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L'UNITA' 13.03.2005 Rompono il Paese e ci vorrebbero sottomessi Furio Colombo intervista Romano
Prodi
Tu hai detto che la cosiddetta “riforma costituzionale” proposta dal governo Berlusconi mette in pericolo la nostra convivenza democratica e che si profila una “dittatura della maggioranza”, sia nel senso di usare la maggioranza come strumento passivo della volontà dell’esecutivo, sia perché la riforma creerebbe un premier con poteri quasi assoluti che esautorano il capo dello Stato e svuotano i compiti del Parlamento. Molti italiani si sono, certo, riconosciuti in quelle tue parole drammatiche e chiare. Noi, a “L'Unità", ti siamo particolarmente grati perché affronti con coraggio il tema centrale di questo momento politico, il formarsi di un clima che blocca la democrazia. Infatti tutta la Destra, compatta, ha visto subito il pericolo della tua denuncia e ha iniziato un fitto lancio di invettive. Soprattutto colpisce la volgarità, il finto sarcasmo, la molta violenza e la totale mancanza di argomenti politici per una presa di posizione politica. È stato detto che sei un "tupamaro", ovvero - come tradurre? - un estremo estremista. Follini ha ritenuto di scherzarci su, parlando di passamontagna che vuol dire clandestinità. È stato ripetuto che resterai solo con Bertinotti. Come sai, si rilancia continuamente lo scherzo del "Prodinotti", Prodi più Bertinotti soli sulla scena, immaginando che esista soltanto un'alleanza fra te e Rifondazione Comunista. A quanto sappiamo hai avuto tutto il sostegno dell'Unione. L'hai avuto? Sì, proprio tutto, tutto. Ho seguito i precedenti dibattiti sul tema costituzionale, e credo sia la prima volta che c'è un'unanimità forte, nuova, convinta, perché è un'unanimità di fronte ad un testo preciso - le loro inaccettabili proposte di riforma - non una discussione generica. Dunque c’è stata politica, unanimità venuta da tutte le parti della coalizione, dall'Udeur a Rifondazione. Alla Destra piace descrivere quello che ho detto come se fosse stato un omaggio all'estrema Sinistra, diffondendo l’idea che si sia trattato di uno scatto emotivo. No, io non ho fatto un discorso, ho letto un intervento meditato sul quale avevo lavorato a lungo per definire ogni aspetto. Non c'è nulla di improvvisato e nulla che non fosse pesato su una terminologia appropriata e scientifica sugli aspetti costituzionali. E la stessa espressione "dittatura della maggioranza" che la Destra agita spesso fuori contesto è una precisa definizione politica del caso che si prospetterebbe, se venisse approvato un progetto in cui l'aumento di potere del Primo Ministro non viene bilanciato dagli altri poteri che esistono in ogni Stato democratico e che qui nel loro progetto, invece, vengono sviliti. Vogliono un'umiliazione del potere del Presidente della Repubblica, del potere del Parlamento, del potere della Corte Costituzionale, del potere delle authorities e del potere giudiziario. Guarda caso, si tratta di quelle istituzioni che hanno operato per garantire un equilibrio nel sistema politico italiano. Sono quindi queste istituzioni che vengono colpite, dando una caratteristica nuova e diversa alla nostra Costituzione. È inutile dire, dunque, che il centrosinistra ha usato l’ articolo 138 della Costituzione per una procedura di riforma costituzionale nell'altra legislatura, quando la maggioranza era dell’Ulivo. Lo ha fatto per modifiche minori, operative, diremo così, di applicazione operativa, in cui questo percorso era ordinario. In secondo luogo, i cittadini devono sapere che le limitazioni imposte dalla maggioranza al dibattito parlamentare sono impressionanti. È una riforma con i minuti contati. Lo spazio del dibattito al Senato è pressoché inesistente. C'è da un minuto a tre minuti per ogni articolo in discussione, non c'è nessuna possibilità di presentare al Paese gli aspetti veri. C'è, inoltre, un altro problema, cioè che con questa riforma si toglie ogni traccia di solidarietà, quello che era stato chiamato il decentramento solidale nella legge fondamentale del Paese. Ora invece si vogliono attribuire alle regioni i poteri di mutare i diritti fondamentali del cittadino. E i cittadini devono capire che con questa riforma possono trovarsi anche ad essere cittadini di serie B, nei loro diritti fondamentali, se nascono e vivono nella regione sbagliata, cioè la più debole. Ho deciso di fare appello all’attenzione di tutti con un discorso forte perché nessuno possa dire più: "io non sapevo, io non c'ero, io non ho visto, io non me ne sono reso conto". Allora loro ti dicono che abbiamo rotto un momento di unità nazionale. Ridicolo. La lotta contro il terrorismo è un’altra cosa, la si deve mantenere, ben forte e comune, ma non scambiare con silenzio e acquiescenza. Qui semplicemente si tratta di mettere in guardia i cittadini di fronte ad uno stravolgimento delle nostre istituzioni e a un cambiamento reale della Costituzione. E' interessante notare che la reazione della Destra si fa via via più violenta, da quando abbiamo cominciato a costruire un'unità seria, vera. Da quando abbiamo cominciato a discutere assieme e a prendere decisioni assieme ci sono reazioni sempre più violente. Non ho avuto alcuna obiezione o risposta politica. Solo insulti. Ormai la strategia è quella di dare di me un'immagine completamente diversa dalla realtà, di distorcere tutti i contenuti dei miei discorsi e basta. Non riescono a trovare alcuna altra strategia se metti in mostra i gravissimi limiti dei loro progetti. Tutto era evidentemente preparato, perché è scoppiato in mezz'ora: il discorso è stato distribuito alle 10,30. Alle 11 tutte le agenzie avevano già stampato le bordate di insulti. Vorrei fare un'ultima osservazione: ti accusano di estremismo e di voler rompere il Paese, perché loro sono impegnati a rompere, dividere, incattivire il Paese. Loro non accettano di aprire un dibattito. Se non c’è sottomissione è rivolta, prendere o lasciare. Abbiamo tentato invano di proporre emendamenti, di costruire alternative, di fare proposte che avrebbero potuto cambiare alcune cose importanti. Romano, io ti chiederò di descrivere ancora una volta per i lettori de "L'Unità", che sono i tuoi elettori, il pericolo che hai definito “di convivenza democratica e di dittatura della maggioranza”. Sono concetti usati dai padri fondatori americani negli anni 1787-1788, sono parole che si leggono nelle carte fondative di quella democrazia. Dice James Madison: “Quando l’esecutivo interferisce col potere giudiziario finisce la democrazia”. Dice Alexander Hamilton, mi pare nella carta 52: “La maggioranza può trasformarsi in un tiranno se opprime e limita la libertà dell’opposizione e agisce come il braccio della volontà dell’esecutivo”. Parole chiare di fonte non sospetta. Dicono che cosa è la democrazia e per noi sono ispirazione. Cito tradizioni costituzionaliste vecchie di oltre due secoli che dovrebbero essere care anche al Polo delle Libertà. Hai detto con chiarezza che cosa respingere di questo governo e di questa maggioranza. Ma, a parte la patente a punti, nel tuo giudizio, si salva qualcosa? Certo uno può sempre andare a pescare tra le migliaia di leggi e decreti che il governo ha fatto e trovare qualcosa che sia anche buono. Ma il problema è vedere i valori che sono stati immessi nella società italiana dal loro modo di fare politica e di fare leggi. E qui c'è l'altro capitolo che mi è stato rimproverato, ad esempio da Follini che si scandalizza per i miei toni eccessivi. Io, invece, voglio sottolineare che il principio etico, un minimo di principi etici sono fondamentali anche per gli stessi equilibri del bilancio, per avere un minimo di rispettabilità e credibilità dell'economia di un Paese. Abbiamo dei dati sull'evasione fiscale che ci portano al doppio, oltre il doppio di qualsiasi altro Paese dell'OCSE. Sono dati che negli ultimi anni sono paurosamente aumentati. I condoni ripetuti hanno dato il messaggio che il rapporto con lo Stato non è un rapporto di lungo periodo con regole precise, ma è qualcosa che si costruisce ad hoc, per la mia o per la tua convenienza. E non parlo delle leggi ad personam e dello scandalo internazionale di queste leggi che fanno di noi un “caso Italia”. Parlo di un messaggio generale inviato ai cittadini. Messaggio di disobbedienza e di evasione. E allora - se vinciamo - non ci resterà che impegnarci a ricostruire il Paese cominciando da questi dati fondamentali. Altrimenti nessun risanamento sarà possibile. Credi che ci sia un rapporto tra lo stravolgimento morale di questo modo di governare e lo stato pietoso della nostra economia? Certo. Il turnaround, come si dice, la svolta economica italiana deve partire da una svolta morale, deve essere accompagnata da una svolta morale, altrimenti non ce la si fa. Questo sarà un compito molto difficile e indispensabile per noi. È per questo che ho detto, fin dall'inizio, che bisognerà dire la verità al Paese, perché bisogna creare un'unità nazionale, una corrente di corresponsabilizzazione di tutti che non può che fondarsi su un patto etico. In questi giorni si rifletteva insieme sul compito immane di risanare l’Italia. Non ci si riuscirà se il Paese non è convinto della bontà anche morale dell’impresa. Non bastano le decisioni tecnicamente buone, soprattutto quando si è dato un messaggio di rilassatezza, di facili scorciatoie per chi può... ... e di incattivimento. E di incattivimento, cercando di gettare gli uni contro gli altri. Non è vero che noi si voglia dividere il Paese, noi lo si vuole unire, ma non si può unire la disobbedienza alla legge. Un Paese si unisce solo nella obbedienza alla legge. Il cerchio politico e giornalistico di Berlusconi si sente in diritto di decidere quale posizione è normale e quale è radicale o estremista. Di te, adesso, dicono radicale ed estremista. Lo sentiamo nella concertata e bene organizzata sfilata di pareri dei telegiornali, tutti sotto controllo. Ma anche nella grande stampa. Che differenza c'è, come spiegarla ai lettori e telespettatori frastornati, tra intransigenza ed estremismo? Chi mi conosce bene sa che l'idea di un estremismo radicale è ridicola, estranea alla mia cultura. In Italia molti non pensano che il rigore morale debba essere proprio della gente comune, normale, quotidiano, un abito per tutti i giorni. Io dico che non deve essere un fatto eroico. Noi vogliamo vivere in un sistema in cui il rispetto della legge deve essere un fatto quotidiano, spontaneo, naturale. Ed è questo che li irrita. Vogliono farlo passare per radicalismo, per estremismo. Ma ormai i media sono, quasi tutti, una macchina coordinata, oliata, che agisce all’istante "sotto comando". E così producono di te, giorno per giorno, un’immagine che va bene per loro e con cui intendono denigrarti e combatterti. I loro media funzionano in pilota automatico. Gli fa comodo darmi del radicale perché pensano di guadagnarere voti per loro e di far perdere voti a noi. Questo fatto potrebbe anche aver successo se non fosse partito troppo presto e se la campagna elettorale che ci riporta alle elezioni non fosse troppo lunga , e anche se non fossi conosciuto da decine, centinaia, migliaia di persone direttamente e indirettamente da milioni di persone. Un'accusa di questo genere, quindi, può attecchire solo se ci sono degli elementi che la possono giustificare. Cosa fanno allora, poveretti? Mi accusano di “dossettismo”. Scambiano le carte tra la mia ammirazione del rigore morale e la mia formazione di economista basata sull’università, sul lavoro, sulla conoscenza delle imprese, specialmente le piccole, sul far quadrare i conti. I loro media però partono tutti assieme in pochi minuti, come in pochi minuti partono immediatamente le frasi di insulto dei vari portavoce e portavoce dei portavoce che non voglio neppure nominare. Ma quelle voci dei portavoce saranno forfora. Prendiamo una questione che provoca scontri accesi: l’Iraq. Loro vogliono apparentemente l'unità nazionale, che però vuol dire sempre e solo accettare il già fatto. Manca una precisazione: l'Italia è in guerra? Quali sono gli impegni presi dal governo, visto che quel Paese, l'Iraq, non è in pace e che è in corso, tuttora, una vasta operazione che è più vicina alla guerra che alla pace? Io, in questi giorni, mi chiedevo: come mai la Polonia si ritira, l'Ucraina si ritira, la Spagna si è ritirata? E parlo di quei Paesi che avevano, oltre agli angloamericani, un numero di truppe ragionevolmente numeroso. Come mai l'ultimo numero di Foreign Affairs è tutto dedicato alle vie d’uscita che dovrà trovare l’America per ritirarsi? E parlo della più importante pubblicazione americana di politica estera? In Italia, chiunque propone legittime domande sul ritiro viene bollato non solo come "antiamericano", ma di più, quasi come uno che cede di fronte ai terroristi. Eppure molti neo-conservatori sostengono oggi che ormai la presenza di truppe americane non è utile, dicono che la presenza americana ritarda la normalizzazione del Paese. Io non voglio entrare in questo dibattito per non creare ulteriori tensioni. Però mi chiedo solo perché non dobbiamo anche noi discutere di questi problemi con la stessa accuratezza intellettuale dell’opinione pubblica americana. E con la stessa libertà. Parliamo adesso di quello che accade nel centrosinistra.Romano, tu hai proposto il metodo delle primarie per determinare il candidato dell’Unione alle elezioni politiche. Le primarie si faranno? E quando? «Ho detto e confermo che c’è una moratoria su questo argomento fino alle Regionali. Soltanto dopo l’appuntamento elettorale di aprile ne riparleremo. Parliamo ancora di media. In coda al TG1 delle 13,30, ogni giorno, c'è una piccola appendice di economia, in cui si danno intelligentemente i prezzi delle verdure. Invece di dare le quotazioni di Borsa, si dice quanto costano oggi le carote o le zucchine, che è una buona e utile idea. Ieri seguiva un commentino dove si diceva che i produttori, non solo i consumatori, si lamentano perché, da quando ha fatto irruzione l'euro, la differenza tra i prezzi all'ingrosso e quelli al dettaglio è diventata enorme. Il che ha portato anche in quell'angolo di economia dedicato alle casalinghe l'odio berlusconiano per l'euro. Chi ha un minimo di esperienza di questo modo di governare, basato sul continuo dare la colpa agli altri, capisce di cosa si sta parlando, capisce il trucco. Tutto costa più caro per colpa di altri, Prodi, Ciampi, Amato. L’euro del centrosinistra. Ma cosa dobbiamo dire, invece, ai cittadini che si domandano perplessi se davvero l'euro sia la loro disgrazia, anziché la loro o la nostra rete di sicurezza? Anzitutto bisogna chiarire che i rincari al bar, l'impazzimento dei ristoranti, l'aumento delle tariffe, le differenze tra i pezzi all'ingrosso e quelli al consumo, tutti questi aspetti sono avvenuti solo in due Paesi su 12 che sono passati all'euro. In secondo luogo, sia chiaro che il cambiamento monetario porta inflazione solo se gli si lascia portare inflazione e qui sono state demolite tutte le strutture di sorveglianza che il nostro governo aveva preparato, che Ciampi aveva preparato con i dirigenti del Tesoro a livello nazionale e provinciale. Queste strutture di sorveglianza non hanno mai operato, non sono state mai messe in azione, con una giustificazione assolutamente folle, cioè che i prezzi non si possono controllare. Quando c'è un cambio della moneta, il problema non è di politica economica, ma è di aritmetica, e per un certo periodo di tempo bisogna controllare che i prezzi non varino rispetto alla situazione precedente. Lo si può fare, lo si deve fare, lo si doveva fare! E non lo si è fatto perché a rendere concorrenziali le imprese bastavano le svalutazioni. È stata una scelta politica di cui paghiamo tutti le conseguenze. I vantaggi dell’euro, certo, sono evidenti. Il primo è quello visibile a tutti: i tassi di interesse. Prima dell'entrata nell'euro noi credevamo di risanare la nostra economia con delle svalutazioni continuate. Il mondo industriale e finanziario richiedeva ogni volta queste svalutazioni e la competitività calava. Quel percorso ha fatto sì che le nostre strutture produttive non ritenessero necessario innovare.Senza queste continue svalutazioni, l'Italia sarebbe oggi un Paese grande e industrialmente potente, perché avremmo cominciato l'esercizio della concorrenza seria trenta anni prima. Naturalmente gli operatori economici non abituati a questo si trovano in difficoltà. Noi abbiamo voluto l'euro anche per non cadere più nei vecchi vizi, anche per cambiare la nostra abitudine a sopravvivere di aggiustamenti e speculazioni. Adesso abbiamo questa grande occasione per cambiare: l’obbligo di disciplina, che prima non avevamo. In più, oltre al pagamento degli interessi, oggi i conti pubblici, se non ci fosse l'euro, sarebbero spaventosi, sarebbe una catastrofe totale, avremmo avuto un'esperienza di tipo argentino. Qui entriamo nel percorso dell'economia. Quando si parla di riforme del lavoro, e si parla di riforme del sistema produttivo, tutto si concentra sul taglio delle spese, dunque sul costo del lavoro, dunque sulla riduzione dei posti e sulle pensioni. Non si parla mai delle aziende: garanzie ai consumatori, limiti nei compensi dei dirigenti, trasparenza nei debiti, capricciosità delle decisioni manageriali, costo delle materie prime, condizioni dei trasporti, aggravi burocratici e avventure finanziarie che non nascono nella funzione dell’impresa ma nella scelta di remunerazione alta e immediata, anche se distruttiva. C'è, quindi, un'ossessiva concentrazione su questo problema: il costo del lavoro. E alla fine il problema è sempre il posto di lavoro. Meno posti e meno costi, si direbbero, risolvono tutto. Ma, come molti episodi hanno dimostrato nel nostro Paese e su scala gigante in America, non è vero. Quello che poi risolve è l'innovazione Basta pensare al grande scontro fra America e Giappone negli anni ‘80, che è stato vinto tecnologicamente dagli americani, e non tagliando i costi del lavoro o licenziando la gente. Quella moda è venuta dopo, con Reagan. Il discorso è semplice: il costo del lavoro nell'economia sana deve essere sempre legato alla produttività Se il Paese decide di non aumentare la produttività, non può che tagliare il costo del lavoro, ma questo è suicida perché vuol dire abbassare via via tutti i diritti di chi lavora. Il problema della produttività, delle riforme concorrenziali, delle riforme delle strutture improduttive, soprattutto dei servizi, delle professioni, delle fabbriche, dei grandi distributori, delle grandi strutture che vivono di tariffe, l'aumento di produttività in questi settori diventa un fatto determinante perché si possano avere delle remunerazioni adeguate. Se invece il sistema non progredisce, è comprensibile che si parli solo di diminuire il costo del lavoro Ma è la rassegnazione alla sconfitta, come avviene adesso. Ci sono, poi, delle realtà molto nuove. In molti settori di energia o dei trasporti, ci sono costi molto più forti del costo del lavoro. Questo è l'altro aspetto paradossale. Quindi io credo che tutti dovranno fare sacrifici, nessuno escluso, ma nessun sacrificio basterà a ricaricare l'economia se non cambiamo il modo di produrre e le regole fondamentali dell'economia stessa, se non facciamo un grande salto in avanti. Mi colpisce, però, che si sia perduto slancio, energia anche nei settori in cui abbiamo dei vantaggi. Esempio. Noi abbiamo una scarsità di ingegneri, di tecnici, però i nostri ingegneri costano la metà di quelli tedeschi e hanno un alto livello qualitativo. Eppure non approfittiamo di questi vantaggi. C'è una sorta di rassegnazione. La necessità delle riforme, quindi, porta ad una rottura di tanti piccoli monopoli. Qui dovremo lavorare moltissimo ad un programma, che sarà scomodo perché dovrà colpire tantissime di questi vizi. Ma loro nel mezzo di questi cambiamenti epocali discutono di dazi alla Cina. Mi pare un'idea allucinante, medioevale, in un Paese che ha costruito il proprio sviluppo sull'esportazione. Qui si sente la paura che c'è. O noi accettiamo la sfida, e la possiamo vincere, oppure abbiamo perduto, perché le barriere doganali oggi sono un suicidio. È evidente che non sono capaci a governare. Nel giorno in cui si discutono nuovi incentivi all'economia, la Lega dice una cosa, Follini scuote la testa, poi la riforma torna in Consiglio dei ministri e viene bloccata, esce dimezzata e neanche sulla metà c'è un accordo. Non è mica cattiva volontà, è che in questo governo non c'è alcuna armonia. Rispetto al 2004 c'è la possibilità quasi matematica che il 2005 si confermi altrettanto preoccupante, con il serio rischio di non rispettare i parametri del 3 per cento nel rapporto deficit Pil, fissati dal Patto di stabilità Ue. I dati definitivi a consuntivo per il 2004 e le previsioni per il 2005 purtroppo sono molto brutti. Avevo anticipato i numeri mesi, fa, mi avevano dato del terrorista. Eppure, su 25 Paesi dell’Ue, noi, oggi, siamo il 25esimo. Dobbiamo riprendere il cammino e rimetterci in linea. Il problema più serio di tutti è quello delle esportazioni, visto che l'Italia ha perso ulteriormente quote di mercato: noi restiamo un paese esportatore, e guai se perdessimo la nostra base industriale. Ma, per tornare al discorso sul lavoro, se andremo al governo, vareremo modifiche parziali ma sostanziali alla legge sul lavoro. Oggi siamo caduti nella precarietà perenne. La flessibilità serve per aiutare i ragazzi ad entrare nel mercato del lavoro, ma siamo contrari al precariato infinito. Oggi ci sono disposizioni per cui tutta la manodopera può essere affidata all'esterno dell'impresa. Ssoffro nel sentir chiamare "legge Biagi” la legge sul lavoro. Conoscevo Marco Biagi e so cosa pensava. Lui non voleva la precarietà perenne. E il tanto reclamizzato taglio delle tasse? Non si possono abbassare le tasse ai ricchi se queste non vengono pagate da tutti. In Italia il vero problema è l'evasione fiscale. Serve un contributo etico contro l'evasione. Se non c'è una vera lotta all'evasione, nessun messaggio fiscale può essere creduto dai cittadini, soprattutto quando poi si fanno continui condoni. Per parlare di cose vere, la fabbrica del programma, a Bologna, è in funzione? Non solo è in funzione, ma i prodotti stanno già uscendo. C'è un vero desiderio di partecipazione, c'è tantissima gente che vuole venire. Abbiamo fatto la prima giornata, "Metter su casa"; la seconda è stata una riunione di tutte le fondazioni legate al Centrosinistra. La terza è stata: "Muovere persone e cose". La mattina le riunioni sulla logistica, il movimento delle merci, dagli autotrasportatori ai responsabili dei porti alle Associazioni delle imprese interessate. Al pomeriggio, "Muovere le persone", il problema della strategia dell'espansione delle città in modo indefinito, a macchia d'olio che massimizzano i costi di trasporto, il problema dei trasporti all'interno delle aree metropolitane, il problema ferroviario, il problema aeronautico. La prossima giornata sarà sull'università, il 17 marzo. Come fai le audizioni? I partecipanti si iscrivono o vengono invitati? Vengono invitati, ma tanta gente si auto-invita e se c'è posto viene cooptata, confermata, c'è una specie di tam-tam. C'è un imbarazzo per un numero di presenze superiore al dovuto, ma ce la siamo sempre cavata finora. C'è una severità assoluta nella durata degli interventi, come nel Parlamento europeo, cinque minuti per intervento. Parecchi giornali stranieri ne hanno parlato. "A new job for politicians: listening". Sì, ho visto, è un fatto nuovo. Ma abbiamo da correggere alcuni errori, ci siamo accorti che in "Metter su casa" le giovani coppie erano ad un livello culturale molto più elevato della media, perché lo abbiamo fatto in un giorno feriale. Molte coppie che dovevano lavorare, non sono venute. Ti chiedo di parlare di globalizzazione. Per i giovani è stata una specie di vento furibondo che li ha attraversati, e ha spazzato il loro mondo. Una volta posatosi il vento restano sul terreno tre cose: l'outsourcing (ovvero l’appalto e l’appalto dell’appalto del lavoro), l'esportazione dei luoghi, l'esportazione delle fabbriche, ma non dei lavoratori (cioè i lavoratori non si possono muovere, ma le fabbriche sì), e la diminuzione di responsabilità: la proprietà è qui, la fabbrica è lontana. Come rimetteresti in una prospettiva razionale questo accatastarsi disordinato di “nuovo” che in realtà è vecchio capitalismo coloniale? Partiamo da due idee elementari: primo, noi, la pluralità dei tuoi lettori, la quasi totalità dei cittadini italiani, hanno sempre pensato che lo sviluppo del Terzo Mondo fosse una garanzia per il nostro comune domani. Improvvisamente due miliardi e mezzo di persone hanno preso sul serio questo auspicio. L'India è la grande sorpresa. L'India è la grande sorpresa. Però l'India appena si è slegata si è mossa. Secondo altro pilastro: stiamo attenti, perché né India, né Cina, soprattutto la Cina, hanno alcuna intenzione di tagliare l'erba sotto i loro piedi o i pilastri del monumento su cui si sono collocate. Non vogliono avere una bilancia commerciale di surplus. A loro interessa avere un pareggio. Stanno aumentando le importazioni ancora più che le esportazioni, quindi non è un fatto di squilibrio totale: lo squilibrio c’è solo di fronte ai Paesi che non sono in grado di vendere cose nuove.Come mai Francia e Germania se la cavano bene con la Cina e l'Italia no? E' chiaro però che la globalizzazione che si accompagna all'irresponsabilità è un'altra cosa. Di un'impresa si dice sempre che vende per la qualità del suo prodotto. Ma vende moltissimo anche per l’accettabilità della sua immagine, quindi le aziende spendono moltissimo per l’immagine. Conta per l'economia di un Paese l'immagine di un Paese? Conta per l’Italia la modesta e macchiettistica immagine che abbiamo da quando Berlusconi governa? Enormemente, più è aumentata la mia esperienza, più mi accorgo che questo problema è enorme. Il fatto nazionale conta ancora moltissimo sulla vendita di ciascun prodotto offerto da quel Paese. Può cambiare in fretta l’immagine-Paese, quindi il vantaggio-Paese. Un Paese conta moltissimo, in questo senso la sua politica generale aiuta anche i singoli settori. O li penalizza. Io ho aperto qualche giorno fa un dibattito perché sostenevo e sostengo che l’immagine complessiva del Paese favorisce moltissimo determinati comportamenti economici e determinati contatti. Qui la politica diventa determinante sia in modo diretto che indiretto sul ruolo del Paese nel mondo. Quando vedo che in Italia abbiamo molti studenti Erasmus che vanno all’estero, ma pochi studenti dello stesso programma del mondo che vengono in Italia, definisco il caso di non appetibilità del nostro Paese da parte dei giovani. Significa che abbiamo bisogno di una sveglia fortissima. Io insisto molto sul problema della cultura e della quantità di studenti da attrarre nel Paese, è uno dei modi con cui si danno modelli diversi della società intera. Se fossi al governo, cosa faresti per la Fiat adesso? La Fiat, secondo me, ce la può fare. Io sono sempre stato tra coloro che pensano che ce la possa fare, le mosse che ha fatto recentemente sono giuste. Ce la farà a produrre dei modelli nuovi in modo da ottenere di costruire alleanze o singole o plurime, alleanze in cui non sia passiva, ma un socio attivo e paritario. Questa è la grande scommessa. Io ritengo che ce la possa fare. Romano, tornando alla politica ti chiedo: con i Radicali che cosa è successo? O cosa avrebbe potuto succedere? O come pensi di raccontare l’evento? È successo che non ci siamo messi d’accordo. È successa una cosa semplice e chiara. Sono emerse troppe differenze. E così abbiamo concluso. Non c’è stato un trauma. Se ci fossero state delle consonanze, l’alleanza sarebbe stata un tema in più, un arricchimento reciproco. Ma non si è verificato il miracolo della coincidenza, anche parziale, delle nostre idee... È andata così. Ma tu confermi ciò che hai detto, che andrai a votare al referendum sulla procreazione assistita? Hai detto: "Sono un cattolico adulto e andrò a votare”. Non ho nulla da aggiungere. Mi è sembrata una frase semplice, meditata, un richiamo alla responsabilità personale. Giusto, tanto più che ci avviamo a entrare nella campagna elettorale. Si può senza media, in questa situazione di totale esclusione dai media, con questo ferreo controllo che ha fatto parlare alcuni di noi e, certamente, "L’Unità", di regime mediatico, cioè il controllo totale dei mezzi di comunicazione? Tutto è molto difficile e diventerà più difficile. Dobbiamo sostituire la comunicazione mancante con il tam-tam, con la comunicazione personale, con la fabbrica del programma, con la partecipazione, con il volontariato, con tutto quello che è diverso dalla loro macchina di industria del consenso. Tanto più che loro useranno i “mercenari”, come tu avevi detto, prontamente e drammaticamente. Il problema vero sono i media, quelli li hanno tutti loro. Tutti gli osservatori stranieri e molti esperti di politica dicono che la nostra è una battaglia quasi impossibile senza la televisione. Un’intera professione deve fare i conti con le difficoltà di stare o non stare al gioco. È un problema serio che, poi, ha una varietà di conseguenze. Tocca a decine di migliaia di persone della professione giornalistica vivere una vita complicata da gravi rischi professionali. Ce la faremo? Sì, si può vincere lo stesso. Dobbiamo farlo come una gara di verità e, poi, abbiamo davanti il tempo. E il rapporto, la mobilitazione delle persone può essere, è vitale. Intanto in pochi mesi abbiamo costruito gli strumenti necessari, anche se non ancora sufficienti, la Federazione, cioè l’Ulivo e l’Unione. Adesso sappiamo con quale aggregazione, con quali strumenti andiamo alle elezioni. Abbiamo un anno di tempo, abbiamo una fabbrica, speriamo di produrre un buon prodotto. L’immagine c’è. L’immagine c’è. E, poi, anche se i media sono importanti, il loro messaggio viene contraddetto dall’esperienza quotidiana, della gente. L’esperienza di questo governo è l’antidoto più forte che noi abbiamo per limitare la forza dei media. Tu puoi propagandare fin che vuoi l’abbassamento delle tasse, per un mese hai ottimi risultati, ma quando vedi che arriva la busta-paga di gennaio e non c’è niente, anche i media perdono la loro efficacia. Questo è quello che è avvenuto. Io noterei anche un’altra cosa: i segni che lascia una voce chiara, il messaggio che dice: noi non ci prestiamo, non stiamo al gioco. Infatti, dopo la tua dichiarazione di allarme e di pericolo per le istituzioni e la democrazia, hai visto la canea che hai suscitato. Ho sempre scelto di fare dichiarazioni forti in momenti cruciali. Ma l’importanza di questa ultima dichiarazione era che è stata fatta con tutta l’Unione, nella sede del Parlamento, con un discorso preparato, senza niente di estemporaneo. Non è solo un messaggio forte. È il messaggio di tutti nell’Unione. |