Percorso:
4 Febbraio 2005

L'Ulivo, baricentro, timone e motore
della grande alleanza dei democratici italiani

Intervento di Romano Prodi al 3°Congresso dei D.S.

Care amiche, cari amici,
care compagne,cari compagni,
caro Piero, caro Massimo
grazie.

Grazie per il vostro invito e grazie per il vostro calore.

Prima di iniziare questo mio intervento, vorrei rivolgere un augurio ed un saluto.
So di poterlo fare anche a nome vostro.
Vorrei inviare un augurio di pronta guarigione al Santo Padre, perché possa farci presto riascoltare la sua voce.
Ne abbiamo bisogno.
E vorrei rivolgere un saluto al Presidente Ciampi, soprattutto dopo il suo messaggio, straordinario interprete, rappresentante e garante, a sessant’anni dalla Liberazione dal Fascismo e dal Nazismo della nostra unità nazionale.
Avete intitolato questo Congresso “Finisce l’illusione. Comincia l’Italia”. Non avreste potuto scegliere un titolo più appropriato.
Non farò l’elenco dei problemi dell’Italia, di quelli che sono comuni al resto d’Europa e di quelli che sono solo nostri, di quelli le cui radici vanno indietro nel tempo e di quelli che sono, invece, il frutto delle dissennate politiche di questi ultimi anni. Non farò l’esame della pesante eredità che il governo della destra lascerà dietro di se. Non c’è bisogno di aggiungere altre parole a quanto hai già detto tu, Piero, nella tua relazione di ieri, che è esposto nella qualità della tua persona e nella qualità della tua politica.
Questo è il momento della ricostruzione. È il momento della ricostruzione e dunque della verità e noi dobbiamo dire la verità sullo stato del nostro paese.
Tornando in Italia dopo gli anni dell’Europa mi sono posto il problema. Dobbiamo dire la verità, tutta la verità sullo stato di salute del nostro paese, sulle sue difficoltà, sulla distanza sempre più grande che lo separa della altre nazioni europee?
O dobbiamo invece indorare la pillola e ripetere che, comunque, ce la faremo, che le nostre grandi tradizioni e le nostre grandi bellezze, magari con l’aiuto del tradizionale “stellone italiano”, anche questa volta ci salveranno?
Me lo sono posto questo problema e sono giunto alla conclusione che dobbiamo dire tutta la verita. Solo così troveremo le energie necessarie per fare il salto in avanti. Per tornare a sperare, per tornare a credere, l’Italia ha bisogno di verità, ha un disperato bisogno di verità. Perché non capiamo più niente. Il primo proposito che prendo di fronte a voi è questo. Non dobbiamo nascondere nulla. Dobbiamo dire come stanno le cose e cosa pensiamo di fare. Dobbiamo offrire un programma concreto, fatto non di promesse ma di soluzioni. Dobbiamo presentare un programma concreto, fatto non di promesse ma di soluzioni. Dobbiamo presentare un disegno complessivo che prevalga sugli interessi di parte. Se si lascia che a prevalere siano gli interessi di pochi si rovina il paese. Gli italiani devono sapere che non diremo sempre di si e non diremo di si a tutti. Noi diremo molti si e molti no.

Le linee guida e gli obiettivi sono chiari.
Europa, sviluppo, solidarietà e coesione sociale, ambiente Mezzogiorno, legalità.
Il punto di partenza e di riferimento è l’Europa. Perché da soli non ce la possiamo fare. Siamo troppo piccoli. Con i pesi massimi come la Cina, la Russia o gli Stati Uniti, l’India, ci vuole l’Europa. Non ce la possiamo fare. Sono troppi i temi: l’immigrazione, l’ambiente, la ricerca la lotta alla criminalità internazionale e al terrorismo. Non ce la possiamo fare né sulla politica per lo sviluppo ne sulla difesa o sulla promozione dei nostri interessi commerciali. Non ce la possiamo fare sulla pace e sulla guerra. E noi siamo quelli della pace. La pace, cosi come sta scritta nella nostra Costituzione. La pace che è alla base della nostra Europa. La pace e la legalità internazionale garantita dall’Onu.
Negli ultimi anni siamo andati nella direzione sbagliata. Come se l’interesse nazionale e l’interesse europeo fossero due cose distinte. Come se la scelta europea e l’alleanza e l’amicizia con l’America fossero tra loro incompatibili.
Non è così. L’ha detto benissimo ieri, Piero Fassino. Il nostro interesse nazionale sta nell’Europa. Un Europa unita, forte e, per questo capace di decidere. È ora di tornare a lavorare per l’Europa e per l’Italia in Europa.
Europa e sviluppo. Percui dobbiamo tornare a crescere. Non ci basta una crescita lenta, come quella degli scorsi anni. Abbiamo bisogno di una crescita vigorosa, altrimenti tutti gli obiettivi che sono stati proposti da tutti voi saranno mancati. Crescere a un tasso dell’1,5% all’anno invece che al 3% vuol dire accumulare in 10 anni un ritardo di 20 punti di pil. È la differenza tra fare le cose e non farle. Crescere a un tasso dell’1,5% invece che al 3% vuol dire in 50 anni moltiplicare per due invece che per 4 volte la nostra ricchezza. Se non produciamo ricchezza non potremo che distribuire povertà e nuovi debiti.

Il declino non è inevitabile.
Noi offriremo al paese un’agenda, un’agenda per la crescita.
Punto primo, il sostegno all’innovazione. Dunque scuola, università e ricerca, per offrire in modo equo opportunità di apprendimento ai nostri giovani, per riconoscere il merito, per promuovere l’eccellenza.
Punto secondo, meno tasse sul lavoro per mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori e sostenere i consumi e per aumentare la competitività delle aziende ed aiutare gli investimenti e l’occupazione.
Punto terzo, pensando tanto alle famiglie quanto alle imprese, i prezzi. Questo vuol dire lavorare con le categorie del commercio (i ristoranti e le pizzerie, le grandi catene di distribuzione e i piccoli negozi). Ma vuol dire, anche e soprattutto, lavorare sulle tariffe, portando la concorrenza in tutti i settori protetti (le ferrovie, i tram e gli autobus, il gas, l’elettricità, l’acqua, le banche, le assicurazioni, le autostrade, le professioni), per tornare indietro con i prezzi, anche se un paragone impopolare potrebbe dire che è come rimettere il dentifricio nel tubetto.
Punto quarto le reti di comunicazione e di trasporto.
Punto quinto, una giustizia civile veloce come nel resto d’Europa.

Una cosa però la dobbiamo avere ben chiara. In Italia, nella nostra Italia, non avremo nessuna speranza di uno sviluppo solido se non avremo un’industria forte. Non credete a chi vi illude su un futuro, su una ricchezza costruita tutta e solo sulla finanza, sui servizi, sull’immagine, su Internet. Sono le nostre industrie la spina dorsale che può e deve tenere in piedi la nostra economia. Questa è la mia preoccupazione. La nostra perdita di competitività nei confronti di paesi nuovi come la Cina. Stiamo perdendo competitività anche negli USA dove le nostre industrie si stanno ritirando. Lì perdiamo e lì dobbiamo ricostruire la rete delle nostre imprese.
Europa e sviluppo dunque. Europa, sviluppo e coesione sociale. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Se non teniamo insieme la società, se non sosteniamo i più deboli, il paese non reggerà e non reggerà neppure la crescita. Sono i giovani su cui dobbiamo scommettere. Se vogliamo fare le riforme dobbiamo dare energia al paese e questo vuol dire scommettere sui giovani. Questa non è però la condizione sufficiente ma solo la condizione necessaria.
Non c’è contraddizione tra crescita e solidarietà. Le politiche sociali non sono un lusso, non sono un freno alla crescita. Il welfare, lo stato sociale sono una condizione, una componente, un motore dello sviluppo, e senza stato sociale non ci può essere sviluppo. Senza sicurezza non ci può essere apertura al nuovo. E senza innovazione non c’è futuro nel mondo di oggi.
Dunque, nuovi ammortizzatori sociali per proteggere contro la disoccupazione chi è oggi meno difeso: i giovani senza lavoro stabile e i lavoratori delle piccole imprese.
Sostegno alle famiglie, che vuol dire aiuti finanziari e servizi, soprattutto per i bambini nei primi anni di vita e per gli anziani non autosufficienti.
Sostegno ai giovani, per aiutarli a trovare un lavoro vero, un lavoro da imparare per bene, un lavoro da amare e attorno al quale costruirsi una vita e una famiglia. Per aiutarli a ritrovare la sicurezza, la serenità, la fiducia nel loro paese, la speranza nel futuro, la voglia di scommettere sulla vita e di avere dei figli.
E, infine, ma certo non all’ultimo posto di importanza, una rete di protezione e di salvezza contro la povertà più dura, quella dalla quale nessuno è in grado di uscire da solo.
Altri possono essere indifferenti a cosa succede ai più deboli, a coloro che hanno bisogno.
Noi no. Noi siamo quelli che, se qualcuno si perde, lo aiutiamo a ritrovare la strada. Noi siamo quelli che, se qualcuno cade a terra, gli tendiamo la mano per aiutarlo a rialzarsi.

Ho detto Europa, sviluppo e coesione sociale. Europa, sviluppo, coesione sociale e ambiente. L’Italia era il paese più bello del mondo. Temo che questo non sia più vero. Nel dopoguerra abbiamo distrutto gran parte delle nostre coste. Abbiamo costruito periferie desolate, abbiamo inquinato l’acqua e l’aria. Forse siamo l’unica generazione che ha assistito al deterioramento del nostro paese.
Dobbiamo cambiare direzione. E’ ora di tornare a lavorare sulle nostre città. E’ ora di difendere e ricostruire la bellezza del nostro paesaggio. E’ ora di rispettare gli impegni presi con la firma del Protocollo di Kyoto. Ma, anche qui, attenti. Attenti alle vuote parole e alle vuote promesse. L’Italia ha bisogno di energia e la prima energia è il risparmio. Abbiamo uno spreco impressionante. L’Italia ha bisogno di energia che sia pulita ma che sia anche in quantità sufficiente per le esigenze dello sviluppo e a prezzi concorrenziali con quelli prevalenti negli altri paesi europei. Chi crede nell’ambiente non può sottrarsi a questa sfida.

Europa, sviluppo, coesione sociale, ambiente. E, poi, il Mezzogiorno. Non è retorica. L’Italia non rinascerà se non rinasce il Mezzogiorno. Il Mezzogiorno è il grande, storico problema dell’Italia unita ma è anche la sua grande e storica opportunità. La storia sta cambiando. Abbiamo perso l’ondata degli investimenti americani e l’ondata degli investimenti intraeuropei. C’è una terza ondata. La Cina, l’India e gli altri paesi dell’Asia stanno rapidamente diventando la più grande fabbrica del mondo. Una gigantesca fabbrica che spinge i suoi prodotti verso il più grande mercato commerciale del mondo, l’Europa, e lo fa, basta guardare alla carta geografica, attraverso il Canale di Suez e attraverso il Mediterraneo. E’ un’imponente corrente di merci, di capitali, di persone che finisce sul nostro Mezzogiorno. Sapremo approfittarne? Sapremo diventare la porta d’ingresso dell’Asia verso l’Europa? Sapremo offrire i porti, i collegamenti aerei, le relazioni industriali, l’efficienza amministrativa, la sicurezza, gli alberghi necessari per attirare le navi con il loro carico di container, gli investimenti, i turisti della Cina nelle regioni del nostro Mezzogiorno e evitare che scelgano altri paesi del Mediterraneo? E’ una sfida che non possiamo perdere. È la grande occasione della nostra storia. Forse è l’ultima occasione della nostra storia.

Infine la legalità. Che dire di più di quanto già ci offre la lettura quotidiana dei giornali? Siamo diventati il paese dei condoni, della giustizia tagliata su misura, dell’evasione fiscale giustificata come dovere morale, dei conflitti d’interesse. Basta. Non è questa l’Italia che noi vogliamo. Non è questa l’Italia che possiamo presentare all’Europa e al resto del mondo.

Europa, sviluppo, solidarietà, ambiente, Mezzogiorno, legalità. Nessuno si illuda che su un’agenda di questo genere si possa lavorare conservando sempre e comunque l’esistente. Se noi facciamo dei programmi per conservare l’esistente con l’insoddisfazione e la paura che c’è sullo stato attuale del paese, noi perdiamo. Perdiamo perché tutti sanno che le cose vanno cambiate. Di fronte alla paura e all’insicurezza, dobbiamo mandare un messaggio nuovo e forte. Senza rimedi forti, il paese non si aggiusta.

Care amiche e cari amici, queste sono le idee sulle quali vi propongo di lavorare, tutti insieme, in squadra. Per dare corpo al nostro programma, per costruire l’agenda del nostro governo. Un’agenda di sviluppo, di coesione sociale, di pace e di giustizia. È un lavoro che ci deve impegnare tutti. Il paese chiede nuove forme di partecipazione. È una domanda alla quale dobbiamo dare risposte credibili e forti, che tutti possano sentire e vedere. Risposte forti anche sul problema delle donne.
Tra queste, la Fabbrica del programma che, tra pochi giorni, apriremo a Bologna. Anche se il nome può forse essere un po’ fuori moda l’abbiamo voluta chiamare proprio così, Fabbrica. Ma c’è anche uno stile nell’essere fuori moda. Fabbrica, per ricordare, come dice la nostra Costituzione, che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Così il programma è fondato sulla Fabbrica.
Chiameremo i giovani, gli anziani, i lavoratori dell’industria, dell’agricoltura e del commercio, gli uomini e le donne della scuola, della sanità e della giustizia, dello spettacolo, i professionisti e i ricercatori, gli studenti e i professori, i sindacalisti e gli imprenditori.
Noi ascolteremo e, tutti insieme, cercheremo di capire l’Italia. Per indirizzarci sugli obiettivi che abbiamo visto prima. Per comprendere un paese, per interpretare i suoi bisogni, per rispondere alle sue attese, bisogna prima conoscerlo, ascoltarlo. Non si può pensare di governare affidandosi ai sondaggi.

“Mettere su casa”. Questo è il titolo del primo incontro che organizzeremo, tra pochi giorni, nella nostra Fabbrica. Inviteremo delle giovani coppie da tutta Italia e sentiremo quali sono i loro problemi. Parleremo di affitti, di bollette, di scuola, di sicurezza, della vita nei grandi e nei piccoli centri.
Il secondo incontro sarà con le fondazioni e i centri di ricerca del vostro e degli altri partiti del centro sinistra e dell’Italia democratica.
Perché il nostro cantiere non può fare a meno della vostra e della loro esperienza, della vostra e della loro intelligenza, della vostra e della loro partecipazione. Perché una fabbrica funziona bene solo se c’è una squadra. Lavoreremo insieme e, quando avremo finito, porteremo il frutto del nostro lavoro ad una grande convenzione programmatica. Quello finalmente sarà il momento del programma di governo. Un programma per l’Italia, Un grande programma per un grande governo. Un grande governo per un grande paese.

Care amiche, cari amici, care compagne e cari compagni, l’Italia è di fronte ad un passaggio difficile della proprio storia. Ci si presentano grandi sfide e altrettanto grandi opportunità. Per affrontare queste sfide, per cogliere queste opportunità, abbiamo bisogno di coraggio, di idee chiare e di forza politica. La nostra forza politica sta nell’unità e nell’unione dei partiti dell’Italia democratica.
Li voglio ricordare e salutare tutti, uno per uno: i popolari –Udeur di Clemente MastellA, L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, la Margherita di Francesco Rutelli, i Repubblicani europei di Luciana Sbarbati, i Socialisti Democratici di Enrico Borselli, i Verdi di Alfonso Pecoraio Scanio, i Comunisti italiani di Oliviero Di liberto, il partito della Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti.
E poi voi, il vostro partito, i Democratisi di sinistra.
Un’unione forte, la nostra, perché aperta al contributo e sostenuta dalla partecipazione dei cittadini, delle associazioni e dei movimenti della società civile. Un’unione stabile, attorno ad un progetto condiviso. Un unione tanto forte, stabile e sicura da potersi aprire al dialogo anche con forze diverse da sé come i radicali, per un confronto, alla vigilia delle elezioni regionali, che muova dalla comune preoccupazione per la degenerazione della democrazia e delle sue regole, a partire dal pluralismo dell’informazione.

Unità, unità, unità. Questo chiedono gli italiani e i nostri elettori. No, non ce lo chiedono per il gusto di vederci tutti assieme con le nostre bandiere su di un palco. Quelli sono pur bei momenti. Ci chiedono di essere e di restare uniti perché sentono, perché sanno che solo così possiamo garantire al paese un governo solido, capace di dare risposte alte e forti ai problemi del mondo di oggi.
Ogni volta che siamo stati uniti abbiamo vinto. È stato cos’ nelle elezioni amministrative del 2002, del 2003 e del 2004. E così sarà di nuovo, tra due mesi esatti, nelle prossime elezioni regionali. Mentre la destra litiga e si divide, noi, uniti in una grande alleanza democratica, abbiamo già scelto i nostri candidati, i nostri candidati comuni. È la prima volta che questo succede così in anticipo alle elezioni regionali. È il segno di un movimento che avanza, di un progetto che si realizza.
Al cuore di questo progetto di unità sta l’Ulivo. L’Ulivo, baricentro, timone e motore della grande alleanza dei democratici italiani. L’ulivo casa comune dei riformatori. L’ulivo, luogo d’incontro delle grandi tradizioni, delle storie e dei partiti del socialismo democratico, della democrazia liberale e repubblicana e del cattolicesimo democratico. L’ulivo, strumento dell’unità e della fine di ogni divisione tra laici e cattolici.
C’è chi parla con superficialità di un’Italia divisa tra il bene e il male. Noi che conosciamo lo sforzo e la bellezza del mettere insieme sensibilità e tradizioni diverse, noi che sappiamo cosa vuol dire “dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare” e “che la mano destra non sappia cosa fa la mano sinistra”, noi non parleremmo mai così dell’Italia. Di un Italia divisa tra il bene e il male. È un linguaggio che non ci appartiene. La nostra storia è democratica e l’Ulivo è nato per far si che questo non accada mai, mai, mai. Noi la nostra Italia non la vogliamo dividere, la vogliamo unire. La vogliamo unire e la vogliamo governare.
Per questo alle ultime elezioni europee ci siamo presentati, Democratici di sinistra, Margherita, Socialisti democratici italiani e Repubblicani europei, con la lista Uniti nell’Ulivo. Ci hanno dato il loro sostegno e il loro voto più di dieci milioni di italiani. Con quasi un terzo dei voti, la lista Uniti nell’Ulivo è diventata il primo soggetto politico del paese, grande una volta e mezzo il maggior partito della destra.
Tra pochi giorni se alla decisione dei Repubblicani Europei seguiranno analoghe deliberazioni del vostro partito, della Margherita e dello Sdi, nascerà la Federazione dell’Ulivo.
E tra due mesi, in nove su quattordici regioni, la Federazione dell’Ulivo si presenterà di nuovo agli elettori con il simbolo Uniti nell’Ulivo.
Con l’Alleanza di tutte le forze democratiche con la federazione dell’Ulivo stiamo dando risposta al bisogno di stabilità e di buon governo del nostro paese. Nessuno di questi passaggi sarebbe stato possibile senza la vostra intelligenza politica, la vostra coerenza, la vostra generosità e la vostra passione. Vostra, di voi che siete qui oggi e di tutte le donne e gli uomini del vostro grande partito.
Voi, i Democratici di sinistra, la forza più grande, il maggior partito del centro sinistra, state investendo con grande coraggio un patrimonio storico, state offrendo un contributo decisivo al consolidamento della democrazia italiana e all’affermazione, anche nel nostro paese, di un riformismo di governo, maturo e aperto al nuovo.
A me in questo momento della vostra e della mia storia, voi offrite e chiedete di prendere la testa di questo movimento per camminare, insieme a voi e a tutti i democratici italiani, verso il futuro.
È una responsabilità della quale avverto fino in fondo il significato e la grandezza.
A voi tutti vanno, per questo, il mio grazie più sincero e profondo e la mia amicizia.
A voi tutti e, se me lo permettete, prima di tutto ai vostri massimi dirigenti, a Piero Fassino e Massimo D’Alema. Grazie Piero, grazie Massimo.

“Un uomo solo al comando”. Così cominciava un articolo di un famoso giornalista sportivo su una delle tante vittorie di Fausto Coppi, il campionissimo. “Un uomo solo al comando”.
Da noi non è così. Noi siamo una squadra. Siamo una squadra oggi, nella lunga e difficile competizione che durerà fino alle elezioni politiche del prossimo anno. E saremo una squadra anche domani, dopo la vittoria. Una grande squadra che saprà offrire un grande governo a tutti gli italiani, per tutti gli italiani.
Perché questo paese merita di più, merita un po’ più di felicità.