Milano 11 dicembre 2004
Testo integrale dell'intervento di Romano Prodi
Fare crescere un'Italia Unita
Care Amiche, Cari Amici,
Grazie di essere qui oggi Così numerosi Così calorosi.
Grazie a coloro che sono Venuti da più vicino, da Milano
e dalla Lombardia e a coloro che sono venuti da lontano, da tutto
il resto d'Italia.
Grazie a coloro che Hanno maturato e Vissuto la loro passione politica
All'interno dei partiti.
Grazie agli uomini e alle donne di tutti i partiti qui rappresentati
da Luciana Sbarbati, Clemente Mastella, Antonio Di Pietro, Francesco
Rutelli, Enrico Boselli, Piero Fassino, Alfonso Pecoraro Scanio,
Oliviero Diliberto e Fausto Bertinotti.
E grazie a tutti voi che nei movimenti, nelle associazioni, nei
sindacati, nelle scuole, nei posti di lavoro vi battete e donate
con generosità il vostro tempo e il vostro impegno per la
costruzione di un'Italia migliore.
Cari Amiche e Cari Amici, nel febbraio del 1995 ho cominciato il
mio viaggio nella politica. Un viaggio che ha avuto la sua stella
polare nell'Europa. Capivo che dovevamo entrare nell'Euro non solo
per aderire all'Europa della moneta unica, ma per dare finalmente
un futuro stabile e prospero all'Italia. Oggi dobbiamo riprendere
questo disegno di stabilità e di prosperità.
Esso esige una concezione della politica, non come affare, come
scambio, come interesse privato, come merce, ma come progetto, come
scelta di unire il paese e non dividerlo.
Abbiamo ascoltato le domande, abbiamo compreso i problemi, abbiamo
condiviso le speranze dei nostri amici che hanno parlato qui di
fronte a noi. Ad essi dobbiamo dare una risposta. Per questo voglio
parlare del futuro. Del futuro da costruire tutti assieme per un'Italia
protagonista in Europa.
Il mondo nel XXI secolo
Il mondo del XXI secolo è un mondo ancora carico di rischi
e di paure: i terrorismi, le guerre e le povertà. Ma è
anche un mondo carico di straordinarie opportunità nel quale
un terzo dell'umanità si è svegliato, è uscito
dall'isolamento ed ha trovato la strada dello sviluppo. Nel quale,
tra la Cina e l'India, oltre due miliardi di persone, stanno scoprendo
e provando che la povertà e la miseria non sono una maledizione
eterna. Un mondo nel quale l'istruzione è più preziosa
delle materie prime. Un mondo che sta imparando a riconoscere il
valore dell'ambiente. Un mondo al quale i progressi della scienza,
della medicina, delle biotecnologie schiudono nuovi orizzonti e
nuove speranze di vita.
L'Europa
Un mondo nel quale c'è l'Europa. Un'Europa di 25 paesi, di
450 milioni di abitanti e, ora con una Costituzione, con politiche
comuni per sostenere le regioni più povere, per promuovere
la ricerca scientifica, per tutelare l'ambiente, l'agricoltura,
la concorrenza e i diritti dei consumatori. Un'Europa che è
un continente di pace, di libertà, di sicurezza. Un'Unione
costruita con la democrazia e che, aprendosi a nuovi popoli e a
nuovi Stati, ha esportato e sta esportando la democrazia. Un caso
unico ed un esempio in un'epoca nella quale c'è chi cerca
e si illude che la democrazia si possa esportare con la forza delle
armi. L'Europa è la carta sulla quale l'Italia, uscita distrutta
dalla guerra, ha scommesso il proprio avvenire. E fino a quando
ha fatto questa scommessa ha vinto. L'Italia può ancora avere
un grande futuro perché è parte della nuova e grande
Europa dell'euro e dell'allargamento. Perché è il
ponte naturale tra l'Europa e il Mediterraneo. Perché il
Mediterraneo, passaggio obbligato delle merci che arrivano da un'Asia
in crescita esplosiva, sta tornando, dopo cinquecento anni, al centro
del mondo.
Il futuro dell'Italia
L'Italia ha le risorse potenziali che contano nel mondo di oggi:
lavoratori straordinari e imprenditori, piccoli e medi, che sono
il nostro biglietto da visita nel mondo. I nostri successi sono
stati il frutto di una sola ricetta. Di ingredienti semplici. Imprenditori
coraggiosi, apertura alla concorrenza e ai mercati internazionali,
grande attenzione alle risorse umane e ai lavoratori, legame col
territorio e con le sue tradizioni produttive, scommessa sull'innovazione.
Questa è la ricetta che dobbiamo promuovere e sostenere.
Per rilanciare le nostre poche grandi imprese e per fare diventare
grandi quelle di media dimensione. E' una sfida che ancora possiamo
vincere. Ma ad una condizione: che non inganniamo noi stessi, che
cominciamo col dire la verità. Gli italiani sentono il bisogno
di parole di verità e di coerenza. E la verità, e
lo dico con preoccupazione e dolore, è che l'Italia sta perdendo
colpi e rischia di mancare l'aggancio con l'economia mondiale e
con l'Europa. Siamo all'ultimo posto per la crescita tra tutti i
25 paesi dell'unione. All'ultimo posto. Il nostro reddito pro-capite
è caduto sotto la media europea. Non era mai successo prima.
Stiamo perdendo quote di mercato nel commercio mondiale: dal 4,5%
al 3% tra il 1995 e il 2003. E questo, mentre sia Francia che Germania
hanno mantenuto la loro competitività. In ricerca e sviluppo
investiamo l'1% del reddito nazionale, la metà di quanto
fanno, in media, gli altri paesi europei. Se guardiamo all'istruzione,
il confronto è ancora più negativo. Solo il 57% dei
giovani tra i 25 e i 34 anni ha completato le scuole secondarie,
il 20% in meno dei loro coetanei negli altri paesi più industrializzati.
E la qualità della scuola, come la competitività delle
imprese, cade sempre più in basso in tutte le classifiche
internazionali, mentre gli insegnanti soffrono la difficoltà
di capire e di risolvere i problemi degli studenti. A partire dagli
adolescenti.
Le ragioni del declino
Il rischio si fa ora drammatico. Non credete a chi vi dice che la
colpa è solo del mercato del lavoro. Non credete a chi vi
dice che la colpa è solo delle tasse. Le ragioni sono più
profonde, sono più serie. Il mondo è cambiato: non
è più quello del 1996 e le politiche non possono essere
le stesse. Sono cambiati i modi della produzione. Sono cambiati
i fattori del successo. Oggi, vince chi riesce a restare sulle frontiere
dell'innovazione. Un'innovazione fatta di ricerca, di scuola, di
università, di mercati aperti all'ingresso di nuovi protagonisti.
Ma fatta soprattutto di una nuova voglia di provarci. Per questo
al centro del nostro programma dovranno essere i giovani.
I giovani
L'Italia non ha scommesso sui giovani: eppure solo scommettendo
su di loro potrà riprendere il cammino dello sviluppo. I
nostri giovani stanno peggio dei loro genitori. Hanno meno speranze
di quante ne avevamo noi alla loro età. Eppure potrebbero
avere davanti a loro orizzonti sempre più ampi. Eppure, nei
pochi casi in cui vengono date loro delle occasioni sono bravissimi.
Nella ricerca nei settori più avanzati dalle biotecnologie
alle nanotecnologie, nell'arte moderna, nella produzione di qualità.
Ma in genere i nostri giovani sono costretti a restare in parcheggio
sempre più a lungo. Anni sprecati perché dai 20 ai
35 anni la nostra società li spinge a vivere come adolescenti.
Dovremo lavorare insieme ai giovani per una nuova scuola, più
seria, più severa, più formativa, per portare anche
l'Italia sulla frontiera dell'innovazione dalla quale è quasi
assente, ma anche per dare nuova dignità al loro lavoro.
I giovani hanno bisogno di conoscere diverse esperienza, di viaggiare
e studiare all'estero, di studiare fianco a fianco nelle università
italiane con decine di migliaia di coetanei di altri paesi. Voi
giovani avete bisogno di conoscenze e di esperienze. Certo avrete
anche bisogno, come si dice in linguaggio moderno, di mobilità.
Ma qui si è confusa la mobilità con la precarietà
in cui nulla è certo, nulla è previsto come stabile,
nulla è pensato come duraturo. E il giovane anche quando
trova un lavoro è perennemente angosciato dalla paura di
perderlo e nulla può investire nel migliorare se stesso.
Togliendo la sicurezza ai giovani, negando loro le occasioni di
cui hanno diritto, noi togliamo ad essi e all'Italia la possibilità
di crescere.
La stagnazione
E nella stagnazione tutto diventa impossibile. E noi siamo nella
stagnazione. Non solo perché siamo l'ultimo nella crescita
tra i 25 paesi europei, ma perché le nostre famiglie sono
diventate più povere. Chi era già ricco lo è
diventato ancora di più, mentre anche chi si riteneva più
fortunato di altri fatica ad arrivare alla fine del mese. Non sorprende
che oggi questo governo e questa maggioranza si ritrovino soli.
La stagione delle illusioni è finita. Le famiglie, i giovani,
gli anziani, i lavoratori, le imprese hanno fatto i conti. Hanno
fatto i conti e si sono trovati, tutti, più poveri. Più
poveri, soltanto quest'anno, di 31 miliardi di euro. 60 mila miliardi
delle vecchie lire.
Il deficit pubblico
Il calcolo è semplice. A giugno c'è stata una prima
manovra di 7,5 miliardi. A questa, si è aggiunta, in settembre,
una seconda di 24 miliardi. Infine, pochi giorni fa, il governo
ha deciso di tagliare le tasse, così hanno detto loro, di
6, 5 miliardi. Ma, poiché i soldi per finanziare questi 6,5
miliardi di tagli non ce li avevano, hanno aggiunto alla manovra
un carico di 6 miliardi. Vogliamo fare la somma? Niente di più
facile. 7,5 + 24 = 31,5
31,5 - 6,5 = 25
25 + 6 = 31
Sono 31 miliardi di euro. Questo è il conto. Ed è
il conto solo per quest'anno. Tanto che l'ex ministro dell'Economia
quanto un ministro ancora in carica hanno già detto che nella
prossima primavera sarà necessario un nuovo intervento. E
i risultati non cambiano anche se ci limitiamo alla sola parte fiscale.
Il Presidente del Consiglio ha parlato del più significativo
taglio delle imposte degli ultimi decenni. Strano, molto strano.
Addirittura sorprendente. Se si prendono per buone le cifre ufficiali
del governo, il prossimo anno avremo non un taglio ma un aumento
delle imposte. E non si tratta di un aumento di poco conto. Nel
2005 le imposte aumenteranno di quasi 4 miliardi di euro. Sempre,
naturalmente, che non ci siano nuove sorprese. Sono tasse pesanti,
ingiuste, inutili e dannose. Sono tasse ingiuste perché colpiscono
i più poveri e premiano i più ricchi. E sono tasse
inutili e dannose perché non aiutano le imprese ad essere
più competitive e l'economia a crescere di più. Per
questo il governo ha deciso di chiedere la fiducia quando in Parlamento,
si tratterà di approvare la sua Legge Finanziaria. Il governo
pensa che, liberi di esprimere il proprio voto, gli stessi deputati
della maggioranza potrebbero anche dire “no” a questa Finanziaria.
Per una volta, credo che il governo abbia ragione. Una manovra che
pesa per 31 miliardi di euro e che impone nuove tasse per quasi
4 miliardi non è facile da digerire. Forse è per questo
che il partito del Presidente del Consiglio ha organizzato per oggi
una manifestazione contro le tasse, un “no tax day”. Vogliono dire
di no alle nuove tasse del governo.
Noi e le imposte
Hanno cercato di dipingerci come il partito delle tasse. Sbagliano.
Noi pensiamo semplicemente che le tasse siano uno strumento per
finanziare l'azione dello stato e dare ai cittadini la protezione
e i servizi di cui hanno bisogno. Ciò a cui certo non possiamo
rinunciare è il criterio che informa tutti i sistemi fiscali
dei paesi democratici: la progressività. Questo vuole dire
una cosa semplice: chi ha più possibilità è
chiamato a contribuire in misura maggiore di chi ne ha meno. I beni
pubblici, i servizi, la sicurezza ecc. debbono essere finanziati
in misura crescente al crescere del reddito. Il fisco serve quindi
a due cose: 1. regolare la crescita 2. ridistribuire il reddito
Nel nostro Paese la distribuzione del reddito si è squilibrata
al punto da diventare un freno allo sviluppo; basta guardare i dati
sul consumo delle famiglie. Anche le tasse contribuiscono al nostro
squilibrio. Esse gravano in maniera eccessiva sul lavoro. Questo
deve essere il punto di attacco di una manovra fiscale che voglia
ridare fiato alle famiglie e competitività alle imprese.
Meno tasse e meno contributi sul lavoro e sui redditi da lavoro
medio-bassi.
Le ragioni del disavanzo
Lo spazio per questa riduzione c'è. Non lo si deve trovare
nei tagli ai servizi e allo stato sociale (questo è uno scambio
che non potremo mai accettare). Lo spazio è anzitutto nella
lotta alla evasione, che è enorme e crescente. E che durante
il periodo del nostro governo era sensibilmente calata. Tre anni
di condoni reiterati e una visione del fisco come nemico rischiano
di annullare la possibilità di recupero di un rapporto positivo
tra lo stato e i cittadini sul terreno fiscale.
La Legge Finanziaria è la firma di un governo che ha perduto
il controllo della finanza pubblica. Da quasi il 5 per cento di
avanzo primario del 2001 siamo ridotti a poco più dell'1%.
In tre anni e mezzo hanno dilapidato il patrimonio che gli italiani
avevano costruito in anni di sacrifici. Bastava che avessero mantenuto
la situazione di bilancio che avevano ricevuto dal centrosinistra.
Bastava questo, e avrebbero evitato manovre correttive, una tantum,
cartolarizzazioni, condoni. Bastava questo e avrebbero evitato la
vendita dei ministeri, delle sedi dell'Inps, delle caserme, delle
strade. Avrebbero evitato di tagliare del 10% i fondi a disposizione
dei carabinieri e della polizia. Non è con meno risorse che
si combattono camorra, mafia e criminalità. Una criminalità
che ha rialzato la testa ed è in crescita dovunque ad eccezione
che nei telegiornali. Ma tre anni e mezzo di governo hanno prodotto
un disastro non solo nei conti pubblici. Hanno prodotto nuove gravissime
disuguaglianze. Hanno creato insicurezza e hanno tolto la speranza
nel futuro. E' ora di rilanciare l'Italia.
Rilanciare l'Italia
Noi ce la possiamo fare. Perché noi siamo quelli che ce l'hanno
già fatta quando la sfida era la più difficile. Siamo
quelli che tutti i giorni ce la fanno nel governo delle città,
delle province, delle regioni. Siamo quelli che le promesse le mantengono.
Non servono miracoli, non c'è bisogno di bacchette magiche.
Serve un lavoro duro, serio, continuo, giorno dopo giorno, senza
trucchi. Attento ai problemi veri. Curando i conti pubblici. Tagliando
le tasse sul lavoro e non quelle sui ricchi, perché è
così che si riducono i costi delle aziende, si promuove l'occupazione
e si sostengono i consumi. Concentrando gli incentivi e i crediti
fiscali sulla ricerca e sull'innovazione. Promuovendo la concorrenza
per garantire mercati liberi e aperti. Combattendo le rendite e
i monopoli nelle professioni, nella distribuzione, nelle banche,
nelle assicurazioni, nei trasporti, nell'energia. Perché
chi paga il conto finale dei costi di queste posizioni di privilegio
sono le famiglie e le imprese. Niente può più rapidamente
rafforzare la capacità di competere del nostro sistema produttivo
di una ventata di concorrenza nell'economia.
Ancora l'Europa
Fortunatamente, l'Italia può contare su una grande alleata:
l'Europa. L'Europa ha bisogno di un'Italia che si rimetta nel solco
della sua grande tradizione e torni ad operare in favore di una
più forte integrazione. L'Europa ha bisogno dell'Italia per
darsi una nuova e più forte capacità di decidere,
nel governo dell'economia, nella politica dell'immigrazione, nel
sostegno alla ricerca scientifica, nella politica internazionale.
Per consolidare, su un piano di mutuo rispetto e di reciproca dignità,
l'alleanza con gli Stati Uniti d'America. Per contribuire a rafforzare
l'autorità delle Nazioni Unite e la stabilità dell'ordine
mondiale. L'Europa, dunque, ha bisogno dell'Italia. Così
come l'Italia ha bisogno dell'Europa.
Le tre priorità
Giovani. Immigrazione. Mezzogiorno. Questi sono i punti critici
dell'Italia di oggi, su cui fare ripartire l'intero Paese. Queste
sono le emergenze. Queste debbono essere le nostre grandi priorità.
I giovani, gli immigrati e il Mezzogiorno sono le nostre grandi
risorse per il futuro. Sono le risorse più preziose sulle
quali investire. Nel quadro dell'Europa e con l'aiuto dell'Europa.
Che fare allora? Scuola, scuola, e, poi, ancora scuola. E' da qui
che si parte. Scuola che trasmetta con equità il sapere e,
soprattutto, la capacità di apprendere. Scuola, con tutti
i progetti Erasmus possibili, per mettere i nostri ragazzi in contatto
e su un piano di parità con i loro coetanei negli altri paesi.
Scuola e università che sappiano riconoscere il merito e
promuovere l'eccellenza. Ma, poi, porte le più aperte possibile
verso il mondo del lavoro. Per dare ai nostri giovani, ai nostri
giovani uomini, soprattutto, alle nostre donne, l'opportunità
di misurarsi con il lavoro, di creare ricchezza per sé e
per la nazione. Per dar loro la possibilità di crearsi una
famiglia e di fare dei figli senza aspettare di avere 35 anni.
Le giovani donne
Sono soprattutto loro, le giovani donne, che possono portare un
contributo decisivo per far fare un salto in avanti alle nostre
imprese, alla nostra società, alla nostra politica. Ho visto
quanto più forte è il ruolo delle giovani donne negli
altri paesi europei. E' ora che anche noi diamo una mano di rosa
all'Italia.
Gli immigrati
Ma i nostri giovani, da soli, non basteranno. Da qui al 2025, su
una popolazione che non dovrebbe variare di molto, i giovani sotto
i vent'anni caleranno da 11 a 9 milioni, e quelli tra i 20 e i 39
anni da 17 a 12 milioni. Per sostenere un paese nel quale gli anziani
sopra i 65 anni saliranno da 10,5 a 14,6 milioni, per produrre quel
benessere che i nostri giovani non saranno più in grado di
garantire, avremo bisogno di uomini e donne di altri paesi. Stato
centrale, autorità locali, mondo delle imprese e del volontariato,
associazionismo religioso e laico: tutti dovranno essere coinvolti
in una sforzo coerente. Si tratterà in primo luogo di governare
l'ingresso nel territorio e nel mercato del lavoro di queste nuove
genti. Non più un'immigrazione di puro residuo, ma un'immigrazione
guidata e gestita nella quantità e nella qualità delle
persone. La Legge Bossi-Fini ha preso atto della complessità
della questione degli immigrati, ma cercando di umiliarli nei centri
di detenzione più per fini elettorali che per bisogno oggettivo.
Non si deve alimentare la paura per calcolo elettorale, perché
gli immigrati sono una risorsa indispensabile per il nostro paese,
ma di valorizzare i rapporti con i paesi di provenienza e di regolarizzare
e programmare i flussi. La paura non ispira la buona politica che,
al contrario, domanda lungimiranza e intelligenza. Ma soprattutto
è la convivenza tra cittadini ed immigrati che dovrà
essere curata perché gli immigrati saranno un giorno nostri
cittadini, dovranno parlare la nostra lingua e dovranno conoscere
e praticare le nostre leggi.
Il Mezzogiorno
Anche per il Mezzogiorno l'ancora alla quale agganciarci è
l'Europa. Un'area di stabilità e di crescita vigorosa ad
est, con i Balcani davanti alle nostre regioni adriatiche. Un nord
Africa sulla via dello sviluppo a poche centinaia di miglia dalle
nostre coste. Un'Asia che, dal Canale di Suez, arriva in Europa
attraverso il Mediterraneo con la imponente e vertiginosa crescita
dei suoi traffici, ma che il nostro Mezzogiorno non si è
preparato a ricevere con una nuova logistica, con la capacità
di trasformare e adattare i beni che dal più grande centro
di produzione(l'Asia) vanno nel più grande mercato del mondo(l'Europa).
Un'Asia che al Mediterraneo e al nostro Mezzogiorno chiede porti,
scali aerei, capacità logistiche. Ora chiede anche la cancellazione
totale di ogni influenza mafiosa e di ogni azione di disturbo e
di controllo sulla vita delle imprese e di coloro che operano nelle
imprese. Il Mezzogiorno ha perduto la grande occasione degli investimenti
europei (diretti verso la Spagna). Ha perduto l'occasione degli
investimenti americani in Europa (approdati in Irlanda e nel nord
del Continente). Ora sta arrivando l'ultima occasione: l'irruzione
dell'Asia in Europa. Non perdiamola e prepariamoci fin da ora, consapevoli
almeno che da Gioia Tauro a Rotterdam ci sono almeno quattro giorni
di navigazione. E poi, ci sono, alle porte, i turisti. Non più
solo i giapponesi, ma i nuovi cinesi, pronti a innamorarsi delle
nostre bellezze, se non verranno costretti a scegliere altre mete,
meglio organizzate, meno care. Con un reddito pro capite pari a
meno del 70 per cento della media nazionale, il Mezzogiorno è
il collo di bottiglia che più condiziona le capacità
di crescita dell'Italia. Ma è anche la riserva più
importante della quale disponiamo per far fare un salto in avanti
al nostro sviluppo.
La fiducia nella Politica
Nel 2001 la destra ha vinto le elezioni. Da allora gli italiani
hanno via via perso la fiducia nel governo perché il governo
non ha trasformato le promesse in fatti, non ha dato risposta ai
loro problemi. Non usiamo però cari amici, la sfiducia nei
confronti del governo per nascondere la gravità di tutti
i nostri problemi. Nel rumore di una politica fatta di parole, gli
italiani hanno perso la fiducia non solo nel governo ma nei confronti
di tutta la politica e anche nei nostri confronti. Dobbiamo quindi
meritarci il nostro ruolo e le nostre responsabilità. Dobbiamo
riprendere piani coraggiosi per restituire all'Italia la crescita,
per creare posti di lavoro veri, ospedali migliori, scuole finalmente
all'altezza dei tempi, un sistema pensionistico più sicuro.
Alla base di tutto ciò dobbiamo mettere una grande disponibilità
al cambiamento in settori di base.
Energia e Ambiente
Ne cito solo due per tanti: l'energia e l'ambiente. Abbiamo un grave
problema nel nostro sistema energetico: la dipendenza dai combustibili
fossili, petrolio, carbone, gas è esagerata; non sostenibile.
Un programma forte di ricorso alle energie rinnovabili è
indispensabile ed urgente. E non solo per il bene del nostro paese,
per ridurre la nostra dipendenza strategica dall'estero. C'è
anche un motivo legato ad una nostra nuova presenza nel mondo. I
due miliardi di persone che stanno affacciandosi a consumi energetici
simili ai nostri, non potranno seguire il nostro modello di consumo.
E allora dobbiamo insegnare a noi e a loro a non fare come abbiamo
fatto noi. Dobbiamo aiutare gli altri ad evitare i nostri errori.
Nell'ambiente la grande novità è la ratifica del trattato
di Kyoto, per la quale da Bruxelles ho personalmente dedicato grande
energia. Una sfida che, se vinta farà avanzare l'Italia.
Se persa la farebbe arretrare gravemente. L'euro non era solo dei
banchieri. Kyoto non è solo degli ecologisti. L'euro non
era solo moneta, ma un patto allargato di comune convivenza e comune
destino. Kyoto non è solo clima ma sostenibilità e
qualità della vita in Italia ed in tutto il pianeta. E può
essere anche un grande stimolo per nuove linee di sviluppo industriale,
per il recupero di innovazione e di competitività. In Italia
vuole dire metropolitane, nuove ferrovie, treni moderni, auto avanzate
e pulite, pannelli solari e centrali eoliche.
Non una somma di divieti quindi ma un nuovo sapere.
Un importantissimo fattore di crescita.
Lo Stato Sociale
Ci serve la crescita anche per sostenere e riorientare lo stato
sociale. Non certo per smantellarlo e sostituire ai diritti la carità
e la compassione.
Alla compassione noi preferiamo i diritti.
Non possiamo accontentarci di un welfare che interviene ex-post
a riparare le situazioni di disagio. Dobbiamo eliminare privilegi
e posizioni di rendita per garantire a tutti più opportunità.
Dobbiamo promuovere la realizzazione delle persone e la vita serena
delle famiglie. Non si riconosce il valore della famiglia se ad
essa si sottraggono servizi e sostegni. La crescita ci dona le risorse
per costruire il nuovo stato sociale ma nella nostra impostazione
lo stato sociale e la coesione sono elementi dello sviluppo, non
ne sono un freno. Se non si produce ricchezza si distribuisce povertà.
Se non si rafforzano i diritti non si genera un vero benessere.
Sviluppo e democrazia
Noi risponderemo con la ripresa dello sviluppo, ma anche con la
trasformazione della vita democratica e la riforma del finanziamento
della politica. Con le nostre proposte coraggiose e con la volontà
di realizzarle riacquisteremo la fiducia dei cittadini e riceveremo
da loro il compito di portarli fuori dalla crisi. Esercitare la
leadership politica non significa mediare o rincorrere l'opinione
prevalente. Fare politica vuol dire mettere sul tavolo i temi difficili,
proprio quei temi che molti vogliono evitare o ignorare perchè
pensano che non si possano risolvere. Fare politica non significa
seguire i sondaggi. I sondaggi di opinione, come mi ha più
volte detto un consigliere di Clinton, ti dicono solo da che parte
sta la gente. Che cosa la gente già pensa. Ed è inutile
portare la gente dove già si trova: bisogna portarla più
avanti.
Fare assieme il programma
Abbiamo davanti a noi molti mesi per ascoltare, per capire e poi
decidere insieme con onestà e con serenità dove dovremo
andare.
E là porteremo il Paese quando avremo la responsabilità
del governo.
Non possiamo, nel frattempo, perdere le nostre radici che ci debbono
rendere attenti ai problemi quotidiani di tutti e soprattutto dei
più deboli. Troppe volte abbiamo rischiato di perderle, per
dedicarci alle pur necessarie discussioni interne. Molti giovani
hanno perciò perso la fiducia nella politica per dedicarsi
ai problemi personali o anche ad una generosa dedizione alla propria
comunità o alla protezione di categorie più deboli
o di persone sofferenti. Sono cose belle, anzi molto belle, ma che
non possono essere messe in pratica senza la politica, senza una
nuova politica. Lo vediamo oggi quando le risorse per il welfare
scarseggiano sempre più, quando comuni e province non hanno
più risorse per le madri, per gli asili nido, per gli emigranti,
per gli handicappati o gli emarginati. Altri che hanno perso fiducia
nella politica, sono fuggiti per la crescente scorrettezza della
politica. Noi dobbiamo rivendicare l'importanza morale della politica.
La concentrazione della ricchezza e del potere sta moltiplicando
gli abusi, demolisce la fiducia nell'economia italiana e nel governo,
elargisce grandi ricompense a una piccola minoranza e getta nell'insicurezza
gli altri. Questa politica non è morale, è una politica
senza valori.
I tre NO
Per questo dobbiamo dire tre NO.
Il primo è allo stravolgimento della Costituzione. No ad
una riforma della Costituzione che è una vera e propria controriforma.
Che punta a spaccare il paese nella sua unità istituzionale,
culturale e civile. Si rompe l'equilibrio dei poteri, si spezza
l'unità del paese. Di nuovo una concessione alle bandiere
di qualche partito regionale. Un modo di intendere la politica,
che per accontentare qualcuno compromette il disegno di tutti.
Il secondo no è ad una riforma della Giustizia, che punta
a spezzare il senso della legge. Si umiliano i giudici, si fanno
le leggi ad personam, si schierano gli avvocati delle proprie cause
nella battaglia parlamentare. Il risultato è che non solo
si indebolisce gravemente l'ordinamento giudiziario italiano, ma
si toglie ogni fiducia dei cittadini verso la legge, perché
la legge viene identificata nell'interesse di una persona o di un
gruppo e non nella tutela del diritto e della giustizia.
Il terno no è ad un cambiamento delle regole del confronto
elettorale e delle norme che garantiscono un livello minimo di parità
nell'uso delle risorse della comunicazione. Ma non ci dobbiamo stupire
che questo governo e questa maggioranza siano contrari alla parità.
Il viaggio dell'ascolto
Il viaggio che oggi iniziamo in tutto il paese è un viaggio
di ascolto. L'Italia è più grande e più forte
della rappresentazione che molti ne vogliono dare. Una rappresentazione
che non ne riconosce le risorse e lo vuole portare sulle strade
pericolose della divisione e del conflitto, in cui le parole sono
sempre gridate e sempre vuote. Noi vogliamo capire le risorse e
i problemi del nostro paese e presentare in modo pacato e sereno
le soluzioni, che questo viaggio nella fatica e nelle speranze dell'Italia
ci avrà suggerito. Questo non è più il tempo
delle gelosie, delle vecchie discussioni tra partiti e società
civile, della ricerca di piccole rendite di posizione. Oggi come
sessant'anni fa siamo chiamati ad una nuova ricostruzione.
Il tempo corre più veloce dei ritmi della politica.
E allora, senza lasciare in dietro nessuno, dobbiamo cambiare marcia
e dare un grande segnale di unità. Questo oggi ci viene chiesto
dalla parte migliore del paese, che non tollera più un mondo
politico litigioso e diviso.
Il cantiere è aperto. Tutti sono chiamati a lavorare in questo
cantiere. Vinceremo se sapremo innovare la politica, se parleremo
agli italiani dei loro problemi. Se ogni energia sarà mobilitata.
Ciò che ci deve distinguere e che alla fine ci farà
vincere è il linguaggio della verità e della coerenza.
Ed è con la verità e la coerenza che faremo crescere
un'Italia Unita.