Le primarie nelle democrazie occidentali 
             
            di Oreste Massari 
            Un trend abbastanza netto e inequivocabile 
              si può osservare nella scelta dei leader (di partito e candidati 
              alla premiership o alla presidenza), così come nella scelta 
              dei candidati parlamentari (aspetto che in questa sede tralasciamo), 
              nelle democrazie occidentali: la democratizzazione crescente dei 
              processi di selezione. Le ragioni di fondo stanno nelle trasformazioni 
              profonde della politica contemporanea. 
              La politica nelle democrazie diviene sempre più focalizzata 
              sulla personalità dei candidati. Il partito s'identifica 
              sempre più strettamente con il suo leader. La presenza dei 
              mass media, e in particolare della televisione, favorisce il fenomeno 
              come mai nel passato. I partiti tradizionali perdono iscritti ed 
              elettori, aumenta la volatilità elettorale, nuovi competitori, 
              magari con leader carismatici, irrompono sempre più nei sistemi 
              democratici (meno in quelli di più antica tradizione), i 
              cittadini esprimono crescente sfiducia e distacco verso i partiti, 
              anche a causa degli scandali e della corruzione politica (purtroppo 
              veri e non frutto di complotto). Onde sussultorie di populismo e 
              di qualunquismo si diffondono in relazione diretta all'incapacità 
              dei partiti e delle istituzioni di assorbire, di controllare, di 
              governare nuove fratture, domande ed esigenze. Troppo spesso la 
              classe politica-partitica è o appare oligarchica, eccessivamente 
              privilegiata, chiusa al suo interno. Si diffonde la voglia dei cittadini 
              di contare di più in prima persona, di partecipare direttamente 
              alle decisioni. L'idea della democrazia diretta cresce in sempre 
              più ambiti. 
              Le cause immediate stanno invece nelle sconfitte elettorali e nelle 
              crisi organizzative dei partiti. Rinnovare l'organizzazione, ampliare 
              la partecipazione, immettere aria fresca nei circuiti arrugginiti, 
              ritualizzati, a volta imbalsamati, comunque ristretti e inadeguati 
              della struttura, diventa un imperativo, pena il rischio dell'emarginazione 
              e dell'insignificanza. Le primarie sono uno strumento e un percorso 
              di questo rinnovamento. A volte possono essere ottenute dalla base 
              contro il centro (è il caso americano), altre volte sono 
              una risposta del gruppo dirigente alle pressioni interne ed esterne, 
              altre volte ancora sono una lucida strategia adottata dai leader 
              di partito per sopravvivere e invertire tendenze negative. 
            Tranne il caso americano, il selectorate che 
              partecipa alle primarie coincide con gli iscritti 
            La democratizzazione - usiamo questo termine in senso 
              tecnico e neutro, per distinguerlo dai casi "oligarchici", 
              in cui la scelta è nelle mani di più o meno ristretti 
              e più o meno formali organi di partito - consiste di varie 
              dimensioni e fasi, tra cui le principali sono le seguenti. La prima 
              dimensione, quella più nota e di più immediato risalto, 
              è l'allargamento della platea che sceglie il candidato ed 
              indica un processo di diffusione orizzontale e verticale (dal centro 
              verso il basso). La lingua inglese - in questo, come qualche anno 
              fa ricordava Bobbio, la più espressiva dei processi, dei 
              fenomeni e dei concetti della democrazia moderna - ha un termine 
              per esprimere quest'entità: selectorate, intraducibile in 
              italiano se non con una circonlocuzione ("il gruppo di coloro 
              che sono chiamati a scegliere, a selezionare"). 
              Questo selectorate, in un continuum, può avere la massima 
              inclusività, fino a comprendere tutti gli elettori (è 
              il caso di alcune primarie aperte americane in cui tutti gli elettori 
              hanno il diritto di partecipare indipendentemente da dichiarazioni 
              di affiliazione partitica) e la massima esclusività (fino 
              a coincidere con una sola persona, com'è stato il caso del 
              leader del PASOK greco che sceglieva personalmente i candidati alle 
              legislative). Casi intermedi possono essere grandi convention di 
              partito, pur sempre più ampie dei soli gruppi parlamentari 
              o degli organismi esecutivi dei partiti. Tranne il caso americano, 
              in tutti i partiti che hanno intrapreso la democratizzazione, il 
              selectorate coincide con gli iscritti (primarie chiuse, non esattamente 
              simmetriche alle primarie chiuse americane che indicano l'obbligo 
              per l'elettore di registrarsi preventivamente come elettore del 
              partito alle cui primarie s'intende partecipare). La seconda dimensione 
              attiene ai candidati (candidacy), ossia a coloro che possono entrare 
              nella competizione interna. Anche qui si può andare da un 
              estremo di inclusività (caso americano: tutti gli elettori 
              possono concorrere alla nomination, anche se nei fatti lo può 
              ormai fare chi possiede o può raccogliere ingenti risorse 
              finanziarie) ad un estremo di esclusività (sono ammessi solo 
              candidati che posseggono determinati requisiti: è il caso 
              del Labour party inglese in cui possono concorrere alla leadership 
              solo i parlamentari). È questo - chi e come si può 
              candidare - un aspetto cruciale di tutto il processo di selezione. 
              Restringere troppo l'accesso alla nomination (fino al limite di 
              un solo candidato) rende le primarie non competitive e quindi non 
              realmente democratiche, allargare troppo l'accesso significa per 
              i partiti perdere il controllo di una funzione (ossia la selezione 
              della classe politica) da sempre ritenuta fondamentale per il loro 
              ruolo nel sistema democratico, giacché il rischio che si 
              presenta è quello di troppi candidati di disturbo e persino 
              eccentrici interessati a cavalcare le primarie per portare avanti 
              issues particolari o per acquisire visibilità.  
            La difficoltà è trovare un equilibrio tra esigenze 
               
              di apertura e di democratizzazione 
              ed esigenze di responsabilità e di funzionalità 
            I requisiti, le regole, le sedi o gli organi che 
              presiedono alla candidatura per le primarie costituiscono il vero 
              punto di snodo dell'intero processo, il filtro attraverso cui si 
              può determinare un equilibrio tra esigenze di apertura e 
              di democratizzazione ed esigenze di responsabilità e di funzionalità. 
              Il terzo aspetto - che potremmo chiamare di "contorno", 
              analogamente alla legislazione elettorale di "contorno" 
              per le elezioni vere e proprie - riguarda il modo in cui i chiamati 
              a votare nelle primarie esercitano realmente il diritto di voto. 
              Fa differenza se questo diritto è esercitato in sedi e riunioni 
              di partito, se attraverso il voto in seggi elettorali, se attraverso 
              il voto postale e persino se attraverso Internet e il telefono. 
              Fa differenza se l'esercizio di voto è fissato in un turno 
              o in più momenti temporali (come un secondo turno). Ognuna 
              di queste modalità può favorire più o meno 
              il grado di partecipazione. Fa differenza, poi, se l'elezione primaria 
              è regolata da leggi statali o da regolamenti interni di partito. 
              Le garanzie di correttezza del procedimento, e la possibilità 
              di contestazione e di denunce di violazioni, così come la 
              possibilità di usare le infrastrutture pubbliche (dalle sedi 
              ai mezzi di propaganda) cambiano di conseguenza. 
              Queste distinte dimensioni del processo di selezione tramite le 
              primarie possono essere combinate in vario modo e dare esiti differenti 
              e talvolta, com'è spesso accaduto, imprevisti e non desiderati. 
              Non sempre la più ampia apertura in una dimensione è 
              funzionale agli scopi per cui una primaria è promossa. Per 
              quanto riguarda la prima dimensione, l'ampiezza del selectorate, 
              c'è un problema di soglia. Se i membri del partito che partecipano 
              e votano sono varie centinaia di migliaia, allora l'esito è 
              più vicino alle preferenze dell'elettorato. Se sono poche 
              decine di migliaia, l'esito può riflettere piuttosto le preferenze 
              degli attivisti e dei militanti che, come consolidate ricerche hanno 
              messo in evidenza, sono più rivolti a obiettivi di purezza 
              ideologica o di linea che a quelli elettorali. Se si decide di promuovere 
              le primarie, occorre essere coerenti e spingere fino in fondo il 
              processo, al limite facendo votare i simpatizzanti o chi si dichiara 
              elettore del partito (o della coalizione), e permettendo di votare 
              anche per voto postale e tramite Internet. Per quanto riguarda la 
              seconda dimensione, i partiti o la coalizione dovrebbero filtrare 
              e controllare con equilibrio l'accesso alle candidature, per evitare 
              che le primarie divengano un'arena di confronto e scontro tra possibili 
              fazioni interne, con la conseguenza di minare la coesione e la stessa 
              immagine del partito o coalizione. D'altra parte, un'eccessiva chiusura 
              sul lato delle candidature può compromettere la democraticità 
              dell'intero processo, con ricadute negative d'immagine.  
              Quanto detto, indica le difficoltà insite nelle primarie. 
              Il fatto è che l'esigenza da cui muove la democratizzazione 
              della selezione dei candidati all'interno dei partiti si muove da 
              sempre tra due opposti pericoli: quello delle decisioni prese dalle 
              oligarchie partitiche e quello di una deriva populistica e comunque 
              disfunzionale della richiesta di democrazia interna. Sin dalla famosa 
              analisi di Michels sulla legge ferrea dell'oligarchia presente nei 
              partiti politici, i partiti sono considerati o percepiti come corpi 
              chiusi, autoreferenziali, distaccati dalla più larga opinione 
              pubblica, dominati da capi interni il cui principale scopo è 
              la perpetuazione e la promozione della propria carriera. Nei primi 
              del Novecento negli USA si affermano le primarie sull'onda di un 
              sentimento populista contro il potere dei boss di partito. Lo scopo 
              o l'effetto delle primarie è stato ed è quello di 
              smantellare il potere delle macchine partitiche ed oggi i partiti 
              americani sono partiti di candidati e degli eletti ma senza alcuna 
              disciplina parlamentare. D'altra parte e all'opposto esiste il pericolo 
              che il processo di democratizzazione arrivi ad un punto tale da 
              distruggere la coesione del partito programmatico e responsabile, 
              nonché il controllo che questo deve avere sulla composizione 
              e qualità dei propri eletti. È quest'ultima un'esigenza 
              particolarmente impellente nei sistemi parlamentari e all'interno 
              di questi nei sistemi in cui sussiste una dinamica della competizione 
              bipartitica o bipolare. In questi sistemi maggioritari occorre che 
              i partiti siano coesi e disciplinati per attuare la volontà 
              popolare se al governo, e per costituire un'alternativa di governo 
              se all'opposizione.  
            Nei sistemi maggioritari occorre che  
              i partiti siano coesi e disciplinati 
            Perché un sistema parlamentare funzioni bene 
              (cioè secondo una logica maggioritaria e non assemblearistica) 
              occorrono, cioè, partiti che Sartori definisce "adatti 
              al parlamentarismo", ossia coesi e disciplinati.  
              È questo un tipo di dilemma che i partiti a vocazione maggioritaria 
              vivono costantemente. L'Ulivo, o la parte che vuole essere opposizione 
              alternativa per il governo, esprime questo dilemma con due connesse 
              esigenze. Quella delle primarie per la scelta del leader e quella 
              di decisioni a maggioranza vincolanti per superare i veti incrociati 
              e lo stallo decisionale. La prima esigenza è di tipo democratico, 
              la seconda di tipo funzionale. Ma anche la prima esigenza deve misurarsi 
              con la funzionalità: le primarie sono utili se scelgono un 
              candidato premier realmente competitivo elettoralmente all'interno 
              del contesto italiano, non se scelgono un candidato che poi risulti 
              non competitivo sul piano elettorale (e teoricamente quest'esito 
              potrebbe essere tutt'altro che di scuola). 
            Le primarie sono utili se scelgono 
              un candidato premier realmente competitivo 
            Avendo ben presente la complessità della democratizzazione 
              interna/primarie, il problema naturalmente non è più 
              primarie sì primarie no, ma semmai quali primarie, come costruirle 
              e gestirle al meglio.  
              La spinta alla democratizzazione e alle primarie per la leadership 
              è una spinta quantitativamente impressionante, con un'accelerazione 
              del trend negli ultimi anni. Per avere un quadro approssimativo 
              basti citare questi dati. A parte ovviamente gli USA, si adottano 
              primarie dirette di iscritti ai partiti per la leadership di partito 
              e per la candidatura a cariche o presidenziali o di primo ministro 
              almeno nei seguenti paesi di democrazia consolidata (i dati non 
              sono ricavati da tutti i regimi democratici e rigorosamente controllati): 
              Australia (un partito), Belgio (cinque partiti), Canada (due partiti), 
              Finlandia (almeno un partito), Francia (cinque partiti), Irlanda 
              (un partito), Israele (almeno tre partiti), Olanda (un partito), 
              Spagna (almeno due partiti), Regno Unito (due partiti, il Labour 
              ha un collegio elettorale composito). La SPD tedesca ha fatto ricorso 
              solo nel 1994 a primarie interne tra gli iscritti per la candidatura 
              a cancelliere, dal cui esito uscì vincitore Rudolph Sharping, 
              anche se poi risultato un candidato cancelliere con poco appeal 
              elettorale esterno. 
              I partiti che ricorrono alle primarie sono di tutte le famiglie, 
              dai socialisti ai conservatori. L'ultimo arrivato è il caso 
              sintomatico (perché tradizionalmente il più elitario 
              tra i partiti inglesi) del partito conservatore inglese che nel 
              2001 ha adottato le primarie tra tutti gli iscritti, con voto postale, 
              per l'elezione del proprio leader, prima affidata al gruppo (o partito) 
              parlamentare. Dopo un processo eliminatorio con diversi candidati 
              affidato al gruppo parlamentare, sono andati al voto degli iscritti 
              in ballottaggio due candidati con posizioni marcatamente distinte, 
              Ian Duncan Smith su posizioni di destra interna e Ken Clarke su 
              posizioni più centriste. Il primo ha avuto 155.933 voti (60,72%), 
              il secondo 100.864 (39,28%). Se avesse votato solo il gruppo parlamentare 
              sarebbe stato eletto il candidato più centrista e tradizionale 
              (dunque più spendibile sul mercato elettorale esterno). Ma 
              in questa prima elezione è prevalsa la logica dell'identità 
              interna degli iscritti. 
              I voti validi sono stati 256.797 su circa 300.000 iscritti aventi 
              diritto. C'è da ricordare, tuttavia, che la scelta affidata 
              al gruppo parlamentare aveva come risvolto positivo quello di potere 
              sfiduciare e cambiare il leader, persino quando primo ministro in 
              carica. È quanto successo con la Thatcher nel 1990. 
              Si ricorre alle primarie in tutti i tipi di sistema elettorale e 
              in tutti i tipi di democrazie, anche se la maggiore frequenza si 
              riscontra nelle democrazie maggioritarie e in quelle che hanno cariche 
              di governo o monocratiche elettive (presidente in Francia, in Finlandia, 
              Irlanda, primo ministro in Israele, anche se ora è stata 
              abolita l'elezione diretta) o come se fossero elette direttamente 
              (Regno Unito, Spagna, Australia). 
              Nei sistemi bipartitici o competitivi dove la posta in gioco delle 
              elezioni è l'investitura diretta per il governo, la logica 
              delle primarie è scegliere un candidato con un forte appeal 
              esterno, che vada oltre la propria base di riferimento, che sia 
              gradito insomma più agli elettori che agli iscritti/militanti. 
              Il caso più riuscito di questa logica è quello del 
              Labour party inglese e, in un contesto simile alle primarie, quello 
              della SPD tedesca. 
              Dopo la morte di John Smith nel 1994, il Labour party doveva scegliere 
              il proprio leader tramite un collegio elettorale (40% del voto alle 
              unions, il 30% rispettivamente al gruppo parlamentare e alle consituencies, 
              cioè agli iscritti). I due candidati più credibili 
              e competitivi erano Gordon Brown, che probabilmente aveva più 
              radicamento o gradimento all'interno dell'organizzazione, e Tony 
              Blair, che aveva più appeal esterno. La partita fu decisa 
              dai mass media che diffusero sondaggi tra l'elettorato in cui si 
              esprimeva una netta preferenza per Blair, per cui Brown si ritirò 
              dalla corsa. La primaria tra gli iscritti (circa 5.000.000, includendo 
              gli iscritti delle unions affiliati al partito, e di cui votarono 
              in 900.000) e che diede a Blair il 95% dei voti, non sostituì 
              il collegio elettorale, ma valeva solamente per la parte (il 30%) 
              relativa alle costituencies. 
              Ma l'operazione fu un gran successo, per l'alto grado di mobilitazione 
              interna e per il messaggio comunicativo che si comunicò all'esterno 
              di democratizzazione e modernizzazione del partito, secondo una 
              strategia coerentemente costruita e perseguita per lunghi anni e 
              a cui mancava solo il tassello essenziale di un leader elettorale. 
              Nel caso del Labour, insomma, è prevalsa la logica del partito 
              "estroverso" (rivolto all'elettorato) rispetto a quello 
              del partito "introverso" (rivolto alle preferenze dei 
              militanti e ai problemi di purezza ideologica). Stessa logica ha 
              seguito la SPD nel 1998 quando ha deciso il candidato a cancelliere 
              sulla base dei risultati elettorali nei Länder (assumendoli 
              come una sorta di primaria), in cui Gerhard Schröder vinse 
              nettamente in Bassa Sassonia. 
              Schröder ebbe l'investitura nonostante il presidente del partito 
              fosse Lafontaine (che però aveva già perso nelle elezioni 
              del '90 come candidato cancelliere). In seguito la diarchia tra 
              carica di governo (Schröder) e carica di partito (Lafontaine), 
              com'è noto, si risolse a favore della prima, come peraltro 
              appare logico e naturale. Nelle competizioni elettorali, nei sistemi 
              a logica maggioritaria, nei sistemi a governo di legislatura, i 
              grandi partiti hanno necessità di avere una direzione politica 
              centralizzata e una coesione programmatica che si esprime in una 
              leadership unitaria e personale. Naturalmente, tanto Blair e Schröder 
              non erano degli outsider rispetto ai loro partiti, ma neppure dei 
              completi insider rispetto ad altri possibili concorrenti. Essi hanno 
              entrambi spostato l'equilibrio tra logica dell'identità (apparato 
              interno) e logica della competizione (elettorale) - proprio di ogni 
              grande e consolidato partito, tanto più se socialista - verso 
              quest'ultima tanto non solo da vincere le elezioni ma di vincerle 
              una seconda volta (il che non è frequente per i partiti di 
              sinistra europei). 
              Ma non sempre questa felice congiunzione si realizza. Un caso di 
              fallimento - rispetto allo scopo di essere competitivi e possibilmente 
              vittoriosi alle elezioni - di primarie sono quelle del Partito socialista 
              spagnolo (PSOE) del 1998 indette per le elezioni politiche del 2000. 
              Sconfitto traumaticamente nelle elezioni del 1996 dopo quattordici 
              anni di interrotto governo socialista sotto la leadership di Felipe 
              Gonzales e scosso da scandali di corruzione, il partito aveva adottato 
              le primarie, sulla scia dell'esempio dell'affiliato Partito socialista 
              catalano, per tutte le cariche monocratiche a tutti i livelli con 
              lo scopo di portare nuova vita e nuovi quadri in un'organizzazione 
              resa stagnante dai funzionari, dai carrieristi, dai corrotti e dai 
              personaggi notabiliari con rapporti clientelistici. Nel congresso 
              del 1997, Gonzales fece eleggere in circostanze controverse a segretario 
              un suo alleato fedele e di non alto profilo politico, Joaquìn 
              Almunia. Questi volle le primarie (che ovviamente pensava di vincere) 
              per il candidato a primo ministro per compensare il deficit democratico 
              della sua elezione congressuale e per presentarsi con un'immagine 
              di rinnovamento. Invece le primarie, tenutesi nel 1998, le vinse 
              (con un 55% contro il 45% dei voti di Almunia) un candidato rivale, 
              l'ex ministro Josè Borrell, di tendenze di sinistra radicale. 
              Si era creata allora una situazione pasticciata, con un segretario 
              di partito eletto al congresso e sfiduciato nelle primarie ma che 
              rimaneva in carica e che controllava l'organizzazione e le sue risorse, 
              e un candidato premier che non aveva il controllo e l'appoggio sincero 
              del partito. Un sondaggio pubblicato poco prima delle primarie aveva 
              indicato che mentre Borrell godeva della maggioranza dei consensi 
              tra i membri di partito, Almunia era il candidato preferito tra 
              gli elettori socialisti. La circostanza indica come possono cambiare 
              i leader preferiti a seconda della platea di riferimento, e più 
              in generale indica come distinte strutture (congresso, cioè 
              una forma di democrazia delegata, e primarie, una forma di democrazia 
              diretta) possono selezionare tipi diversi di leader. Comunque, a 
              riprova dell'insostenibilità della situazione, dopo poco 
              più di un anno Borrell si dimise da candidato premier, ufficialmente 
              a causa di alcuni scandali che avevano coinvolto alcuni suoi collaboratori 
              al ministero, in realtà perché non si sentiva appoggiato 
              dal partito. Alle elezioni del 2000 si presentò Almunia come 
              candidato premier, perdendole nettamente. In seguito Almunia confessò 
              "di avere compiuto il suo più grande errore politico" 
              nel presentarsi alle elezioni in veste di candidato premier. 
            Sia Blair che Schröder hanno spostato l 'equilibrio 
              dalla logica dell'identità  
              a quella della competizione elettorale 
            Le lezioni di questi tre casi sono facilmente istruttive. 
              Di per sé le primarie non costituiscono una panacea. Dipende 
              da come sono fatte, da quale scopo si propongono, dalla disponibilità 
              effettiva di candidati, dalla chiarezza e dalla soluzione dei rapporti 
              di potere a fronte di una possibile diarchia (come è stato 
              nel caso tedesco, ma risolto, e in quello spagnolo, non risolto 
              o risolto male). Esse possono essere però un potente strumento 
              che facilita, assieme ad una più ampia strategia complessiva, 
              la vittoria elettorale, se tutte le sue funzioni sono ben pensate 
              e coordinate: la funzione di mobilitazione e motivazione interna, 
              di legittimazione del leader, di comunicazione all'esterno di un 
              evento importante non solo e non tanto per il partito quanto per 
              la qualità della democrazia. In tutti i casi conosciuti le 
              primarie sono tenute dai singoli partiti. Il problema di primarie 
              di coalizione - che è il caso del centrosinistra italiano 
              - presenta difficoltà ulteriori rispetto a quelle pur esistenti 
              per i singoli partiti. Due punti dovrebbero però essere fermi 
              se si vuole intraprendere questa via, peraltro auspicabile considerata 
              la situazione dei rapporti di forza all'interno della coalizione, 
              la frammentazione e l'assenza di un grande partito maggioritario: 
              a) la platea degli aventi diritto a votare nelle primarie per il 
              leader della coalizione e candidato premier dovrebbe includere non 
              solo gli iscritti ai singoli partiti ma tutti gli elettori che si 
              dichiarino elettori dell'Ulivo; b) che si concordi e si stabilisca 
              prima che il candidato vincente abbia chiari poteri di indirizzo, 
              di direzione e di gestione anche nei confronti dei segretari dei 
              singoli partiti. 
              È difficile dire se questa via sia praticabile. Ma se non 
              si vuole dare ragione a chi come Sartori indica la via della coalizione 
              come effettivo soggetto maggioritario impossibile per ragioni strutturali, 
              allora bisogna dimostrare il contrario e praticare con decisione 
              questa via, di cui le primarie sono elemento essenziale e costitutivo. 
              La cosa peggiore sarebbe, però, parlarne e poi, come al solito, 
              non farne niente. Non mancano i progetti intellettuali o tecnici, 
              manca finora la decisione politica. 
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