|  
                 Per gentile 
                  concessione da parte de Il Mulino, riceviamo da G. Pasquino 
                  e pubblichiamo. 
                  Questo articolo apparirà nella Rivista il Mulino, 
                  fascicolo di luglio/agosto 2002, in libreria il 13 settembre 
               | 
             
           
            Gianfranco 
              Pasquino, condirettore della "Rivista Italiana di Scienza Politica", 
              è professore (NON insegna!) di Scienza politica nell'Università 
              di Bologna e al Bologna Center della Johns Hopkins University. I 
              suoi libri più recenti sono la Critica della sinistra italiana 
              (Laterza 2001) e Il sistema politico italiano (Bononia University 
              Press 2002). 
            Gianfranco Pasquino 
            Magari, le primarie? 
          
            1. 
              Sono previste elezioni primarie per qualsiasi carica monocratica 
              di rappresentanza e di governo. Debbono essere richieste da un minimo 
              di cento elettori che firmano un apposito documento. 
            2. Sono candidabili tutti coloro che abbiano i requisiti per essere 
            elettori. La candidatura è valida se accompagnata da un minimo 
            di cento firme e da un deposito cauzionario di almeno 750 Euro. Il 
            deposito non verrà rimborsato ai candidati che abbiano ottenuto 
            meno dell'8 per cento dei voti espressi. 
            3. Non sono candidabili i segretari di partito e di sindacato e i 
            componenti delle segreterie di partito e di sindacato. 
            4. Sono elettori tutti i residenti nel collegio che abbiano i requisiti 
            per votare nelle rispettive elezioni, che si registrino nominativamente 
            e versino ciascuno 25 Euro.  
            5. La campagna elettorale è limitata a dibattiti nelle sedi 
            dei quartieri. 
            6. Le votazioni si tengono nelle sedi dei quartieri in una sola giornata. 
            Vince chi ottiene almeno il 50 per cento dei voti più uno. 
            Altrimenti, si procede al ballottaggio fra i due candidati meglio 
            piazzati, ovvero fra i due candidati più votati che decidano 
            di rimanere in lizza.  
            Premessa. 
              Dopo tanto protratto e inutile discutere, nell'Ulivo/centro-sinistra, 
              di primarie che, nella quasi totalità dei casi, si arrestava 
              qualche tempo prima della decisione, è, forse, venuto il 
              momento di rimettere in piedi il discorso, in maniera semplice, 
              ma argomentata. Semplice è il regolamento che propongo in 
              testa a questo articolo. Argomentato è il ragionamento che 
              ispira la proposta, la giustifica punto per punto e motiva i vari 
              articoli e le diverse soluzioni prescelte. Anche se, lo so benissimo, 
              in questo paese il dibattito pubblico è molto raro, spesso 
              squilibrato, appesantito da massicce dosi di ipocrisia, alla fine 
              poco incisivo, continuo a pensare che fare opera di chiarezza può 
              servire ai cittadini, ai partiti e alla democrazia. Forse, qualcuno 
              sarà poi costretto ad assumersi qualche responsabilità 
              oppure, più raramente (le famose, famigerate e mai esperite 
              autocritiche), se le assumerà personalmente. D'altronde, 
              nello spazio di neppure una settimana i lettori dei maggiori quotidiani 
              sono stati esposti ad un vero tripudio di consensi (ma, anche, di 
              capziosi "distinguo") a favore delle elezioni primarie 
              per la scelta quantomeno del prossimo candidato del centro-sinistra 
              alla carica di Presidente del Consiglio! Prima Massimo D'Alema in 
              un'intervista al "Corriere della Sera" (venerdì 
              31 maggio), poi Romano Prodi in un'altra intervista al "Corriere 
              della Sera" (domenica 2 giugno), poi Piero Fassino in un'intervista 
              alla "Repubblica" (venerdì 7 giugno) hanno variamente 
              espresso il loro sostegno alle elezioni primarie per la scelta del 
              candidato a Palazzo Chigi. Prima e dopo vi sono state affermazioni 
              favorevoli alle primarie da parte di un po' tutti i dirigenti dell'Ulivo 
              e della Margherita, persino da parte di Francesco Rutelli. Naturalmente, 
              ci sono le solite obiezioni e c'è anche da aspettarsi che, 
              con il rinvio che Piero Fassino auspica a dopo le elezioni europee, 
              subito assecondato da Walter Veltroni, mentre la leadership dell'Ulivo 
              si sfilaccia, ad un certo punto qualcuno dichiarerà che non 
              c'è più tempo per farle. A riprova, i Democratici 
              e, in particolare, Arturo Parisi, dopo averle chieste a gran voce 
              sotto tutti i governi D'Alema, appena venne il tempo di contrapporre 
              limpidamente Francesco Rutelli a Giuliano Amato che, in fondo era 
              il Presidente del Consiglio in carica, affidarono ai sondaggi, fatti 
              da chi?, la scelta di Rutelli, anche perché, secondo loro, 
              appena otto mesi prima delle elezioni del maggio 2001, non c'era 
              più tempo per fare le primarie. Invece, e questo elemento 
              va sottolineato, non soltanto il tempo c'era eccome, ma primarie 
              limpide, che Giuliano Amato avrebbe dovuto esigere prima di cedere, 
              mestamente, il ruolo di sfidante a Rutelli, e che lo stesso Rutelli 
              avrebbe dovuto volere, per non apparire "paracadutato", 
              avrebbe consentito di creare tensione, ma anche entusiasmo nell'abbacchiato 
              elettorato dell'Ulivo e di rendere molto visibili le personalità 
              dei candidati e le loro proposte programmatiche. In assenza di primarie, 
              la partenza della campagna elettorale dell'Ulivo che, comunque, 
              avvenne soltanto a metà gennaio 2001 (e tra settembre e dicembre 
              2000 buone primarie si sarebbero potute tenere), fu lenta e moscia. 
              Sugli esiti tralascio. 
            Attrezzati da queste osservazioni e da quelle che, in assenza di smentite, 
            considero prese di posizione impegnative dei tre maggiori leader dell'Ulivo, 
            è ora di partire con qualche proposta, naturalmente perfettibile, 
            entro certi limiti, e che può anche essere rifiutata, magari 
            argomentando nel merito, e non perché non c'è più 
            tempo, ed eventualmente controproponendo meccanismi validi, migliori, 
            preferibili. Come si vede dal regolamento posto in testa a questo 
            intervento, gli articoli sono sei, sintetici e puntuali. Credo che 
            abbiano anche il pregio di essere precisi e facilmente comprensibili. 
            Come ho detto, costituiscono il frutto di una riflessione non episodica 
            (v., per esempio, Le primarie per riformare partiti e politica, Il 
            Mulino, n. 370/1997) e di un ragionamento sui rapporti cittadini/partiti. 
            Mi auguro che ai lettori e anche ad almeno qualche dirigente politico 
            interessi il ragionamento che ha condotto alla stesura del mio regolamentino. 
            Se, poi, i lettori e i dirigenti politici vorranno potranno controargomentare. 
            In questo caso, il silenzio, in special modo quello dei politici, 
            non mi sembrerebbe proprio essere d'oro. 
            Punto 
              primo. [Tipograficamente mi sembrerebbe efficace ripetere il punto 
              del regolamento] Le elezioni primarie per la scelta dei candidati 
              alle cariche monocratiche non sono un feticcio. Esistono diverse 
              alternative che non lasciano il potere nelle mani di pochi dirigenti 
              a vita di piccole organizzazioni burocratiche con grandi propensioni 
              a sbagliare. Ad esempio, in qualche comunità molti riconoscono 
              doti naturali di leadership e di autorevolezza nonché qualità 
              di competenza e di rappresentanza ad alcune persone. Sarebbe una 
              vera perdita di tempo fare le primarie con l'esito, magari, di indebolire 
              quelle particolari candidature. Si possono organizzare tutt'altro 
              che disprezzabili focus groups dai quali fare emergere il profilo 
              giusto del candidato vincente per una carica precisa. Qualche volta 
              si potrebbe, persino, ricorrere ai cosiddetti "saggi", 
              una variante dei famosi "passi indietro" che i partiti 
              annunciano senza mai compiere, pur consapevoli del fatto che anche 
              i saggi debbono essere individuati, reclutati e, poi, ascoltati 
              --e, sicuramente, la capacità d'ascolto dei dirigenti del 
              centro-sinistra non sembra elevatissima. Infine, poiché un 
              ritornello classico, ma davvero stucchevole, dei dirigenti del centro-sinistra 
              è che, fra di loro, molti hanno qualità di leadership, 
              molti costituiscono "risorse" per la coalizione, si può 
              anche pensare ad un metodo tutt'altro che inusitato quando si deve 
              scegliere fra "pari": una bella lotteria, l'estrazione 
              a sorte da un pool di candidati tutti egualmente apprezzabili. Dunque, 
              è sicuramente possibile scegliere bene (preciserò 
              poi che cosa intendo con questo avverbio) i candidati alle cariche 
              di sindaco, di presidente della provincia, di presidente della regione, 
              di deputato e di senatore e, persino, di capo del governo. E' possibile, 
              ma, poiché il centro-sinistra non ha affatto dato buona prova 
              di sé in questa delicata attività, il problema da 
              risolvere, non soltanto per individuare candidati vincenti, ma per 
              procurare sostegno convinto (qui siamo già nel "bene"), 
              è proprio quello delle modalità migliori, e migliori, 
              eventualmente, delle primarie (come è arcinoto, nessuna di 
              queste è stata la ragione per le quali si sono tenute bizzarre 
              elezioni primarie per la scelta del candidato/a sindaco di Bologna. 
              La sconfitta non fu del tutto inattesa. Stava, in verità, 
              nelle cose, nelle procedure, nelle manipolazioni e negli errori: 
              Baldini, Corbetta e Vassallo, 2000). Le affollate tavolate di dirigenti-selezionatori 
              del centro-sinistra hanno scelto candidati poco rappresentativi, 
              quelli paracadutati, e poco vincenti: a ciascuno il suo esempio 
              a tutti i livelli. Hanno, dunque, da questa limitata, ma importante, 
              prospettiva, quella della vittoria, scelto male, molto male. La 
              procedura -rapporti di forza e esercizio di qualche potere di ricatto, 
              magari sotto l'egida di pari dignità oppure di rappresentanza 
              di culture e di identità--, e l'esito, le sconfitte frequenti, 
              continuano a lasciare moltissimo a desiderare. Infatti, molti, soprattutto 
              fra i cittadini, desiderano qualcos'altro. Poiché molti elettori 
              del centro-sinistra ritengono di essere cittadini consapevoli, sono 
              spesso informati, hanno conoscenze politiche, desiderano partecipare 
              (ITANES 2001) e poiché la partecipazione attiva e incisiva, 
              influente e decisiva è considerata, in particolare nello 
              schieramento di sinistra, un valore, le primarie consentono per 
              l'appunto di mettere in pratica questo valore, di metterlo a disposizione 
              di tutti coloro che lo desiderino. Dunque è opportuno che 
              i cittadini le attivino loro stessi. Se nessuno le vuole, pazienza. 
              Potrebbe esserci già un ottimo candidato/a; un ottimo parlamentare; 
              un ottimo Presidente del Consiglio in carica
 Se no, il numero 
              di coloro ai quali va consentita l'opportunità di attivarle 
              va accuratamente calibrato. Non deve essere troppo basso, perché 
              diventerebbero troppo facili le candidature folcloristiche di coloro 
              che vogliono semplicemente farsi un po' di pubblicità, pur 
              non avendo nessuna chance di ottenere la nomina, oppure che intendono 
              farsi vedere a futura memoria, cioè per concorrere ad altre 
              cariche, oppure che entrano in lizza soltanto per acquisire un po' 
              di potere di contrattazione (tipo: "io rinuncio qui se
"; 
              oppure, "questa volta ti faccio convergere i miei voti purché 
              tu
"). Non deve neppure essere troppo elevato perché, 
              altrimenti, a raccogliere un numero elevato di adesioni potrebbero 
              riuscirci soltanto le organizzazioni partitiche e sindacali. Naturalmente, 
              il numero di firme deve essere commisurato al numero degli elettori. 
              Qui e negli altri articoli il numero è quello che ritengo 
              plausibile a livello di una città di tre/quattrocento mila 
              abitanti.  
            I cittadini che vogliono attivare le primarie, oltre ad una parte 
            del loro tempo, debbono contribuire anche una somma non simbolica, 
            ma neppure stratosferica, per confermare la serietà del loro 
            impegno e per finanziare una buona politica L'appello da sottoscrivere 
            non è un documento puramente formale ma, se fatto bene, serve 
            a chiarire quali sono le qualità che rendono quel candidato 
            degno di concorrere per quella specifica carica. Offre anche la possibilità 
            di precisare su quali punti programmatici un determinato candidato 
            sia particolarmente competente, dotato e apprezzabile in modo da evitare 
            insidiose critiche alla "personalizzazione" che, peraltro, 
            quando sono in gioco cariche monocratiche, non soltanto appare inevitabile, 
            ma può anche risultare democraticamente efficace.  
            Punto 
              secondo. Non voglio imbarcarmi in una discussione socio-psicologica 
              sugli obiettivi che donne e uomini perseguono per rendere la loro 
              vita divertente, utile, sopportabile, gratificante e così 
              via. E' improbabile, però, che non esistano donne e uomini 
              che non desiderino, quando sono in determinate condizioni sociali, 
              di acquisire un po' di potere politico con motivazioni, a seconda 
              dei casi, molto varie: per mettere alla prova le loro competenze; 
              per rappresentare gruppi; per dare voce ad organizzazioni; per diffondere 
              una visione del mondo; per cambiarlo, il mondo; per, qualunque cosa 
              voglia significare, "spirito di servizio". Bisognerebbe 
              diffidare di coloro che dicono di volere fare politica, ma sostengono 
              di non avere ambizioni personali. Sono proprio gli ambiziosi che 
              offrono qualche garanzia di prestare attenzione ai loro elettori, 
              anzi, a tutti gli elettori, a qualsiasi livello di governo, e lo 
              faranno perché vogliono mantenere/acquisire il consenso indispensabile 
              ad essere rieletti. Tuttavia, sarà bene commisurare le proprie 
              ambizioni ai propri meriti e, pur essendo molto positivo il fatto 
              che si presenti una pluralità di candidati per le primarie, 
              è necessario effettuare una scrematura preliminare fra gli 
              ambiziosi, i carrieristi e i "credenti". Propongo due 
              piccoli meccanismi. Il primo è ancora una volta un numero 
              minimo di firme, per il quale vale il discorso già accennato: 
              mai né troppe né troppo poche, con il punto di equilibrio 
              che va trovato e cercato di volta in volta a seconda delle cariche 
              e dei luoghi. Il secondo è un deposito cauzionarlo non troppo 
              elevato da renderlo irraggiungibile da candidati non danarosi, ma 
              non troppo basso da consentire, non tanto a chiunque, di presentarsi, 
              ma da impedire che vi sia qualcuno che, per una pluralità 
              di ragioni, fra le quali il calcolo di indebolire un candidato che 
              entri in competizione proprio nella sua area politica, finanzi la 
              partecipazione di candidati che pur non potendo vincere, risultano 
              in grado di indebolire/affondare candidature più forti, ma 
              sgradite ai finanziatori danarosi. Almeno paghino per questo loro 
              intervento non del tutto esente da critiche, ma, purtroppo, inevitabile. 
              Il resto lo farebbe, comunque, il confronto fra candidati.  
            Punto 
              terzo.So già che si parlerà di intollerabile discriminazione, 
              di vento dell'antipolitica, di malposta critica dei partiti e dei 
              loro poveri, affannati, affaticati funzionari (ma, non si perda 
              il fatto che questo vento e questa critica sono anche antisindacali!) 
              che si sacrificano, a scapito della loro vita personale, per il 
              bene comune, della causa, del paese e che, tutto sommato sono uomini, 
              molti, e donne, pochissime, come gli altri, e che, naturalmente, 
              la politica, anche come professione/mestiere, è un'attività 
              come le altre, anzi, addirittura più nobile delle altre. 
              Finito il diluvio di banalità, sempre meno tollerabili quando 
              provengono da un ceto di "garantiti" benestanti che fanno 
              muro contro qualsiasi cambiamento, e finite anche le più 
              o meno abili e interessate, ma certamente non gratuite, difese d'ufficio 
              di alcuni giuristi che sosterranno che questo articolo deve essere 
              addirittura considerato incostituzionale, nient'affatto intimorito, 
              argomenterò. Vorrei, anzitutto, chiamare a mio sostegno un 
              padre della scienza politica che di partiti se ne intendeva. Pertanto, 
              definirò questo divieto di partecipazione alle primarie dei 
              segretari di partito e di sindacato e dei componenti delle loro 
              segreterie "la lezione Roberto Michels". Mi richiamo al 
              classico La sociologia del partito politico e alla "legge ferrea 
              dell'oligarchia". Chi ha letto Michels (1966), ma tutti fanno 
              ancora a tempo, dovrebbe sapere che un piccolo gruppo di uomini 
              (e donne) che dispone di tutto il tempo delle sue giornate di "lavoro", 
              che occupa una posizione centrale nella rete di comunicazione di 
              un partito o di un'organizzazione sindacale, che ha segreterie, 
              telefoni, computer, che decide dell'assegnazione di candidature, 
              di cariche, di risorse finanziarie e, persino, della scelta degli 
              oratori alle feste dei partiti, è in grado di fare il bello 
              e il cattivo tempo sia in qualsiasi partito sia in qualsiasi organizzazione 
              sindacale. E ne approfitta regolarmente. Dunque, è perfettamente 
              piazzato per rivendicare altre cariche che, infatti, basterebbe 
              guardare al cosiddetto cursus honorum dei segretari di partito, 
              ottiene in pratica come e quando vuole, senza nessuna difficoltà, 
              salvo qualche imprevedibile interferenza degli elettori.  
            Incidentalmente, anche se nella vita politica e sociale di questo 
            paese il tema non è mai stato, per così dire, popolare, 
            si potrebbe persino porre un problema di etica pubblica. Qualche volta 
            si tratta di incompatibilità fra cariche, qualche volta di 
            cumulo delle cariche, qualche volta semplicemente di utilizzo strumentale 
            e persino di scambio di cariche. In estrema sintesi, una volta conquistata 
            una qualsiasi carica la si tiene stretta con le unghie e con i denti 
            fino a quando non se ne ottiene, grazie a quella già posseduta, 
            un'altra, preferibilmente più importante e meglio lucrativa. 
            E, meno che mai, fenomeno che rappresenta purtroppo una prassi alquanto 
            diffusa e persino elogiata, si rinuncia, ogniqualvolta sia possibile, 
            a cumulare cariche elettive. Vero è che, qualche volta, ma 
            raramente, il cumulo è vietato da qualche statuto lungimirante 
            che, comunque, come è successo in Emilia-Romagna, può 
            sempre venire opportunamente e rapidamente cambiato. Esiste incompatibilità 
            tra ruolo di parlamentare e carica di segretario regionale? Non importa. 
            Pur di consentire all'on. Mauro Zani, qualche anno fa, all'ultimo 
            momento, vale a dire a nomina a segretario regionale già avvenuta, 
            ma non ancora ratificata, nell'imbarazzo di pochi, ma certamente non 
            dello stesso Zani, lo statuto è stato acconciamente riformato 
            -ovviamente, gli iscritti sono "sovrani", magari sono stati 
            appena un po' coartati
, e le due cariche sono tuttora da lui 
            cumulate, senza precedenti. Questo, però, è l'unico 
            caso di cui ho conoscenza diretta e non sono in grado di escludere 
            che la prassi esistesse anche prima e sia continuata anche dopo, ma 
            mi pare che nessuno degli altri attuali segretari regionali dei Democratici 
            di sinistra sia al contempo parlamentare. Tralascio tutti gli altri 
            casi di cumulo, i più brillanti dei quali e, certo anche i 
            più lucrosi, legittimi, ma eticamente inopportuni, sono quelli 
            fra la carica di sindaco e quella di europarlamentare.  
            Le cariche possedute servono anche agli scambi: una carica a futura 
            memoria in cambio di una nomina hic et nunc, e soltanto se e quando 
            la carica successiva viene ottenuta si abbandonerà la carica 
            precedente. Non è proprio la circolazione delle elites auspicata 
            dai molti studiosi della democrazia e delle sue difficoltà 
            di ricambio, ma è, invece, proprio l'esemplificazione migliore 
            di come il potere conquistato serva in special modo a autoriprodursi. 
            Questa è, dunque, la ratio del punto 3 del regolamento delle 
            primarie: impedire l'esercizio improprio del potere politico da parte 
            di chi vuole sempre avere una rete di sicurezza, ma comunque non intende 
            rinunciare a nessun vantaggio di partenza. Sono, però, sicuro 
            che tutti i segretari di federazione e regionali, dei DS e degli altri 
            partiti del centro-sinistra, della CGIL e degli altri sindacati (e, 
            magari, persino di associazioni professionali come la CNA) decideranno 
            di dimettersi per tempo e irrevocabilmente dalle loro cariche qualora 
            volessero partecipare alle primarie, per esserci in condizioni di 
            parità: come cittadini fra i cittadini, che è un'ottima 
            applicazione della par condicio. Fra l'altro, non c'è nulla 
            di punitivo in questo articolo. Infatti, se i segretari e i loro collaboratori 
            hanno operato bene hanno certamente acquisito (si veda, ad esempio, 
            quanto succede a Sergio Cofferati) straordinaria popolarità 
            e prestigio e non hanno neppure più bisogno del potere che 
            è intrinseco alla carica. Certo, capisco che segretari poco 
            popolari e poco prestigiosi, oscuri e sbiaditi, debbano ricorrere 
            proprio al loro potere, che hanno soltanto se sono in carica, per 
            ottenere una candidatura o, comunque, per partire con qualche vantaggio 
            nella corsa delle primarie. Ma è esattamente questo vantaggio, 
            indebito e indebitamente ottenuto, che l'articolo tre intende negare 
            loro, e pour cause. 
            Punto 
              quattro. E' davvero una questione di lana caprina chi debba essere 
              autorizzato a votare nelle primarie. Tutti coloro che sono elettori 
              nella zona/collegio/circoscrizione nella quale si terranno le elezioni 
              amministrative e politiche godono automaticamente del diritto di 
              votare nelle primarie, esibendo i soliti documenti: carta di identità 
              o simile e libretto elettorale (quando verrà il tempo anche 
              le impronte digitali) . Non credo molto alle infiltrazioni del nemico, 
              vale a dire di elettori dello schieramento opposto che cerchino 
              di influenzare la scelta del candidato e che riescano a imporre 
              la vittoria proprio del candidato/a che, presumibilmente, il candidato 
              dello schieramento del loro"cuore" avrebbe maggiori probabilità 
              di sconfiggere: davvero una eccellente, ma difficilissima, interpretazione 
              del voto "strategico". Sui piccolissimi numeri questo 
              esito potrebbe teoricamente essere conseguito. Anche allora, però, 
              la responsabilità sarebbe sostanzialmente degli elettori 
              del centrosinistra che non si sono mobilitati. Comunque, l'iscrizione 
              in un registro a disposizione del pubblico, giornalisti compresi, 
              di chi ha votato, il pagamento di una somma che, al momento è 
              simbolica, ma potrebbe essere resa più alta (ma non troppo 
              alta per non favorire quei candidati che potrebbero volerla pagare 
              per gli elettori che dichiarino di volerli votare) e, infine, il 
              facile riconoscimento degli elettori dell'altra parte e la loro 
              esposizione al ludibrio dovrebbero essere misure sufficienti a sventare 
              qualsiasi tipo di manipolazione. Ad ogni buon conto, è un 
              rischio che si può correre. 
            Punto 
              quinto. In linea di massima considero assolutamente improbabile 
              che emergano candidature, anche folcloristiche, di persone che non 
              siano già in qualche modo più o meno note nella zona, 
              nel collegio, nella circoscrizione nei quali si terranno primarie. 
              Salvo casi rarissimi, persino le candidature di outsider, proprio 
              perché curiose, originali, inaspettate, interessanti, attrarranno 
              l'attenzione dei mass media e quindi non resteranno prive di audience. 
              Fra l'altro, le primarie in zone omogenee consentono una rapida 
              circolazione delle informazioni e non impediscono a nessuno di farsi 
              una sana propaganda personale. E, naturalmente,.anche i partiti 
              e i sindacati e le varie associazioni possono organizzare, nelle 
              loro sedi, tutti gli incontri che vogliono con tutti i candidati 
              che vogliono. Partiti, sindacati e associazioni decideranno se rispettare 
              oppure no la parità di condizioni, e i mass media giudicheranno 
              dell'equanimità di tutti loro e dei loro dirigenti (come 
              si vede, una ragione in più per escludere dalle primarie 
              segretari e collaboratori in carica, per non mettere in imbarazzo 
              gli organizzatori degli incontri). In pubblico, però, tutti 
              i dibattiti, preferibilmente pochi, preferibilmente centrati proprio 
              sulla candidatura: vale a dire perché scegliere quel candidato 
              rispetto a tutti gli altri, quindi dibattiti sulle biografie, sulla 
              rappresentanza/rappresentatività e sulle proposte, dovrebbero 
              tenersi in sedi pubbliche offerte dai comuni oppure appositamente 
              affittate. Per non logorare i potenziali elettori, il numero dei 
              dibattiti pubblici dovrebbe essere molto contenuto. Azzardo: non 
              più di tre. Il resto è spreco di tempo, di energie, 
              di denaro e forse produttore di noia e di confusione. 
            Punto 
              sesto. All'idea di primarie secche: una volta sola in un luogo solo 
              in un colpo solo, qualcuno contrappone la proposta di un "percorso" 
              articolato e diluito nel tempo che contempli più passaggi, 
              più riunioni, più votazioni, addirittura l'elezione 
              di delegati ai vari livelli fino a culminare in un'assemblea happening, 
              presumibilmente di festosa (?) incoronazione, probabilmente, se 
              si vogliono evitare stalli, senza vincolo di mandato: decideranno 
              i delegati come comportarsi una volta sconfitti e usciti di scena 
              ad un certo punto del percorso i candidati per sostenere i quali 
              erano stati eletti. Secondo i suoi sostenitori, il "percorso" 
              avrebbe almeno tre meriti: 1) sarebbe coinvolgente e quindi farebbe 
              aumentare la partecipazione; 2) diffonderebbe informazioni sui candidati 
              e più in generale sulla politica e sui programmi; 3) darebbe 
              un impulso comunicativo tale da raggiungere anche elettori che non 
              partecipino alle primarie. Poiché sono dell'idea che questi 
              tre potenziali, molto potenziali, meriti siano di gran lunga inferiori 
              ai rischi, argomenterò, invece, il caso a favore di una unica 
              sede, una unica votazione, una decisione secca. Peraltro, come si 
              vede dal testo del mio articolo, la decisione non sarebbe secchissima 
              ma, se nessuno dei candidati ottiene la maggioranza assoluta, contemplerebbe 
              un ballottaggio per preparare il quale appare evidente che si dovranno 
              stringere accordi e, al limite, giungere trasparentemente, fra candidati 
              della stessa area di preferenze e proposte, a desistenze (chi desiste 
              dovrebbe spiegare a favore di chi e perché in maniera tale 
              da convincere i suoi elettori a spostarsi in maniera coordinata 
              e efficace).  
            Tornando ai rischi della proposta dei percorsi, in primo luogo, quanto 
            più i "percorsi" sono lunghi tanto più saranno 
            defatiganti. Sfibreranno i candidati, che hanno anche un lavoro, una 
            professione e altri impegni, e i potenziali elettori, ugualmente impegolati 
            nelle obbligazioni della vita quotidiana. Al contrario, percorsi lunghi 
            e potenzialmente defatiganti sono la manna per chi, come i funzionari 
            di partito e di sindacato, può disporre di un sacco di tempo 
            da dedicare appositamente all'organizzazione di riunioni, e conferiscono 
            loro significativi vantaggi. Quanto più lunghi sono i percorsi 
            tanto più diventerà probabile che la partecipazione, 
            invece di crescere, diminuisca: ad una/due riunioni posso anche andare, 
            a quattro/cinque, proprio, no. Quanto più lunghi a più 
            livelli in più sedi con elettorati diversi sono i percorsi 
            tanto più saranno suscettibili di manipolazioni, anche occasionali, 
            nelle quali si perderebbe la tensione, si logorerebbe l'entusiasmo, 
            si preparerebbero trabocchetti e trucchetti, si approderebbe alla 
            delusione, allo sconforto e all'irritazione. Allora, non dico che 
            rimpiangeremo le selezioni e le candidature ad opera dei partiti, 
            sempre opache e sempre discutibili, ma potremmo pensare che qualche 
            comitato di saggi oppure la lotteria sarebbero metodi preferibili. 
            E, forse, come second best, dopo primarie vere, tenute in condizioni 
            di parità, lineari, secche, vengono davvero le lotterie e i 
            saggi, magari, a loro volta, estratti a sorte. E sarebbe davvero bello 
            ascoltare Amato, D'Alema, Rutelli, Prodi e Cofferati affermare che 
            sì, si considerano tutti egualmente bravi, si riconoscono vicendevolmente 
            la qualità di "risorsa" per il centro-sinistra, non 
            hanno paura delle primarie, ma pensano che siano laceranti per l'elettorato 
            del centro-sinistra e quindi si affidano fiduciosi all'estrazione 
            sorte --che verrà logicamente e coerentemente utilizzata anche 
            per scegliere i candidati al Parlamento di Verdi, Comunisti Italiani, 
            SDI proprio perché anche loro, tutti loro si sono opposti alle 
            primarie, ma rimangono, almeno fintantoché non si trovi il 
            modo e non si inventino i criteri per procedere a convincenti misurazioni, 
            "risorse" per il centro-sinistra. Nel frattempo, magari, 
            le primarie.  
           
            Riferimenti bibliografici 
          Baldini, 
            G., Corbetta, P e Vassallo, S. (2000) La sconfitta inattesa. Come 
            e perché la sinistra ha perso a Bologna, Bologna, Il Mulino. 
          ITANES 
            (2001) Perché ha vinto il centro-destra, Bologna, Il Mulino. 
          Michels, 
            R. (1966) La sociologia del partito politico, Bologna, Il Mulino (prima 
            ed. 1911). 
             
            ---->Scarica 
              il documento in formato Word<----
 
  
           |