Percorso:
Romano Prodi da Creta, 2 giugno 2005

Facciamo nostro l'appello di Ciampi.
Provo rabbia e vergogna per l'Italia malata

Il 2 giugno è occasione di celebrazione ma ancor più di meditazione sulla storia e sui destini della nostra Repubblica. A questo, come premessa di un impegno forte per il rilancio del paese, ci ha invitato il Presidente della Repubblica con un appello che accogliamo con rispetto e facciamo nostro con convinzione, tanto più in un giorno di lutto di tutta la comunità nazionale.

Il duplice no alla Costituzione che scuote l’Unione Europea e i giudizi, tanto negativi quanto inoppugnabili, sullo stato della nostra economia e dei nostri conti pubblici arrivati dalle organizzazioni internazionali, accrescono ulteriormente le nostre responsabilità. Attrezzandoci per dare risposte all’altezza delle sfide che ci stanno davanti, la nostra prima e più solida è e resta la nostra Costituzione. In essa sono racchiusi i valori più profondi della Repubblica. Per questo, l’abbiamo tenacemente difesa e siamo impegnati a difenderla in futuro di fronte a proposte di cambiamento che ne alterano profondamente la natura e le regole di funzionamento.
E’ la fedeltà ai valori di fondo della nostra Costituzione che ci potrà permettere di aggiornarla per rispondere alle nuove esigenze della società italiana, così cambiata in questi quasi sessant’anni.

La fedeltà ai valori fondanti della nostra Repubblica non sarebbe completa se non confermassimo oggi la nostra scelta per quell’Europa che ci ha offerto, durante tutti questi anni, il quadro di riferimento e la garanzia per lo svolgimento del nostro progetto nazionale e che oggi, grazie all’allargamento, va estendendo un’area di pace e stabilità a tutto il continente.
Ciò è tanto più vero in questi giorni così drammatici per l’Unione Europea.

In un momento storico in cui le sfide internazionali, le minacce alla pace e i cambiamenti dettati dall’irrompere di nuovi paesi sulla scena mondiale rendono la dimensione e la coesione europea ancora più necessarie, i referendum francese e olandese ci impongono di riflettere sul senso di questo voto e ci caricano tutti, e noi italiani per primi, di nuove ed accresciute responsabilità.
Di fronte a questi eventi si può uscire con un arretramento o con nuove proposte che confermino il cammino europeo e ne consolidino le basi. Per l’Italia, il più fragile tra i grandi paesi europei, la scelta obbligata è stata in passato e dovrà essere ancor più in futuro quella di una forte integrazione, garantita da istituzioni comuni.
La politica degli ultimi anni dimostra che il nostro paese ha solo da perdere quando non investe sul comune interesse europeo tramite le istituzioni dell’Unione e si affida, invece, ai rapporti di forza e di convenienza tra gli Stati.
Quando si sposta il confronto su questo campo e si dimentica che, per noi, interesse nazionale ed interesse europeo sono una cosa sola, l’Italia non può che risultare sconfitta.
Per proteggere, consolidare e far progredire l’Unione Europea si richiede oggi un impegno forte, convinto ed intelligente.
Il duplice no di due paesi fondatori come Francia ed Olanda impone una riflessione profonda e sconsiglia risposte affrettate.
Servono proposte nuove e concrete che permettano all’Europa di progredire nel suo cammino.
In questa decisiva stagione, l’Italia, depositaria di uno straordinario patrimonio di esperienza e di competenza sulle materie europee, non può essere passiva.

La solidarietà europea è ancora più necessaria oggi, nel più grave e prolungato periodo di crisi economica di tutta la storia repubblicana. La produzione industriale è ferma da cinque anni, la produttività è in diminuzione, le nostre esportazioni crollano ed il disavanzo pubblico, nonostante lo sciagurato periodo dei condoni, è al di fuori di ogni controllo.
Siamo stabilmente l’ultimo dei 25 paesi europei in termini di crescita. In pochi anni siamo arrivati al di sotto della media del reddito di tutti i paesi europei.
Sono ben lontani i tempi in cui potevamo immaginare di avere avviato un inseguimento ai paesi più avanzati destinato al successo! E che senso di vergogna e di rabbia proviamo tutti quando su tutta la stampa internazionale leggiamo, come un dato ormai acquisito, che l’Italia è il grande malato dell’Europa!

Questo malato deve guarire.
E può guarire solo con cure forti e che durino nel tempo. Perché possano essere accettate e sostenute dagli italiani, queste cure devono essere eque e solidali.
L’Italia, infatti, non ha solo smesso di crescere ma è divenuta diseguale in modo ormai intollerabile.
A questo fine, abbiamo bisogno di una politica che sia fondata su robuste basi tecniche ma, soprattutto, che sia sorretta da un profondo senso etico. Per rimettere in sesto l’Italia, per mettere ordine nei conti pubblici e far di nuovo correre le nostre imprese, si imporranno decisioni radicali. Esse saranno accettate solo se il loro peso sarà proporzionato alla robustezza delle spalle che lo dovranno sostenere.
Tali misure hanno prima di tutto bisogno di verità.
E la verità è che la nostra è una malattia solo in parte comune al resto dell’Europa.
Il nostro è innanzitutto e soprattutto un male italiano.
Non è l’euro che ci colpisce perché, mentre le nostre esportazioni crollano, la Francia mantiene la sua quota del commercio mondiale e la Germania la accresce fortemente.
Quello che si richiede è un cambiamento della nostra struttura produttiva. L’Italia non può affrontare il nuovo secolo con i prodotti, le specializzazioni e i metodi produttivi del secolo precedente. Ripeto quanto dico da molti anni: il sistema produttivo italiano è come un meccano che deve essere smontato e rimontato pezzo per pezzo. E penso non solo all’industria, che rimane il fondamento del nostro benessere, ma anche ai servizi, vittime di strutture corporative e di rendite di posizione che, da sostegno allo sviluppo, li hanno trasformati in elemento di freno e di ritardo.

Affrontare queste sfide con le attuali regole che governano la pubblica amministrazione, la giustizia, la scuola, l’università e la ricerca non è in alcun modo possibile.
Concorrenza e riconoscimento dei meriti per garantire l’efficienza. Regole per garantire la correttezza del gioco.
Solidarietà e doveri per garantire l’equità tra i cittadini.
Questi sono i principi che noi proponiamo per avviare e rendere possibile la rivincita dell’Italia.
Il risanamento non ci basta.
Noi vogliamo che l’Italia ritrovi il gusto della vittoria.
Non è ancora il tempo per tradurre questi grandi obiettivi in un programma dettagliato di governo.
Il nostro programma dovrà nascere dalla discussione e dall’analisi che abbiamo appena cominciato e dovrà portare alla fine ad una sintesi nella quale si possano riconoscere tutti gli elettori dell’Unione.
Voglio, però, già da ora indicare alcune possibili linee di azione per mettere i pratica i principi che ho appena ricordato, sapendo che saranno i giovani per primi a giudicare la coerenza e la credibilità delle nostre azioni.
Noi abbiamo deluso i ragazzi e le ragazze, li abbiamo abbandonati ad una precarietà senza fine, abbiamo perso la loro fiducia.
Dobbiamo valorizzare le loro risorse, alimentandoci al loro idealismo e alla loro capacità di scandalizzarsi.

Se uno dei principali elementi di disgregazione della nostra società è stata l’aumento della disuguaglianza, la lotta contro l’evasione legale e l’illegalità è elemento essenziale per la ricomposizione tanto di una coesione sociale spezzata quanto di un perduto equilibrio dei conti pubblici. Le dimensioni che l’evasione ha assunto sono incompatibili con ogni forma di risanamento.

Sono consapevole che non potremo passare alle produzioni del nuovo secolo in un solo istante, ma alle nostre imprese dobbiamo offrire il respiro di cui hanno bisogno per trasformarsi.
Penso ad una significativa diminuzione del costo del lavoro tramite la riduzione dei contributi fiscali che gravano su di esso.
Non può certo prosperare un paese in cui il lavoro è tassato più della rendita ed in cui gli investimenti produttivi sono penalizzati rispetto a quelli finanziari.

Ma anche la riduzione dei costi non sarà sufficiente se il paese non assorbirà fino in fondo una cultura della concorrenza, potenziando, trasformando e riformando il ruolo delle autorità di garanzia. E nemmeno sarà sufficiente senza un impegno prioritario e straordinario nello sviluppo delle risorse umane.
Scuola, università e ricerca dovranno risolvere nella scala delle priorità e sull’impegno finanziario del paese.
Tra le priorità non costose una vera semplificazione delle regole della pubblica amministrazione e dei rapporti coi cittadini appare un complemento essenziale a tutto quanto appena scritto.
Poche regole ma rispettate.

Sono questi i primi passi da compiere per frenare la discesa e poi aumentare il benessere dei nostri cittadini.
Tale benessere non può, tuttavia, essere affidato ai soli beni individuali e al semplice aumento del reddito di ciascuno di noi.
Il nostro benessere individuale dipende anche, e in alcuni casi soprattutto, dai beni di interesse generali e che chiamiamo collettivi.
Aria, acqua, ambiente e salute non sono legati al nostro reddito ma all’organizzazione di una società consapevole.
Noi dobbiamo dare all’Italia questa consapevolezza.

Non dimentichiamo, però, che in Italia c’è chi privo anche dei più elementari beni privati e vive in condizioni di intollerabile povertà. Per questi cittadini e per queste famiglie accorre costruire una rete di protezione che oggi non esiste.
La civiltà di un paese si misura sulla cura per i più deboli.

Capisco che tutte queste proposte sono necessariamente forti e radicali. Capisco anche che esse sono difficili da mettere in atto in un paese in cui così diffusa è la sfiducia nei confronti della classe politica.
In questi casi, la prima condizione per la credibilità è il buon esempio. Come potremo chiedere sacrifici se non cominceremo noi a dare l’esempio, riducendo il costo della politica.
E penso alle spese per il funzionamento delle istituzioni e dei partiti, per le campagne elettorali, per i trattamenti del personale politico.

Un così impegnativo programma richiede tempi lunghi e una grande forza politica che lo faccia proprio e lo ponga al centro dell’azione quotidiana. Questo è il significato del progetto politico che ho proposto a tutte le forze del centrosinistra e che gli italiani hanno compreso e premiato in ripetute prove elettorali.
L’Unione e l’Ulivo sono necessari non solo per vincere le elezioni ma anche, e soprattutto, per poi potere prendere le decisioni di governo necessarie a fare uscire il paese dalla crisi che esso sta vivendo.
L’Unione come titolare del programma di governo per la legislatura. L’Ulivo come soggetto forte che lega più partiti con un patto che si proietta nel tempo garantendo all’azione di governo forza, continuità e stabilità.

Mai ho parlato di un partito unico ma di una federazione di partiti che valorizzi le storie, le culture, il radicamento nella società e nel territorio delle forze che la compongono.
Ho parlato di un soggetto visibile nel paese e nelle istituzioni, capace di prendere impegni con gli elettori e darne conto.
Un soggetto, quindi, necessariamente presente prima nella scheda elettorale e poi finalmente capace di parlare in parlamento con una voce sola.

Se si vuole che l’alleanza di governo funzioni, oltre ed accanto ad un programma impegnativo per tutti perché costruito insieme, occorre un punto di riferimento forte che svolga nell’Unione una funzione di cerniera, operando ogni giorno contro le divaricazioni che, se anche ci facessero guadagnare qualche voto in più, renderebbero impossibile l’azione di governo.

Quello che ho in mente e che ho sempre avuto in mente non è un gruppetto di fedelissimi che si aggiunga ad altri gruppi nella gara a chi è meno piccolo. Penso, invece, a una grande forza politica e a un grande gruppo parlamentare che, con la qualità delle proprie proposte e con la propria forza numerica, siano al servizio dell’unità e della stabilità dell’intera coalizione. Questo è ciò di cui il paese ha bisogno: adesso.

Per questo motivo, pur nel rispetto assoluto delle decisioni prese e pur consapevole di una diversità di posizioni tra i partiti e dentro i partiti, voglio fare sentire ancora una volta il mio appello ad un’unità dell’Ulivo che è indispensabile per la salvezza e la rinascita dell’Italia.

*

Non sembrino, queste, né parole di circostanza né preoccupazioni per la piccola realtà della politica che dovrebbero essere messe da parte in un momento così difficile per il paese.
E’ proprio il senso della sfida che siamo chiamati ad affrontare che impone di preparare con il massimo della cura gli strumenti e i meccanismi di decisione che saranno indispensabili per adottare le politiche e le misure severe senza le quali l’Italia non potrà tornare a correre e a vincere. Solo un paese unito riuscirà a produrre le energie e a sostenere lo sforzo necessario per la ripresa.
E noi stessi, solo essendo uniti, uniti nell’Unione e uniti nell’Ulivo, potremo credibilmente concorrere a promuovere e, se premiati dagli elettori, a guidare questo progetto di riscossa nazionale.
Per questo, dentro l’Ulivo e dentro l’Unione, si richiedono senso della responsabilità, spirito unitario e onestà nelle scelte.

Queste sono le mie convinzioni.
In ogni caso ognuno, individuo o partito, assuma le proprie decisioni e la propria collocazione, accompagnando il rispetto chiesto per la propria scelta a quello dovuto per le scelte degli altri.
Così come siamo già riusciti nel passato, confido che anche oggi riusciremo a fare le nostre scelte in libertà e a risolvere i problemi delle singole forze politiche senza mettere in causa la nostra unità.

Un contributo decisivo ad una serena soluzione delle questioni che toccano i singoli partiti verrà, peraltro, da un parallelo impegno a regolare in modo trasparente ed ordinato le questioni che toccano l’intera coalizione. Penso, in primo luogo, al percorso che ci deve portare alla definizione del nostro comune programma di governo.
Alla fine, e tanto più in caso di non risolte contraddizioni su punti decisivi, credo che dovremmo prendere in considerazione l’ipotesi di una grande assemblea programmatica attraverso il coinvolgimento diretto dei nostri elettori.

Regole di comportamento condivise ed impegnative non ci serviranno, tuttavia, soltanto per arrivare ad una positiva conclusione del nostro impegno programmatico.
Esse sono e saranno indispensabili, giorno dopo giorno, per dare ordine alla nostra azione, consolidare l’abitudine ad un lavoro in comune, modellare un approccio sempre più condiviso ai problemi del nostro paese e del nostro tempo.
Sono sicuro che, se avessimo potuto disporre di abitudini di lavoro consolidate e di regole condivise e rispettate, avremmo fronteggiato con maggiore efficacia e unità anche l’ultima vicenda relativa al rinnovo dei vertici della Rai.

Da ultimo ma non ultimo, credo che dovremmo con serenità considerare anche l’eventualità di riaprire un confronto aperto e collettivo sulla guida dell’Unione.
All’indomani delle elezioni regionali, avevamo tutti convenuto di leggere nel voto un invito ad andare avanti con l’assetto e le linee che ci avevano portato alla vittoria.
Su mia proposta avevamo quindi, di nuovo tutti insieme deciso di accantonare le primarie come strumento per la scelta definiva della leadership. Sembrò allora a tutti che non fosse saggio riaprire un problema che tutti ritenevamo ormai risolto.
Negli ultimi giorni, ho potuto, invece, constatare che il problema sembra essere tornato di attualità e che quella che era parsa, solo poche settimane fa, una scelta dettata dalla saggezza viene riconsiderata e presentata come il frutto della fretta o dell’interesse personale.

Sono considerazioni che meritano di essere considerate e valutate con il massimo del rispetto, della serenità e dell’impegno.
E credo che dovremo farlo ora, guidati dalla ferma convinzioni che questi problemi sono troppo importanti per non essere portati alla luce del sole e risolti in piena consapevolezza, in modo condiviso e impegnativo per tutti.

I problemi dell’Italia non ci consentono né di essere divisi né di dare vita ad un governo qualsiasi.
Un governo che nascesse segnato da ombre e sospetti, un governo che fosse privo della compattezza necessaria per assumere decisioni difficili sarebbe un governo qualsiasi.
E questo noi non possiamo permettercelo e non possiamo permetterlo.

Romano Prodi
Creta, 2 giugno 2005
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