istituzionali molto più simili
all'America che ai suoi paesi membri. Anche qui, cfr. S. Fabbrini
e F. Morata (a cura di), L'Unione Europea. Le politiche pubbliche,
Laterza, Roma - Bari 2002; S. Fabbrini (a cura di), L'Unione
Europea. Istituzioni e attori di un sistema sovranazionale,
Laterza, Roma - Bari 2002.
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