Percorso:
Lettera al Corriere della Sera de 30 dic 2004

Prodi: la Rai va divisa in due - Allo Stato il servizio pubblico

Caro direttore,
in due successivi articoli dedicati ai problemi del sistema radiotelevisivo italiano (Corriere della Sera del 15 e 19 dicembre; ndr ), Massimo Mucchetti ha sollecitato l'opposizione e me in particolare ad esprimerci sull'annunciata privatizzazione della Rai.
Segnati dalla tragedia che ha colpito l'Asia e, tra le moltissime altre, anche numerose famiglie italiane, sono giorni, questi, in cui sto riflettendo su tante cose. Quella di Massimo Mucchetti e del suo giornale è, tuttavia, una richiesta alla quale sento di dover dare risposta.
Il punto di partenza consiste nel riconoscere che, in società democratiche, moderne e complesse come quelle nelle quali viviamo oggi in Europa, un servizio pubblico radiotelevisivo corrisponde ad un interesse di ordine generale.
Un tale servizio - così si espresse la Commissione europea nel novembre 2001 - appare, infatti, coerente con «l'obiettivo di soddisfare le esigenze democratiche, sociali e culturali della società e di garantire il pluralismo, inclusa la diversità culturale e linguistica». In teoria, nulla obbliga ad affidare in esclusiva il servizio pubblico ad un'emittente di proprietà pubblica. Gli obblighi del servizio pubblico potrebbero, infatti, essere inclusi nei contratti con i quali lo Stato concede alle emittenti private l'uso delle frequenze. Già oggi, del resto, anche le emittenti commerciali, molte delle quali sono soggette ad obblighi di servizio pubblico, contribuiscono ad assicurare il pluralismo, arricchiscono il dibattito culturale e politico ed ampliano la scelta dei programmi.
In pratica, tuttavia, nell'intera Europa, dove sono state le Tv di Stato, una in ciascun Paese, ad introdurre e a lanciare, una cinquantina di anni fa, la televisione, il servizio pubblico televisivo è affidato a società pubbliche. E' così nel Regno Unito, è così in Francia, in Spagna, in Germania. Ed è così in Italia con la Rai.
Nell'Italia di oggi e nell'Italia che possiamo ragionevolmente prevedere per il domani, è alla Rai che spetta il compito di assicurare il servizio pubblico televisivo.
E' un dato, questo, che nessuno contesta, tanto che lo stesso presidente Ciampi, nel consegnare, pochi giorni fa, i premi Saint Vincent di giornalismo, ha ricordato che la Rai deve «conservare, rafforzare, migliorare sempre di più la sua attività di servizio pubblico, nei contenuti editoriali e culturali, nell'informazione, nello stile, in linea con le indicazioni dell'Unione Europea sui servizi pubblici radiotelevisivi».
Si tratta di una responsabilità pesante e resa ancora più pesante dal fatto che, alle attività di servizio pubblico, la Rai affianca, in concorrenza con le televisioni private, attività a carattere commerciale.Di fatto, la Rai ha una doppia natura, di televisione pubblica e di televisione commerciale, che trova riscontro nella duplice fonte di finanziamento dell'azienda, lo Stato, attraverso il canone, e il mercato, attraverso la pubblicità. Ne discendono problemi e difficoltà per la Rai che, con i propri programmi, deve inseguire contemporaneamente obiettivi diversi e non sempre tra loro compatibili come la qualità e il successo di pubblico, e che, dovendo rispettare un limite alla pubblicità da inserire nelle proprie trasmissioni come contropartita del privilegio di ricevere il canone, è costretta ad affrontare in una situazione di inferiorità i propri concorrenti sul mercato pubblicitario.
E non minori sono i problemi per le autorità di controllo e di vigilanza, che faticano a distinguere tra loro le due componenti dell'attività della Rai ed a vigilare su un mercato pubblicitario che, con il 65 per cento delle risorse assorbito dalle reti Mediaset e il 29 per cento che va alla Rai, è concentrato e squilibrato come nessun altro mercato in Europa.
Mi sembra, pertanto, interamente condivisibile la posizione recentemente espressa dall'autorità Antitrust che ha indicato per la Rai la strada della divisione in due società distinte, la prima «con obblighi di servizio pubblico generale finanziata esclusivamente dal canone», la seconda «a carattere commerciale» e tenuta a sostenere «le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria». Va da sé che la prima società dovrebbe restare di proprietà pubblica, mentre la seconda potrebbe e dovrebbe essere messa in vendita ed offerta ad investitori e risparmiatori privati.
Una prima Rai finalmente concentrata sull'esclusiva missione del servizio pubblico, una Rai, per dirla nuovamente con le parole del presidente Ciampi, «con la schiena dritta», che ritrovasse il coraggio dell'indipendenza, il gusto della qualità e la voglia di premiare il merito, porterebbe un contributo di importanza enorme alla democrazia italiana.
Una seconda Rai altrettanto chiaramente dedicata al servizio commerciale e, quindi, in grado di competere da pari a pari sul mercato, contribuirebbe in modo altrettanto significativo all'equilibrio e al pluralismo del sistema televisivo nazionale.
Una simile evoluzione sarebbe, tuttavia, gravemente incompleta e difettosa se mancasse un controllo rigoroso del mercato pubblicitario in due direzioni: da un lato, per garantire, attraverso l'uso di tutti gli strumenti propri dell'attività antitrust, che il mercato stesso rimanga aperto alla concorrenza e all'ingresso di nuovi operatori e, dall'altro, per evitare che la televisione continui ad assorbire una quota sproporzionata degli investimenti pubblicitari e per assicurare, quindi, possibilità di finanziamento e sviluppo alla stampa, cioè ai giornali e ai periodici.
Una divisione della Rai in due, con una società dedicata al servizio pubblico e finanziata esclusivamente dal canone e una seconda finanziata con la pubblicità e impegnata nel servizio commerciale, un rigoroso controllo antitrust del mercato pubblicitario e una protezione per la stampa di fronte allo strapotere della televisione: questi, lo ripeto, sono gli elementi, tutti pienamente coerenti con quanto avviene nel resto d'Europa, su cui si dovrebbe riformare il sistema televisivo italiano.
E' una riforma che può essere realizzata in tempi relativamente brevi e che dovrebbe, in ogni caso, essere attuata prima di qualsiasi forma di privatizzazione della Rai.
Questo vuol dire, come ovvio, che il collocamento in Borsa di una quota di minoranza del capitale della Rai, di questa Rai ancora a due teste, dovrebbe essere cancellato.
Avrà notato, caro direttore, che, parlando di Rai e di televisione, non ho toccato la questione del «conflitto di interessi», cioè del come garantire che non si cumulino in un unico soggetto attività politica e di governo e controllo di mezzi d'informazione. Si tratta di un problema ovviamente centrale per la nostra democrazia e che come tale dovrà essere affrontato e risolto.
Ma è un problema diverso da quello, giustamente sollevato da Massimo Mucchetti, della privatizzazione della Rai.

(da Il Corriere della Sera 30/12/04)