Riflessioni sulla partecipazione politica.
da: http://www.unmondopossibile.net/articolo/art0075.htm
IL BLUFF DELLE PRIMARIE
Un nuovo vocabolo è entrato prepotentemente
nel lessico politico: primarie!
Con la forza suggestiva che è propria di ogni parola d'ordine
quando viene ripetuta ossessivamente, essa è riuscita a conquistarsi
uno spazio di rilievo nel dibattito interno al centrosinistra.
L'introduzione di questa novità lessicale si deve a Romano
Prodi, il quale ha precisato anche i termini sostanziali della proposta:
"Le primarie sono uno strumento per far partecipare i cittadini
alle scelte politiche".
L'argomento, oltre ad essere fonte di dibattito è diventato
da subito anche motivo di divisione.
Da una parte gli entusiasti i quali sottoscrivono in pieno l'idea
dell'ex Presidente della Commissione Europea. Tra costoro possiamo
annoverare anche inossidabili esponenti di partito la cui personale
biografia politica non lascia trasparire sforzo alcuno per favorire
la partecipazione popolare ed anche chi, paracadutato dall'altro
di una decisione presa dai vertici partitocratrici, si è
trovato ad essere prima candidato e poi Sindaco di una grande città
attraverso una procedura, che non è difficile sostenere,
essere distante spazi siderali da quella fondata sul coinvolgimento
della "base".
Dall'altra i dubbiosi e i decisamente contrari, in ossequio ad una
tradizione politica che affonda le sue radici in una concezione
elitaria della democrazia secondo la quale le decisioni spettano
solo ed esclusivamente "alla classe dirigente".
Per la sua proposta Romano Prodi si è ispirato al modello
statunitense, usato sia dal partito democratico sia da quello repubblicano
e consistente nella designazione, da parte degli elettori dei due
partiti, dei rispettivi candidati alla Casa Bianca.
Tuttavia se l'intento sbandierato è quello di far crescere
il livello della partecipazione popolare, non sembra che il sistema
americano sia il più idoneo.
Se così fosse dovremmo ammettere che il sistema politico
statunitense è fondato sulla democrazia partecipativa il
che, pur apprezzandone molti aspetti, pare francamente eccessivo.
In realtà le primarie americane non introducono i cittadini
nel processo decisionale (vero ed unico fondamento della democrazia
partecipativa) ma consentono ai cittadini di scegliere chi deciderà
per loro (rimanendo quindi in tutto e per tutto, all'interno della
logica rappresentativa). Tutt'al più agli elettori statunitensi
è garantito il diritto di essere inseriti in un percorso
di scelta che alla fine premia il candidato più munifico
economicamente.
Posta l'evidenza di questo rapporto problematico tra primarie "all'americana"
e partecipazione, qual è il vero intento di Prodi e dei suoi
seguaci?
Non è privo di significato il fatto che questa proposta sia
emersa dopo le elezioni europee del 12-13 giugno. Lo spoglio delle
schede oltre al calo di Forza Italia ha palesato le
difficoltà della "lista unitaria" prodiana, rimasta
al palo di un risultato che, al di là delle acrobazie dialettiche
(quelle che trasformano le sconfitte in pareggi, i pareggi in vittorie
e le vittorie in trionfi), è stato inequivocabilmente deludente.
Il risultato di "Uniti nell'Ulivo" ha incrinato l'immagine
di un Prodi in grado di trainare elettoralmente (per di più,
un Prodi impegnatosi direttamente in campagna elettorale).
Naturalmente niente di compromesso per il "professore",
tuttavia il suo attivismo post-elettorale può essere spiegato
in questi termini: da una parte la necessità di trovare un
argomento che, garantendo visibilità, potesse far superare
questo piccolo imprevisto; dall'altra una procedura le primarie
per l'indicazione del leader che blindasse la propria candidatura
alla guida del centrosinistra attraverso un'investitura che assumerebbe
le caratteristiche del plebiscito (perché per quanto in ribasso
egli non ha rivali in termini di leadership).
Nel dibattito si è inserito (tatticamente in maniera accorta)
il partito della rifondazione comunista, rilanciando la proposta
di primarie relative al programma. Bertinotti ha fatto balenare
l'idea di una sua eventuale candidatura (alla quale non è
difficile pronosticare un buon risultato da mettere sul piatto della
bilancia nei rapporti di forza interni allo schieramento progressista
in vista della costituzione di una possibile intesa elettorale).
Insomma, par di capire, il tema delle primarie diventa terreno su
cui si giocano i futuri equilibri dell'alleanza.
Il capogruppo diessino alla Camera Gavino Angius ha, forse suo malgrado
e con una semplice frase, fatto luce sulla vicenda e sulle segrete
motivazioni dei due schieramenti: "A cosa servono (le primarie)
se è Prodi il candidato di tutta la coalizione?" dove
viene a palesarsi ad un tempo l'inossidabile certezza nelle capacità
delle aristocrazie partitiche nell'interpretare, senza ascoltarla,
la base, e lo smascheramento della valenza strumentale della proposta
di Prodi.
Naturalmente la proposta di Prodi ha almeno il merito di porre la
questione (visto che dall'altra porzione dello schieramento politico
italiano il tema è tradizionalmente tabù) e può
dare il là ad un proficuo dibattito. In questo senso anche
noi partecipazionisti vogliamo dire la nostra rilanciando alcune
proposte:
1) primarie non solo per designare il leader della coalizione, ma
per scegliere tutti i candidati nelle elezioni nazionali, regionali,
locali ecc. In questo modo la scelta delle candidature non sarebbe
appannaggio soltanto dei "soliti noti", ma coinvolgerebbe
tutti gli iscritti ai partiti.
2) Le liste elettorali così composte dalle scelte degli iscritti
vengono, attraverso le elezioni, sottoposte al vaglio di tutti gli
elettori ( i non iscritti ai partiti sono circa il 98% dei cittadini
ed anch'essi debbono avere voce in capitolo sulla designazione della
classe dirigente, perché le decisioni prese in Parlamento
ricadono su tutti, iscritti e non iscritti). Gli eletti nelle Istituzioni,
avendo così ottenuto un doppio mandato, hanno la legittimazione
per diventare automaticamente i dirigenti del partito (gruppo parlamentare
e consiglio nazionale del partito, per esempio, coinciderebbero
e così via ad ogni livello istituzionale). I partiti sono
un'insostituibile strumento di partecipazione popolare: niente di
più legittimo allora che la loro dirigenza sia espressa dai
cittadini (iscritti e non iscritti).
3) Infine, per evitare ad un tempo l'occupazione delle Istituzioni
e la blindatura dei partiti da parte dello stesso personale politico
per un lasso di tempo troppo lungo, l'introduzione della norma che
vieta la riproposizione della candidatura oltre il secondo mandato
consecutivo a tutti i livelli istituzionali. In sostanza con questa
proposta verrebbe garantito il ricambio della classe dirigente perché,
posta la relazione tra eletti nelle Istituzioni e gruppo dirigente,
nessuno potrebbe rimanere nella direzione nazionale per più
di due legislature (se fosse già attuata questa norma diversi
segretari e leader dei partiti italiani avrebbero dovuto già
lasciare la mano invece di fossilizzarsi nel ruolo di monarchi insostituibili).
Questi a nostro avviso sono i termini di una discussione
tesa ad aumentare il tasso di partecipazione popolare alla politica.
Finché proposte di questo tipo non troveranno spazio nell'agenda
della politica italiana, noi saremo autorizzati, di fronte a proposte
come quella di Prodi, a giudicarle per quello che sono: un bluff.
Paolo Bertolotti (Movimento di Partecipazione)
16-09-2004 Paolo Bertolotti
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